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1 luglio 2015

Espressionismo tedesco




Palazzo Ducale, a Genova, rinnova quest’anno l’appuntamento espressionista e “berlinese”, inaugurato nel 2013-2014 da Edvard Munch, con una bella mostra dedicata al gruppo della Brücke. Si tratta di un evento di grande spessore, che conferma la qualità dell’offerta culturale del capoluogo ligure.
La rassegna, curata da Magdalena M. Moeller, direttrice del Brücke-Museum di Berlino, comprende oltre centotrenta opere fra dipinti, stampe e disegni che hanno il compito di illustrare contaminazioni ma anche sostanziali differenze tra gli animatori di questa avanguardia. Occupa un ruolo centrale l’impatto con la nascente metropoli, che ebbe una sostanziale importanza per certi sviluppi del gruppo ma fu anche alla base della sua disgregazione. Del resto, tale è la storia dell’espressionismo, non solo per quanto riguarda il suo manifestarsi in pittura o nella grafica. Se ne seguiamo i progressi in poesia, nella musica, nel cinema, sarà impossibile non constatarne la natura di amalgama più che composito, nel quale confluiscono personalità anche assai diverse tra loro, dove a fronte di strappi e continue rigenerazioni, anzi proprio in virtù di queste forze contrastanti, per circa un decennio perdurano quelle istanze di rifiuto dello status quo che hanno contribuito a scuotere le fondamenta del potere imperiale in Germania.
Un’ascesa tutto sommato veloce, dunque, dalle profonde implicazioni politiche. Dagli inizi di questa avventura, nata ufficialmente il 7 giugno 1905 a Dresda, allo scioglimento del gruppo nel 1913, alcune straordinarie personalità fanno clamorosamente parlare di sé e sconvolgono il panorama dell’arte tedesca. Tutto comincia, perfino un po’ per caso, sui banchi del Politecnico di Dresda, alla facoltà di architettura. Fritz Bleyl e Ernst Ludwig Kirchner si conobbero lì nel 1901. Era il loro primo semestre di lezioni, Bleyl fu attirato da un compagno a dare un’occhiata ai disegni di un corsista. Ne rimase subito molto colpito e verso quel ragazzo di Chemnitz, che era per l’appunto Kirchner, sentì un’immediata simpatia. Divennero inseparabili per l’intero periodo universitario. Lo scarso interesse per i programmi accademici, era ampiamente compensato dalla comune passione per il disegno. Nel 1904 fecero la conoscenza di Erich Heckel e Karl Schmidt-Rottluff. A proposito di quei momenti in cui il gruppo stava prendendo forma, ecco il ricordo di Kirchner: «E così un giorno un giovane salì le scale di casa mia declamando lo Zarathustra a gran voce, senza bavero né cappello, presentandosi come Erich Heckel». A Schmidt-Rottluff il merito di aver trovato il nome con cui presentarsi sulla scena culturale tedesca: «Schmidt-Rottluff disse che avremmo dovuto chiamare il gruppo Brücke, era una parola dai tanti significati, non avrebbe rimandato ad alcun programma preciso ma avrebbe per così dire condotto da una sponda all’altra».
Tra i più clamorosi tentativi di reclutamento, gli inviti caduti nel vuoto a Matisse e a Munch. La Brücke si distinse da subito anche per la verve comunicativa, grazie a un intenso lavoro pubblicistico che ne accompagnò le attività, approdando a numerosi allestimenti che videro un graduale crescente afflusso di visitatori. Dalla prima, per certi versi improbabile, esposizione tenuta nell’autunno del 1906 nella sala vendite di una fabbrica di lampadari, a Dresda, alle migliori gallerie d’arte, da cui iniziarono a essere ospitati già a partire dal 1907. Fino al 1910 saranno più di trenta le grandi mostre organizzate in Germania, Svizzera e Scandinavia.
Un ambito specifico sono proprio i manifesti, le locandine, i materiali promozionali delle attività del gruppo; si noti che il programma artistico non venne affidato a un lungo articolo di giornale (come nel caso del futurismo) ma a un breve testo inciso su una xilografia di Kirchner. 
Merita infine spendere qualche parola sull’adesione, piuttosto inaspettata, di Emil Nolde alle istanze dell’avanguardia. Nel gennaio del 1906 Nolde espose le sue opere alla prestigiosa Galerie Arnold di Dresda. Neppure un mese dopo ricevette una lettera di ammirazione per le sue “tempeste di colore” e la richiesta di prendere parte alle attività della Brücke. Nell’allestimento genovese, Nolde è una presenza imponente, sia sul piano pittorico sia per la grafica. Notevoli le acqueforti e le xilografie esposte. Nolde fece parte dell’associazione per un anno e mezzo, uscendone dopo un tempo abbastanza breve a causa di divergenze con gli altri membri; il suo era un temperamento spiccatamente individuale e si può comprendere con facilità come abbia sentito presto il bisogno di tornare al suo percorso. Da mettere in conto anche una non trascurabile differenza di età, rispetto ai fondatori – Nolde era più vecchio di una ventina d’anni. Resta un nome di punta del gruppo, e il suo passaggio tra i fondatori ebbe conseguenze rilevanti per se stesso ma anche per coloro che con lui entrarono in contatto durante quell’esperienza.
Il 1911 fu l’anno del trasferimento a Berlino di Kirchner, Schmidt-Rotluff e Heckel. Max Pechstein si era occupato di sviluppare contatti in loco fin dal 1908, e il salto si prospettava alquanto appetibile. Ma l’incontro con Berlino poteva essere privo conseguenze. La metropoli in pieno fermento, quasi in preda a violente convulsioni con le quali smarriva il proprio volto ottocentesco, perfino agreste, per diventare grande città (dai 300.000 abitanti del 1850 era arrivata a contarne 2 milioni nel 1910), sprigionò una carica di aggressività difficile da controllare per i giovani artisti. Ognuno reagì in maniera diversa, ognuno si sentì arricchito ma anche irrimediabilmente sottratto a se stesso. I colori si scurirono le forme divennero spigolosi: una metamorfosi che si coglie bene ad esempio nelle cosiddette “scene di strada” di Kirchner. E proprio costui fu tra i principali responsabili della rottura, avvenuta nel maggio del 1913.
A Genova, non solo potrete aggirarvi come se vi trovaste nelle sale del museo berlinese, ma sotto i vostri occhi scorrerà attentamente ricostruita una straordinaria parabola creativa che è anche una delle stagioni più intense dell’arte novecentesca, dove il bisogno di rinnovamento del linguaggio pittorico e letterario si salda su istanze cruciali che alimenteranno la protesta sociale in Germania e altrove, nei difficili anni successivi alla prima guerra mondiale. 

