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30 dicembre 2016

Dal taccuino giapponese


Circa dal gennaio 2014 ho iniziato a disegnare montagne. Per la maggioranza schizzi ma pure rese più elaborate che talora sviluppano l’idea tracciata in velocità su carta durante alcune escursioni. Luoghi non solo attraversati fisicamente ma soprattutto dialoganti con la mia sensibilità, nei quali si è sedimentata larga parte del mio immaginario.
Questa galleria di disegni rientra in una raccolta abbastanza recente, detta il “taccuino giapponese” per le sue suggestioni orientali, cui del resto il tema della montagna si mostra particolarmente incline. È un progetto tuttora in fase di realizzazione.


(Di Claudia Ciardi)



Le Alpi Apuane innevate da Boccadarno - uno studio preparatorio, 6 aprile 2015




Le Alpi Apuane da Boccadarno, 6 aprile 2015




Le Alpi Apuane innevate dal Guadolongo - uno studio preparatorio, 4 marzo 2016




Le Alpi Apuane innevate dal Guadolongo - uno schizzo, 4 marzo 2016




Il Monte Pisanino (Apuane) innevato dal Guadolongo, 4 marzo 2016




Le Alpi Apuane innevate dal Guadolongo, 4 marzo 2016




Il Monte di Caprona e Monti Pisani sullo sfondo - uno studio preparatorio, 16 aprile 2016




Le Dolomiti da Moena con il caratteristico "aquilone" all'estremità del gruppo - uno studio preparatorio (il motto in ladino è dipinto sulla facciata di una delle case del borgo), 24 settembre 2016


26 dicembre 2016

Ombre e luci #2


I tramonti di casa sono quelli a cui ci si sente più legati.


[…]

«Dove vai se al tramonto
ti feriscono le campane
e spezzano il tuo riposo
gli sciami delle strofe
e il gran rumore dorato
che cade sopra i monti
azzurri singhiozzando?

L’aria dell’inverno
spezza il tuo azzurro
e taglia le tue foreste
il lamento muto
di qualche fonte fredda»

[…]

Federico García Lorca, Elegia del silenzio.



25 dicembre 2014. A casa



Dal terrazzo di casa, 25 dicembre 2015



Dal terrazzo di casa, febbraio 2015



Febbraio 2015



Lungarno - 11 novembre 2016, mentre consegno in biblioteca le mie copie di Thomas Mann 



26 dicembre 2016

23 dicembre 2016

Ombre e luci #1


Una sera a piedi per le vie del centro di Brescia. Luminarie natalizie sospese tra i monumenti e le case come fuochi fatui o delicati miraggi di una fiaba. Ombre lungo la Via dei musei risvegliate da rari passanti, una cascata di luci fitte e lievi come una capigliatura di donna in piazza della Loggia, la giostra di San Faustino, apparizione quasi felliniana a un angolo di strada. Architetture e oggetti affiorano nel buio con l’insolita grazia di esseri fatati. Tutto qui silenziosamente cospira a una misteriosa forma di bellezza.

(Di Claudia Ciardi)



Luminaria in Piazza della Loggia



Luci in Piazza della Loggia - dettaglio



In centro



Alberi e facciata illuminati



La giostra di San Faustino I



La giostra di San Faustino II



La giostra di San Faustino III



Interno della giostra di San Faustino



Luminarie in centro I



Luminarie in centro II



Luminarie e balcone



Dietro Piazza della Loggia


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19 dicembre 2016

Ombre e luci #0


Una serie di scatti sui cambi di luce nei pomeriggi invernali. Si tratta di prese ispirate dal rapido accendersi e spengersi del sole, poco prima del tramonto, all’inizio di dicembre. Il gioco dei riflessi sulle pareti del mio studio, gli ultimi bagliori filtrati dagli alberi del cortile dentro la stanza, offrono migliaia di spunti e composizioni. Osservare come la luce indugi sugli oggetti e li trasformi, con le sue mutevoli cadenze, è ampliare il nostro modo di percepire l’una e gli altri. Le gradazioni delle sere d’inverno consegnano a chi guarda una tavolozza di colori fra le più dense per completezza e stimoli creativi. Ogni cosa nel rapido passaggio dall’intensità luminosa all’ombra si abbandona a una piccola morte, e il contrastarsi delle due zone cromatiche innesca suggestioni impensate.
Nella cosiddetta “serie bianca” seguo l’insinuarsi del sole sulla tenda che copre l’unica grande finestra dello studio affacciato sui campi. Una stoffa comune, forse lino grezzo, che rivela l’opera di tessitura e si lascia accarezzare dalla luce come fosse una tela da dipingere. Si tratta anche di un tributo ai “bianchi” di Aldo Frosini, insuperata folgorazione quando anni fa li vidi per la prima volta, agli innumerevoli toni di questo misterioso pigmento, a quel che può divenire tra le mani di un pittore. 

