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26 luglio 2014

Golem Stories - Sammy Harkham


Sammy Harkham, poco più che trentenne, è un autore di rilievo sulla scena del fumetto indipendente americano. Sfogliando la raccolta Golem Stories, pubblicata in Italia nell’estate 2013 da Coconino Press di Bologna, si comprendono tutto il suo talento e, dunque, le ragioni di una precoce affermazione. 
Ma prima di farmi prendere la mano dalle sue strisce, voglio dedicare qualche riga a un piccolo chiarimento ad uso dei lettori, che forse con una certa incredulità si staranno chiedendo perché mai abbia deciso di parlare di un libro a fumetti, e se questo non rappresenti una deviazione rispetto agli argomenti di cui sono solita occuparmi. La passione per il fumetto d’autore risale a prima della mia adolescenza. All’esame di maturità ricordo di aver messo a punto un’ottima terapia anti-stress grazie alla lettura quotidiana di qualche episodio di Schulz. Questo metodo l’ho poi girato ad altri studenti più giovani, che mi chiedevano come gestire le energie in fase di ripasso e quale fosse il modo migliore per staccare, lasciando riposare la mente, ma senza deconcentrarsi troppo. Schulz, a quanto mi hanno riferito in seguito, fu un successo.
Del resto, chi non ha sperimentato in viaggio o alla vigilia di qualche impegno o dopo una giornata piuttosto faticosa, la gioia di isolarsi per un po’ in compagnia delle sue storie preferite, lasciandosi letteralmente trasportare dal susseguirsi dei disegni? Dunque, questo potrebbe già essere un motivo sufficiente a giustificare la mia scelta. Tuttavia, in caso non sembrasse bastante, ve ne è anche uno più letterario. I racconti a fumetti firmati da grandi autori, e Harkham rientra a pieno titolo tra questi, sono né più né meno dei pezzi d’arte, al pari di quadri o romanzi, cui un’epoca generalmente affida il suo messaggio e anche il proprio colore. In anni recenti, il genio di non pochi maestri delle tavole illustrate ha incrementato la considerazione verso tali opere; Neil Gaiman e i volumi della serie Sandman, Art Spiegelman, Hugo Pratt – La favola di Venezia resta per me un vertice della narrativa contemporanea – la poesia di Jirō Taniguchi che oppone i suoi battiti di china alla frenesia del mondo.
Vi è infine un tratto specifico dell’opera di Harkham, esploratore delle periferie e delle solitudini umane, che non può sottrarsi ai miei interessi. Attraverso la predilezione da lui accordata ai margini e agli stati d’animo che vi si rivelano, segue le tracce di ciò che si potrebbe definire la resistenza degli ultimi, di quanti, pur in balìa delle proprie debolezze e dell’emarginazione che la realtà cinicamente riserva loro, vanno avanti. In simili situazioni limite la mano del disegnatore raccoglie scintille di poesia. Pochi istanti di grazia sottratti a una quotidianità che calpesta e stravolge ogni cosa.
I suoi protagonisti sono per lo più figure di alienati, erose dalle difficoltà della vita. Ma non si negano neppure i personaggi storici, con cui la matita di Harkham gioca a inventare scene spiazzanti. Qui, ad esempio, ci troviamo davanti a un Napoleone che, smessi i panni di condottiero, trascorre il tempo libero disegnando fumetti. Ma perfino in battaglia, l’unico assillo è la buona riuscita dei suoi schizzi su carta. Nel colophon invece, a venirci incontro è un Kafka alla prese con una affittacamere e con certi inquietanti sospetti sul suo nuovo alloggio. Si scoprirà che la stanza è infestata: un mostro occupa la credenza e a Kafka, al centro di una situazione kafkiana, non resta che darsela a gambe.
Poi c’è l’ironia yiddish che l’autore riserva alle stranezze della vita, rovesciando le convenzioni dell’ebraismo, come in Elisha e Lubavitch – Ucraina, 1876. In particolare la storia ambientata nella comunità ebraica di un villaggio ucraino mette in risalto la difficoltà di attenersi ai precetti del rabbi, a fronte dei bisogni materiali dettati dall’esistenza, in un angolo di mondo sempre minacciato e sul punto di disgregarsi. Tra gli episodi meglio costruiti vi è senz’altro la ballata dei pirati, Poor Sailor, adattamento di Maupassant, dove il protagonista lascia la moglie in cerca di fortuna per concludere la sua avventura nel modo peggiore.E non mancano certo frecciate all’indirizzo di bassezze e perversioni borghesi, incarnate dal protagonista di The New Yorker Story, professore in carriera che non affronta i problemi della figlia, tradisce regolarmente la moglie con appuntamenti clandestini in motel e quando lo sfiora il pensiero di dire un “ti amo” alla sua amante, l’idea muore prima ancora che abbia preso una ingestibile consistenza. Tutto nel prof. Ogden è calcolo e disprezzo per il prossimo, mentre si affanna a pubblicare qualcosa sul prestigioso «The New Yorker» e trama contro i colleghi per sbancare la concorrenza. Tipico esemplare dell’ipocrita fatto e vestito da capo a piedi, attento a non incappare in nulla che possa mettere a soqquadro il ridicolo equilibrio nel quale va barcamenandosi.
Quello del capovolgimento delle sorti è un chiodo fisso, saldamente piantato nella penna di Harkham, che non vi rinuncia in nessuno dei suoi racconti. In mezzo al libro si aggira un Golem sonnolento, immerso nella foresta tropicale, che pare farsi custode del tempo della narrazione. La versione italiana di questa raccolta, ottimamente presentata da Coconino Press, permette di assaporare molte delle sfaccettature di Harkham, artista a tutto tondo dalla vivace vena creativa, in grado di adattare il segno grafico alle atmosfere. Ecco come ce lo descrive il «Vice Magazine»: «Harkham è un grandissimo fumettista. E ha fondato Kramers Ergot, la migliore antologia di comics indipendenti al mondo». Per un ragazzo che disegna e pubblica con successo in questo settore dall’età di quattordici anni, cioè da quando si è trasferito a Sydney con la famiglia, prima di tornare a Los Angeles, sua città natale, non si può dire che siano complimenti esagerati.

(Di Claudia Ciardi)



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Golem Stories su Lo spaziobianco.it – di Ettore Gabrielli 

Slowcomix – articolo di Alessio Bilotta

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