(Di Claudia Ciardi)



Emil Nolde - Violette Berglandschaft 


Catalogo della mostra:
Espressionismo tedesco. Da Kirchner a Nolde, 1905-1913, Skira, 2015




In concomitanza, sempre nel contesto di Palazzo Ducale, troverete una retrospettiva sul fotografo tedesco August Sander, accompagnata da un film documentario in cui le persone che lo hanno conosciuto ne raccontano l’arte. Qualcuno ha definito la fotografia di Sander lo “specchio magico” del popolo tedesco. I suoi ritratti hanno colto esattamente com’erano i tedeschi  in un preciso momento. Ma è negli scatti di quel ceto derelitto, spinto ai margini della società, che l’arte di Sander acquista la forza di una rivelazione: la mendicante, il rappresentante di misuratori di forza, gli artisti del circo, il carnevale degli artisti a Colonia, il minatore invalido, la donna delle pulizie, il facchino. Soffermatevi su ognuno di questi volti e vi si aprirà un mondo.
Eppure la particolarità di Sander sta anche nell’aver saputo ritrarre la natura come se fosse una persona umana. Eccovi gli scatti dedicati all’amatissimo Siebengebirge con la corona dei monti vista dal Reno. Oppure i bellissimi alberi innevati sui sentieri di quelle stesse montagne, immortalati ad esempio nella pace di un sentiero, la vigilia di Natale del 1938.
Per approfondire rimandiamo all’articolo Antlitz der Zeit, pubblicato su questo blog.
   

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