Pagine

19 giugno 2014

Botanischer Garten


Bahnhof Botanischer Garten (detail)

Un cappello finito chissà quando al bordo della ferrovia. Un ampio elegante cappello da donna, la grande tesa ondulata, si abbandona per alcuni attimi ai capricci del vento. Uno strano animale di paglia che trema come fosse vivo. A vederlo così in mezzo all’erba della massicciata ci si augura che da un momento all’altro possa sollevarsi e scomparire da quel desolato luogo d’esilio. Ma nulla del genere avviene. Dopo un paio di guizzi ricade nel suo abbandono. Questa presenza e il lamento di un uccello rifugiato da qualche parte dentro la macchia mi accolgono alla stazione dell’orto botanico. Tra i suoi binari si è subito fatta largo un’ombra di poesia; è come se un fiotto caldo e vertiginoso sgorgasse da me all’esterno. Ed è per questa partecipazione del corpo a cose ignote, alle quali perciò ci si sente ancor più devoti, che ho il chiaro presentimento di trovarmi, sì, in un luogo, ma anche su una sponda aggiunta alla mia irresolutezza con cui volentieri m’incontro.
Diverse volte ho partecipato qui alla collisione di gente e di oggetti, tanto più spontanea quanto chi l’osserva vi si mostra per sua natura arrendevole. E in mezzo a tali e altre eresie io mi aggiro credendo di stringere il pendolo delle mie giornate. Ma ogni certezza che per poco abbia abitato i miei pensieri si è sempre velocemente dissolta, un’attrazione infida ha mischiato verità e finzione, beffandomi.
Eppure so che non tutto è perso. Anche al Botanischer Garten ho avuto la mia conferma. Sono bastati un maldestro viaggiatore e l’inconfessabile augurio che ovunque mi trovi a camminare le fantasie di qualcuno sfiorino le mie.
Alla sosta del treno, mentre il solito uccello della selva scandiva il suo poema, e già questa voce mi attraeva a una dimora di misteriose grotte e benevoli incantesimi, un ossuto vagabondo ha fatto capolino dal vagone, trascinando con sé una bizzarra bicicletta che era forse anche la sua casa. La sagoma del telaio infatti soccombeva al monte delle cianfrusaglie che vi erano issate, e quell’instabile carretto dava l’impressione di cedere da un momento all’altro. Sulla banchina ci siamo scambiati uno sguardo, pochi istanti tra sconcerto e reciproca approvazione. Appena avuta la riprova che ero anch’io a mio modo una nomade, come se il suo ronzino smaniasse di mostrarsene riconoscente, ecco improvviso lo schianto. Un attimo, e i ninnoli strappati ad avverse contrade giacevano a terra, amuleti di una semina meravigliosa. Non ho seguito i movimenti dell’uomo, solo notai che gli si era raccolta in viso un’aria di dispetto, simile a una pioggerella che tuttavia non basta a far cambiare il tempo.
Prima che le porte del treno si richiudessero, già avvertivo nella schiena il respiro delle betulle, insieme al segreto delle sue creature – allora finalmente mi appartenevano – ma più ancora era sorta in me una fulminea complicità davanti alla quale mi sono arresa, essendo al cospetto di una rivelazione.

(Di Claudia Ciardi)




Segnalazione:

Sul nuovo numero della rivista «Incroci» un inedito di Joseph Roth, 
Lo sconosciuto clown di Barcellona. Con un saggio di Claudia Ciardi.
A cura di Claudia Ciardi, Katharina Majer e Via del Vento edizioni



Nessun commento:

Posta un commento