(Di Claudia Ciardi)


   
Luci invernali nel mio atelier 



Luci invernali - la mia mano



La mia mano - dettaglio 



Luci invernali - la mia mano davanti al muro dello studio




Il tramonto nel cortile davanti allo studio



Luci dal cortile - dettaglio



Bianco I



Bianco II



Bianco III



I bianchi - Aldo Frosini (maggio-ottobre 2012) - una delle ultime opere realizzate dal pittore


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11 dicembre 2016

Thomas Mann - Sedute spiritiche




La casa editrice Via del Vento raccoglie e traduce per la prima volta in Italia i resoconti delle sedute spiritiche cui Thomas Mann assistette tra la fine del 1922 e l’inizio del ’23. In una Germania assediata dai fantasmi della sconfitta nella prima guerra mondiale e scossa sempre più violentemente dall’incubo dell’inflazione, l’occultismo trovò terreno fertile.
Mann decide di partecipare in veste di dotto osservatore, affascinato dall’idea del paranormale. Scettico e perfino maldisposto sulle prime – il timore di prendere parte a un mero esercizio di ciarlataneria gli guasta da subito l’umore – resta invece colpito dalle abilità del giovane medium, talentuoso praticante della telecinesi.
Al di là dei dettagli tecnici i resoconti sono un chiaro ritratto delle emozioni provate dallo scrittore davanti a quest’insolita esperienza. Oltre a rappresentarci fedelmente la singolarissima atmosfera che si respirava dal barone Schrenck, animatore delle serate. Una Monaco promiscua dal punto di vista umano e sociale ne affollava la biblioteca in attesa che il medium si esibisse. Pittori, psicologi, professori universitari, musicisti, attenendosi al regolamento dettato dal padrone di casa, s’immergevano nel buio della sala e per un paio d’ore seguivano i bizzarri prodigi che prendevano corpo sotto i loro occhi.
Non di queste sedute ma degli esperimenti, tenuti sempre in casa del barone, dalla sedicente Eva Carrière, alias Marthe Béraud, esiste peraltro una vasta documentazione fotografica. L’usanza di scattare istantanee di tali eventi era piuttosto diffusa. La Bértaud aveva precedentemente operato ad Algeri in casa del generale Noël, dove avrebbe evocato il fantasma del sacerdote egizio Bien-Boa, con tanto di paramenti sacri e folta barba nera, episodio anche questo documentato da foto. Il tutto si sarebbe poi rivelato una clamorosa montatura, per ammissione della stessa autrice.
È in un simile contesto che Mann, evidentemente trascinato da simili racconti, decide di avvicinarsi, pur con i tanti scrupoli del caso, alle serate del barone. Le prose qui tradotte, cui si aggiunge l’interessantissimo affresco dedicato alla penisola di Nida, luogo incline al surrealismo, a quella stessa liminalità occulta che si coglie nei resoconti e che infiltra le narrazioni maggiori dello scrittore premio Nobel, hanno dunque un alto valore documentale e testimoniano l’eclettismo della sua vena.

From the book:

«Seguirono gli spasmi del risveglio. Si riaccese la luce bianca. Willi giacque ancora per un po’ accovacciato sul braccio di uno dei controllori. Mi avvicinai, gli picchiai sulla spalla e gli espressi la mia soddisfazione, al che restando muto mi rivolse uno sguardo assonnato e un sorriso tra il bonario e il malinconico. L’insieme rispondeva quasi a una fisionomia da imbroglione.
Nei fatti ogni pensiero di frode nel senso consueto e furbastro della parola si prospettava assurdo. Dietro l’atto di afferrare, scuotere e gettar via la campana non c’era verosimilmente nessuno. Non avrebbe potuto compierlo Willi, perché le sue estremità erano trattenute e del resto se ne stava abbandonato nel suo sonno ipnotico a un metro e mezzo di distanza. Chi o che cosa sollevò il fazzoletto, deformandolo dall’interno? Io non lo so, eppure l’ho visto, come tutti, con i miei occhi al riparo da condizionamenti, i quali allo stesso modo erano disposti a non vedere nulla, qualora non ci fosse stato nulla da vedere».

