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12 marzo 2018

Nicholas Roerich - Montagne d'immaginazione



Nicholas Roerich è un personaggio molto particolare nel panorama artistico di fine Ottocento. Figura di transizione in un’epoca costellata da sommovimenti di ogni genere, la sua attività non è facilmente inquadrabile. Non foss’altro perché la pittura, per quanto componente ricchissima e vitale in tutto l’arco della sua esistenza, riveste solo uno dei molteplici interessi culturali cui si dedicò con straordinaria energia. Nato a San Pietroburgo nel 1874, studente di legge per volontà del padre, Roerich nutrì fin da giovane un’incontenibile inclinazione per le arti figurative, tanto da frequentare in parallelo le lezioni all’Accademia di Belle Arti, oltre ai corsi di architettura e archeologia. Furono proprio queste due discipline a fargli intraprendere una carriera professionale che gli consentì di raggiungere progressivamente la piena realizzazione artistica. 

Ottenuta nel 1898 una cattedra all’istituto imperiale archeologico, alla soglia del nuovo secolo era già un elemento di spicco nello scenario culturale pietroburghese, e non solo. Studioso dello stato di conservazione dei monumenti russi (chiese e cremlini), teneva conferenze e continuava a coltivare il disegno e le ricerche indirizzate al patrimonio folklorico del suo paese – interesse antico, risalente alle lunghe estati della sua adolescenza trascorse presso la tenuta di famiglia a Isvara. Ambito disciplinare che più o meno nello stesso periodo e in aree geografiche diverse aveva calamitato attorno a sé alcuni dei più eclettici ingegni operanti sul doppio fronte etnologico e letterario; tra gli italiani si pensi a Giuseppe Tucci (1894-1984) e Maria Savi Lopez (1846-1940), singolare personalità di letterata e antropologa, autrice, tra i numerosi altri, di un ampio volume sulle leggende alpine.
La straordinarietà di Roerich consiste nell’aver mantenuto costantemente vive tutte le proprie innumerevoli passioni culturali, sentendo il bisogno di non abbandonarne nessuna ma trovando di volta in volta stimoli nuovi in grado di dare un apporto e fare da collante all’intera sua attività, dall’impegno politico a quello antropologico. Fu innanzitutto un curioso, animato dalla volontà di conservare memorie del passato, così da inseguire quelle vestigia ancestrali dell’umanità nei luoghi più antichi del mondo, fin nel cuore pulsante e sperduto dell’Asia. La sua e quella della moglie, Elena, compagna e musa fedele, nipote del compositore Modest Mussorgskij e pronipote del generale russo Kutuzov, è la storia di un’unione complice in tutto che li portò a condividere viaggi, percorsi di ricerca, scoperte, e in generale armonia e bellezza, i due pilastri fondamentali di ogni manifestazione d’arte e sapienza. Secondo Roerich infatti: «Ogni cosa, da un atomo a una stella, da un fiore ad un uomo, contiene in sé parti positive e negative e l’attenzione dell’uomo, poiché l’energia segue il pensiero, chiama alla vita quelle su cui si sofferma. Creare la bellezza ovunque, ad ogni livello e con ogni mezzo, sottolinearla e darle valore, significa lavorare per la rigenerazione del mondo».
A questo si ispirano anche i suoi quadri. Nel 1920 poteva già vantare un corpus di duemilacinquecento opere, quando venne invitato a trasferirsi negli Stati Uniti, dopo una breve parentesi da esule in Finlandia e a Londra, a seguito dei rivolgimenti nella madrepatria  e tuttavia nelle primissime fasi della rivoluzione venne reclutato quale presidente del Comitato di artisti creato dallo scrittore Maksim Gorkij, tanta era la buona fama e il rispetto di cui godeva da ogni parte. Alla fine della sua esistenza si conteranno ben settemila tele, cui vanno aggiunti milleduecento manoscritti ispirati a svariati temi e discipline. La prima esposizione itinerante di suoi dipinti venne prorogata per due anni di fila e gli permise d’essere conosciuto da New York a San Francisco. Nel 1924, un anno dopo la fondazione del Roerich Museum, ottenne i finanziamenti necessari per la grande spedizione asiatica a seguito della quale furono rinvenuti reperti e testi antichissimi, d’inestimabile valore. Nei lunghi e faticosi itinerari che lo portarono dapprima nella Russia del sud, quindi in Turkmenistan e poi ancora nel Sikkim, in Tibet, Cina e Mongolia, trovò il tempo e la concentrazione per realizzare quadri straordinari in cui catturò quell’immortale magnetismo himalayano che è tra le manifestazioni di poesia più compiute e preziose cui l’umanità possa attingere. Come capita spesso quando si è di fronte a personaggi di cultura mossi da molteplici talenti, la foga di volerne restituire un ritratto categorico e quindi statico, finisce per disperdere proprio quel che hanno di più prezioso: la vivacità delle intelligenze che non si sono risparmiate in nessun istante della loro vicenda terrena. Nel caso di Roerich si eccede credo nel farne un profeta relegato a culti esoteristi di diversa natura. Fatto salvo che l’orientalismo, con tutto ciò che comporta e perfino nei suoi risvolti maggiormente spiritisti, è stato un settore di studi alla base della sua attività, di qui a dipingerlo come un santone irrazionale significa semplificare e banalizzare proprio i contenuti filosofici, religiosi, storici che hanno alimentato la sua stessa ascesa come intellettuale e pittore. E in generale perdere di vista quelle schegge di bellezza che invece i suoi quadri, se osservati senza troppe sovrapposizioni analitiche, sanno indiscutibilmente donare a chi li avvicina con purezza di sguardo e sentimenti, che poi è la vera essenza perseguita e divulgata dal loro autore.


(Di Claudia Ciardi) 




Mount "M" - 1931



  Mount of five treasures (Two Worlds) - 1933



St. Sergius Chapel - 1936



Messanger from Himalayas - 1940



Sunsets



Gundla



Command of the Master - 1947*

è l'anno della scomparsa di Nicholas Roerich, morto in dicembre, le sue ceneri sono state tumulate ai piedi dell'Himalaya




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