(Di Claudia Ciardi)


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La recensione di Amedeo Anelli su «Il Cittadino», quotidiano di Lodi. 
  










Sulla rivista «Incroci» n. 34  (dicembre 2016), i versi inediti del giovane poeta tedesco Alfred Lichtenstein morto nella Grande Guerra. Con un saggio di accompagnamento: Un poeta costretto a essere soldato (a cura di Claudia Ciardi).

  





30 novembre 2016

Stéphane Hessel - Indignatevi!




Un librino che si lascia leggere in un soffio e che è stato capace di mobilitare le piazze occidentali appena uscì alla fine del 2010. La crisi economica era iniziata da due anni, ufficialmente si disse con la bufera dei mutui subprime sottoscritti in America e il collasso di Lehman Brothers – lì imparammo che anche le banche possono fallire. Tuttavia segnali di stallo, accompagnati da altri sintomi più o meno manifesti, si erano cominciati a scorgere già qualche anno prima. L’estendersi della disoccupazione giovanile, crescente in Italia ed Europa, ha disegnato una curva progressiva e inarrestabile nell’ultimo decennio. Già ai suoi inizi era inevitabile pensare che ciò avrebbe avuto un impatto serio sugli equilibri interni dei paesi occidentali. Tra attesa e disincanto la pancia dei popoli ha iniziato a smuoversi; la Grecia continua a faticare nella spirale di un debito che bisognerebbe avere il coraggio di discutere una volta per tutte, la Gran Bretagna ha fatto “ciao” all’Europa – anche se è tutto da verificare cosa significherà in pratica “uscita” – e Trump sarà il prossimo inquilino alla Casa Bianca. Un’idea diversa di politica ha iniziato a scardinare certi dogmi su cui il potere si è autoalimentato fino ad oggi: forze antisistema o partiti che hanno voluto mettere in discussione il crisma dell’austerità, l’erosione imposta, e prescritta come necessaria, delle tutele sociali, in una parola la resa passiva di fronte alla compromissione dei diritti di ognuno, in quanto essere umano e cittadino di uno Stato. La posta in gioco, dunque, per i nuovi schieramenti non è più solo la scalata al vertice ma l’intento destinato a maggior durata di ridisegnare la sostanza dell’arte politica e della partecipazione, estesa e realmente rappresentativa, alle decisioni che riguardano la collettività.
A novantatré anni Stéphane Hessel ha voluto rivolgersi ai più giovani perché sentissero sulle loro spalle l’eredità della resistenza e, dunque, la missione di difendere quei valori conquistati col sacrificio di tante donne e uomini generosi, oltre che coraggiosi. L’essenza del discorso è la stessa che Tina Anselmi ha evidenziato in uno dei suoi ultimi interventi: c’è una lotta per la libertà ma c’è anche la lotta necessaria perché questa libertà venga preservata a beneficio delle future generazioni.
Stéphane, nato a Berlino nel 1917 da Franz Hessel, il famoso scrittore e giornalista amico di Walter Benjamin con cui tradusse in tedesco l’opera di Proust, quando descrive la sua vicenda nella resistenza parla di “vita restituita”, intendendo non solo l’essere scampato alla morte, in modo fortunoso e quasi miracoloso a un istante dall’esecuzione per mano del plotone tedesco, ma anche il ritorno a una vita ancora più piena e consapevole, perché passata attraverso scelte radicali che avevano messo in discussione tutto, e dunque appunto anche la cosa più preziosa. Quella fase di lotta e impegno nella causa di liberazione ha orientato l’esistenza di chi vi ha preso parte nel segno di un attivismo irrequieto e propositivo. Hessel sprona quindi i giovani a guardarsi intorno; sebbene infatti non vi sia in apparenza un nemico da battere al fronte, molte sono le minacce che rischiano di assottigliare, se non cancellare, i progressi del secondo dopoguerra. Tali minacce vanno arginate al più presto, affinché il danno non divenga irreparabile, e perciò l’anziano ma energico “resistente” scuote ogni cittadino responsabile a essere vigile, a porre le proprie capacità e sforzi al servizio degli altri e della loro tutela. Insistere in un cammino che tenda a liberare l’essere umano dal timore e dal bisogno, risolvere gli squilibri, non trascurare né tantomeno accrescere il divario, garantire istruzione e un reddito che possa dare opportunità effettive e durevoli di inserimento nella società. L’emarginazione è ciò che deve più di tutto spaventarci, in quanto anticamera di conflitto, rancore, odio, guerra. Dove vi è emarginazione, il diritto arretra, la democrazia cede.   
A volte al cambiamento – un cambiamento insidioso se generico, non declinato, non meditato né condiviso – è preferibile la conservazione. Questa, troppo affrettatamente liquidata come lentezza o inadeguatezza ai tempi, è invece un bastione sicuro da cui difendere la nostra identità e, dunque, i valori libertari che questa identità affermano.

(Di Claudia Ciardi)


Stéphane Hessel,
Indignatevi!,
Add editore, 2011


22 novembre 2016

Heidegger nella Grecia sequestrata





Con Paolo Zignani, amico e collaboratore occasionale di questo blog, mi sono data nelle ultime settimane un compito interessante e per nulla semplice: rileggere il resoconto scritto da Martin Heidegger in occasione del suo primo viaggio in Grecia. Il filosofo, fin dal titolo, avvisa il lettore. Non addomesticherà il suo peregrinare nelle forme accondiscendenti e un po’ assonnate della consueta narrazione diaristica – men che meno assecondandone derive consumiste più che familiari a noi figli sballottati dalla globalizzazione – ma ci offrirà una permanenza (in tedesco Aufenthalt). Stilettata filologica non da poco, che c’impone il tempo della sosta, cioè apre la spazialità a una precisa dimensione cognitiva. Lo spazio, dunque, come incubatore di pensiero. In scia con quel che il filosofo teorizza negli Holzwege, sentieri come vie di conoscenza; che si perdano o meno, favorendo la nostra stessa attitudine all’incompiutezza, è del tutto secondario, anzi forse perfino più coerente del palesarsi di una meta.
Si tratta in questo caso di una memoria assai densa. Non inganni la brevità del testo; la Grecia e il fraseggio che Heidegger costruisce attorno ai suoi monumenti danno luogo a un’architettura complessa che implica, da parte del lettore, più di un ritorno. E mi riprometto, infatti, di dedicare un ulteriore intervento proprio ai contenuti di questo affascinante librino che, allinizio del millennio, ci interroga senza vedersi superato in alcuna sua proposta. 
Negli ultimi anni, ci siamo abituati a veder entrare la Grecia nel nostro orizzonte di europei in preda a crampi identitari, parlandone unicamente in funzione delle nostre crescenti isteresi. Pertanto, facendo violenza a quel che la Grecia ha significato sotto il profilo culturale e che tuttora significa. Anzi, la Grecia sembra inserirsi esattamente in queste crepe occidentali, non come immagine in grado di rassicurare, cosa che invece ci si aspetterebbe da una culla di civiltà, ma semmai contribuendo all’inquietudine. E di ciò siamo responsabili noi in prima persona.
Prendiamo l’ultimo incontro politico in terra ellenica. Il presidente americano, reduce dalla sconfitta della sua candidata alle elezioni, ha inteso rafforzare la sua immagine di paladino della democrazia, scattando una foto di circostanza sull’Acropoli. Su di lui incombeva la responsabilità di una disfatta in patria e lo spettro, mai esorcizzato, di un popolo messo a dura prova dall’austerità, proprio lì, ai piedi di quella millenaria bellezza monumentale. Stridente il messaggio che si è voluto lanciare, tanto più che al tavolo del giorno dopo, a Berlino, Tsipras era già uscito di scena, relegato nelle sue turbolenze egee. L’ho trovata una scelta sbagliatissima e diciamo pure offensiva. Rilanciare la democrazia significa, adesso soprattutto, portare Tsipras ad ogni tavolo. Mentre la Grecia continua a dividere e a mettere in rilievo tutte le nostre imbarazzanti contraddizioni.
Tra le tante riflessioni che Zignani mi ha inviato nel corso della stesura del suo articolo, vorrei condividere un passaggio in particolare, perché esemplificativo dell’orientamento di quanto ha scritto: «La Grecia è stata, per così dire, sequestrata. L’industria del sapere prende il posto dell’autenticità e l’inautenticità non perde occasione per esprimere la sua tipica “dittatura” (è la traduzione di Pietro Chiodi). Secondo me quei riferimenti all’essere sociale e ai suoi modi d’essere, e al mondo del lavoro (curiosamente ce ne sono) si fanno più significativi negli anni successivi. È un argomento forte. Heidegger cercava anche lui una terza via non capitalista né sovietica per un’ontologia che avesse anche un senso per la vita. Si può parlare di una qualche forma di “critica sociale” da parte di Heidegger? Per me sì. Non credo che per Heidegger possiamo solo raccontare: quel suo vitalismo, che detesta tanto la storiografia, la cultura fatta con le tradizioni culturali e i libri polverosi, vuol prendere possesso della vita autenticamente; l’ontologia intende stravolgere la vecchia metafisica».
Per quanto mi riguarda, ha colpito la mia attenzione il fatto che il filosofo tedesco parli della Grecia, tutta, come isola. In questo suo viaggio persegue una rappresentazione “isolana”. Ora diciamo che il territorio ellenico è in buona misura insulare ma non è comunque solo questo. E tuttavia il punto di vista del viaggiatore nordico si concentra su tale “metafisico” peregrinare isola per isola, ognuna con la propria grecità e stratificazione storica. Quasi che i singoli approdi siano chiamati a dare concreta visualizzazione all’avventura del pensiero in cerca del proprio centro.
Tra gli altri, il passaggio sull’asiatico è forse il più notevole. A quel punto della lettura lo snodo oriente-occidente staglia la Grecia nella sua perenne dimensione di ponte, inteso ancora una volta in senso conoscitivo.


(Introduzione di Claudia Ciardi)


Heidegger nella Grecia sequestrata
di Paolo Zignani

Heidegger aveva messo tra parentesi la Grecia reale, per sostituirla con la poesia di Hölderlin e con sofisticate interpretazioni dei filosofi ateniesi, e il contraccolpo sopravviene implacabile, per la necessità di un intervento personale, un’intrusione dell’ontico capace di causare uno dei cortocircuiti che la sua filosofia, per quanto anti-idealistica, sa sprigionare nell'urto con la realtà. Il filosofo ha sentito il bisogno di andare oltre, preso dalla speranza di un nuovo inizio, che la sua filosofia non poteva dare. Di qui la necessità di un impegno personale, ma privatamente, in viaggio con la moglie. C’è un’ansia nel pensiero di Heidegger, che non vuole fare della filosofia ma dedicarsi all’essere. Invece, di nuovo, incontra una dittatura. Il desiderio di emancipazione – insopprimibile - ha necessità di rinnovarsi, altrimenti prevarrà la furia autodistruttiva dell’umanità.
L'unica dittatura denunciata da Martin Heidegger è stata quella dell'inautenticità, che si può esercitare solo perché la questione dell'essere è stata accantonata, in uno scenario tormentato. Kant poneva, in una famosa pagina della Critica della ragion pura, fra Analitica e Dialettica trascendentale, l'esistenza di un'isola della verità, dove vigono le norme dell'intelletto puro, circondata dall'oceano tempestoso delle parvenze. La condizione umana sembra molto più complicata in “Essere e tempo”. L'estraniazione è il modo di essere del Si, che è la dimensione della vita quotidiana impersonale: espropriato da sé per la sua debolezza, l'uomo, quando sopporta d'essere autentico, si apre a un qui e a un con chi fare storia: lo attende però una difficile battaglia. Strappato dalle sue radici, perso tra le cose, strumentalizzato dalla tecnica, l'uomo si accorge di far parte di un mondo in cui non è altro che un oggetto, un mezzo, a causa dell'organizzazione economica, politica e sociale, in una dittatura impersonale, implicita, che distrae continuamente e impone discontinuità all'Esserci, autoaffermandosi spontaneamente senza bisogno di legittimazione e di motivazione. Heidegger descrive nei suoi tratti ontologici la disponibilità umana alla sottomissione inconsapevole e anonima, con la sottrazione della Cura. Permane la tendenza al mimetismo del Si inautentico privo di sé. L'analisi del dominio della tecnica, però, nella "Questione della tecnica" (1953) dimostra che l'estraniazione è ben più vistosa e accompagnata dalla consapevolezza dello sfruttamento della natura, esseri umani compresi. L'inautentico inoltre sostituisce l'autentico e viceversa, questo è l'evento che avviene in un ritmo di cadute e riappropriazioni imprevedibili: uno scambio, non tra due realtà diverse e nemmeno in una relazione di circolarità ermeneutica che passi per organizzazione della conoscenza, nascondendo in realtà conflittualità non s'appianano. E' forse l'autentico a descrivere questi processi, ma una simile meta-fenomenologia non viene a parola. Senza l'autenticità l'Esserci si smarrisce: l'autenticità si fonda però su un discutibile concetto di storicità. Tra l'individuo e la storia non c'è infatti una relazione così diretta e immediata, se non nella prospettiva difficilmente comunicabile dell'individuo e delle sue relazioni: le autenticità come possono "comunicare", nella storicità comune, se non mediante la storiografia? Heidegger segue invece un vitalismo antistoriografico. La storicità comune incontra così il limite di una storicità autentica ma privata e incomunicabile. L'Esserci è un essere storico, e tuttavia in quanto mortale progetto gettato, non può far altro che aprirsi alla scelta delle possibilità tramandate, senza che la storiografia debba per forza occuparsene: l'autentico può non far rumore e non lasciare alcuna traccia. L'inautenticità invece è molto più organizzata e aggressiva, è pubblica, di massa, priva di soggettività, lavora inconsapevolmente per l'industrializzazione del mondo, mentre l'autenticità, malgrado il carattere originario e imprescindibile dell'essere-assieme - entra in azione soltanto nello scenario della vita individuale e rende soltanto possibile l'essere assieme storico autentico. La dittatura dell'inautentico produce una storiografia, che riesce a sostituire agevolmente, commercialmente, la storicità autentica e la conoscenza autentica che l'accompagna e che non necessariamente diventa storiografia dominante. L'ontologia esistenziale è inoltre un ritmo che si ripete, con due fasi che si alternano con variabilità imprevedibile. Quando l'Esserci diventa se stesso si ritrova ad appartenere all'Essere e deve affrontare la propria storicità prendendo la "decisione anticipatrice". Il -ci viene annullato in questa autenticità. L'Esserci viene richiamato nella storia, ovvero nell'istante in cui si confronta con le possibilità che gli vengono tramandate. Inevitabilmente l'Esserci ricade nel -ci, dove dovrà disperdersi tra le cose fino a quando la chiamata della cura, un silenzio angoscioso, lo riporterà di nuovo al suo destino di essere storico. Con questo ritmo l'Esserci si sposta nelle e fra le dimensioni della temporalità deformandosi come il tempo stesso. Struttura precaria ma complessa che si riconfigura continuamente, l'Esserci si realizza nell'anonimato di massa e poi si appropria di sè, annullando però la vita quotidiana. L'Esserci passa dalla dittatura del Si anonimo alla "decisione" (il suo destino) che lo rende libero e autentico. La chiamata della cura lo modifica all'improvviso. E' un flusso di modalità temporali ed esistenziali che si intrecciano congiungendo futuro e passato e abbandonando l'idea metafisica di soggettività sostanziale e di temporalità lineare.
Allora perché visitare la Grecia, se è la storicità autentica a farci comprendere il linguaggio in cui abitiamo, il linguaggio dell'Aletheia? Se è silenziosa la chiamata della Cura, perché il silenzio diventa lingua greca? Se poi la poesia di Hölderlin disvela l'eredità dell'antica Grecia, perché partire fra i turisti? Quando Heidegger nel 1964 visita per la prima volta la Grecia, la trova per così dire sequestrata, interpretata, come sostituita con una copia, invasa da un esercito nemico. Heidegger è inevitabilmente critico, viste le premesse, verso il sistema economico-politico nel diario di viaggio che dedica alla moglie: "Una potenza estranea aveva preso possesso di quella terra con il sistema delle prenotazioni e dei viaggi organizzati". E' l'industria del turismo che s'impone e allontana da "ciò che è", rendendo "incapaci di pensare alla frattura che separa l'oggi dallo ieri e di riconoscere il destino che regna nello spazio di questa frattura". "La tecnica moderna e, con essa, l'industrializzazione del mondo attuatasi con l'ausilio della scienza, si apprestano, con il loro elemento inarrestabile [Unaufhaltsames] a dissolvere ogni possibilità di soggiorno [Aufenthalt]". Non resta alcun luogo nel mondo industrializzato, amministrato, dominato dalla pianificazione calcolante, non c'è possibilità di pensare l'elemento greco, addirittura ci si sente in ogni luogo a casa propria; ma in che modo? Con l'aiuto della tecnica, come chi scatta fotografie "rinunciando alla propria memoria per sostituirla con un prodotto della tecnica". L'uomo è sostituito, messo da parte, la sua esperienza e la sua storia non servono più, soprattutto non è utile la sua decisione, la sua esistenza personale, caratterizzata e vitale. Oggi non si può soggiornare, dimorare, abitare, l'Esserci è nel mondo ma senza esperienza reale. Non si può nemmeno evitare di confrontarsi con la violenza dell'essenza della tecnica. Torna il confronto anche con l'elemento asiatico (pag. 38 di "Soggiorni. Viaggio in Grecia", ed. Guanda), ovvero probabilmente l'Unione sovietica e il rischio di una guerra atomica che distrugga l'umanità. Inevitabile quindi che la “chiamata” della Cura assuma un’altra forma.
L'industrializzazione, oggi, dopo Heidegger, è ancora più invasiva: ha conquistato ogni attività, l'elaborazione e diffusione del sapere, ha trasformato l'economia e ogni esperienza del mondo, occupato il tempo libero, colonizzato la socialità, trasformandola con dei programmi informatici. Sembra ad Heidegger che occuparsi della Grecia antica sia qualcosa di irreale. L'industrializzazione oggi appare più differenziata e caotica, capace di generare o sostenere nuove singolarità, meno trionfante eppure ancor meno contrastata. Heidegger non vede la crisi dell'industrializzazione stessa, una crisi continua, vede l'uomo "misero e confuso", in balia di un "progresso senza futuro". L'industrializzazione si rivolge a un consumatore che ha le stesse caratteristiche dell'inautenticità. L'inautenticità infatti fa sì che l'individuo sia sradicato, privo di un suo tempo e luogo, attivo anonimamente, confuso con gli altri, solo in una dimensione universale, in cui ogni tempo e luogo si equivalgono: è il fenomeno dello sradicamento, una delle categorie "abusive", non dichiarate, non fenomenologiche ma storico-culturali, che ricorrono clandestinamente in "Essere e tempo". 
Il § 27: «Nell'utilizzazione di pubblici mezzi di trasporto, nell'impiego di mezzi d'informazione [giornali n.d.r.] ognuno è altro fra gli altri. Questo esser- 'l'un con l'altro' omologa completamente il proprio esserci al modo d'essere "degli altri", e fa in modo che gli altri scompaiano ancora più nella loro diversità e nella loro distinzione. In questa non vistosità e non-constatabilità il Si dispiega la sua autentica dittatura» (pag. 185 trad. Marini, Oscar Mondadori) .
È questa la dittatura segnalata da Heidegger, che estrania e sradica l'Esserci, anche se l'inautenticità è tutt'altro che un fenomeno negativo: è la modalità forse prevalente ma provvisoria, destinata a uno scambio ritmico e imprevedibile con l'autenticità, possibile solo nell'intreccio di modalità temporali differenti e simultanee. La "chiamata della Cura" però è silenziosa. L'autenticità può interrompere il flusso delle chiacchiere in solo modo, con il silenzio. L'inautentico non ha territorio ed è sradicato, essenzialmente, dalla storia, perché la temporalità autentica gli rimane estranea. L'autentico invece ripete la possibilità ereditata nella lotta comune (paragrafi 72-75): la storicità autentica svela l'essere nel mondo autentico. Solo l'autentico ha un rapporto con territorio. È la temporalità autentica a disvelare l'ambiente in cui si trova l'Esserci. La storicità semmai si attua con questa lotta alla tecnica, nel tentativo che potrebbe ripartire dall'elemento greco, ammesso che si possa manifestare in modo genuino. L'inautentico mette l'uomo in balia dell'industria, del Gestell, della “imposizione”: Heidegger non vuole istituire il collegamento, che violerebbe la purezza della descrizione fenomenologica delle strutture esistenziali. Di fatto però, nel viaggio in Grecia, la curiosità dei turisti rende ancora più invasiva l'industria del turismo e l'esperienza della percezione dei monumenti di Atene diventa impossibile. L'inautenticità si rivela allineata all'industrializzazione del mondo. L'inautenticità consuma prodotti industriali, vive come deve vivere un consumatore, innanzitutto di informazioni. L'industria consente a ciascuno di produrre copie dell'ente alla mano, assecondando così l'avidità di possesso del Si inautentico, che vuol aver già visto e saputo tutto, in modo che nulla resti nascosto e misterioso. Non essendo nessuno, desoggettivato, è pervaso da un desiderio incontrollato e pantagruelico. È un desiderio di dominio: l'individuo desidera sentirsi al sicuro, avendo il controllo del suo mondo, poiché conosce ormai tutto. Il Si inautentico vuole impadronirsi di un mondo ma vive in una finzione e l'industria gliene fornisce i mezzi tecnici. Quel che conta però è che ciò che è visto è posseduto, lo si può quindi riprodurre: la tecnica è già attiva nel Si. L'industria così si afferma grazie a una volontà ben precisa di strumentalizzare le tendenze dell'inautentico: l'autenticità invece non incontra il mercato. E l'economia appassiona l'inautentico.
Soggiorni. Viaggio in Grecia. A pag. 49: «Ciò che oggi chiamiamo mondo è lo sterminato groviglio delle apparecchiature tecniche di informazione, che si è imposto alla physis intatta prendendone totalmente possesso, ed è ormai possibile conoscere la natura e intervenire sul suo funzionamento solo secondo un calcolo».
Heidegger prende le mosse dal vitalismo e dalla necessità di un'esperienza e di una decisione personali, non dal bisogno di una documentazione storiografica accurata. Questa eccezionalità dell'individuo si trova però a confronto con sistemi sociali ed economici organizzati per rivolgersi a un pubblico di massa. Il mondo è espropriato da una potenza anonima che funziona automaticamente, proprio come l'Esserci perde se stesso nell'inautenticità, che lo consegna a un gioco infinito e tuttavia insensato di rimandi da un ente intramondano all'altro. Questa pianificazione calcolante è tanto umana che disumana: l'Esserci si intrappola nel sistema razionale che ha creato con la forza della ragione. Il mondo vuoto di senso, abbandonato dagli dèi, dove i templi greci non riescono a esprimere l'elemento greco nella compagine delle percezioni, è proprio il mondo creato dagli uomini. L'umanità si auto-aliena, si auto-espropria, inconsapevolmente, seguendo semplicemente il proprio modo di vivere quotidianamente, che la allontana dall'Essere, dalla physis, dalla Grecia antica. Nulla è accaduto per colpa dolosa né per caso: Heidegger individua un'assunzione di responsabilità, non accusa un dominio ostile o una moderna forza di tirannia. La forza di questa desolazione è l'anonimato, il protagonismo di una folla coinvolta dalle operazioni degli apparati industriali che hanno trasformato il mondo in un meccanismo che a nessuno appartiene se non alla razionalità. Ma davvero non c'è un colpevole? Non c'è sfruttamento e tirannia? Sfruttamento e tirannia, classi dominanti, fanno parte della ratio dispiegata. Così il mondo è sparito: l'Essere è assente, quindi anche l'uomo perde senso, dominato dal suo razionalismo. L'inautenticità, modalità esistenziale, rende insuperabile l'industrializzazione con la quale si declina spontaneamente.


(Di Paolo Zignani)



Edizione consigliata:

Martin Heidegger,
Soggiorni. Viaggio in Grecia,
Guanda editore, 2012


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