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14 marzo 2019

Romanticismo alle Gallerie d'Italia


Si avvia alla chiusura la grande mostra sul romanticismo allestita nelle sale delle Gallerie d’Italia a cura di Fernando Mazzocca. Duecento opere, delle quali decine esposte qui per la prima volta, ci raccontano attraverso la pittura di paesaggio e la ritrattistica una stagione culturale dai connotati inquieti e oggetto finora di un interesse piuttosto superficiale sul versante italiano. 
Milano ripercorre i passaggi storici e civili che dal 1815 all’unità d’Italia stimolarono il suo spirito creativo, rendendola a tutti gli effetti una capitale moderna in grado di fare scuola nei diversi campi del sapere. Una sorta di zona franca e di comune dell’arte dove le contrapposizioni politiche tra tedeschi e italiani restavano fuori dalle mura delle accademie. Tratto che si ravvisa anche nella seconda metà dell’Ottocento quando gli italiani non si facevano problemi a frequentare le scuole austriache o tedesche di pittura né gli artisti di quei paesi disdegnavano di soggiornare in Italia. Emblematico di questo ininterrotto travaso spirituale, dopo la tempesta romantica, può dirsi il simbolismo che sovrappose i variegati spunti di matrice francese dai Nabis a Gauguin alle personali interpretazioni di ascendenza italiana e germanica, una contaminazione indirizzata alla ricerca di linguaggi che traghettassero l’arte al di là dell’impressionismo.
In un tale stratificarsi di culture e ispirazioni Milano si è posta indiscutibilmente come polo attrattivo, rinnovando nei decenni la propria offerta e la capacità di riunire attorno a sé gli ingegni più promettenti che hanno lasciato una traccia durevole della propria attività. Del romanticismo italiano poco si è parlato in ambito specialistico e in generale nell’analisi delle nostre tendenze artistiche d’inizio Ottocento, ed è mancata ad oggi una sua rappresentazione pubblica, lacuna che questa mostra ha voluto colmare. Connotato come un fenomeno del nord Europa, si è teso a minimizzare il contributo del nostro paese che invece scopriamo vitale e trasversale, in senso geografico, perché ha coinvolto artisti di provenienze regionali diverse, tutti accomunati da un’idea profondamente emotiva attraverso cui leggere la natura, i caratteri umani e perfino la quotidianità urbana. Le finestre degli studi d’artista aperte su strade e piazze si trasformano in occhi che non solo ci restituiscono un’istantanea di vita appartenente a un luogo, ma perforano la realtà, scomponendola in geometrie sentimentali, vedute e ritratti scaturiti dal caleidoscopio dell’anima.
La rassegna prende non a caso le mosse da Giacomo Leopardi, che ha saputo rendere in poesia il più bel panorama dell’infinito, sonetto con cui s’inaugura una sensibilità nuova affidata ai versi e di cui ricorrono quest’anno i duecento anni. Il più romantico dei nostri poeti, seppure siano da includere nella temperie le pennellate foscoliane di Alla sera e l’intimismo gotico, sulla scia dei Canti di Ossian del Cesarotti, germogliato nei Sepolcri, non poteva che inaugurare il percorso milanese accanto a una grande tela di Caspar David Friedrich, Luna nascente sul mare (1821), in prestito dall’Ermitage di San Pietroburgo, e due suoi disegni di stupefacente modernità a grafite e seppia. Il romanticismo italiano trova inoltre i suoi iniziatori nell’opera dei grandi maestri dei paesaggi piemontesi, De Gubernatis, Bagetti, entrambi topografi per l’esercito sabaudo, e poi ancora Reviglio, D’Azeglio migrati dalla Gam di Torino nelle sale milanesi. Il loro sguardo affascinato sulle Alpi, gli acquerelli dedicati a ignote contrade silvane, talvolta d’invenzione, architetture che sembrano il frutto di un incantesimo come la Sacra di San Michele sospesa tra cielo e terra in un vortice immaginifico. E l’inevitabile accostamento con Turner, che alle comodità di un lungo soggiorno a Parigi preferì i contrafforti alpini, catturando l’eterno della luce sulle vette. La sua resa dell’esercito di Annibale perso nella nebulosa di neve e vento richiama l’invasione napoleonica ma più che descrivere le contingenze della storia aspira a immortalare il senso di inadeguatezza se non di disagio dell’essere umano a confronto con gli elementi naturali.
Una cospicua sezione è quindi dedicata alle campagne lombarde, laziali e a tutta la scuola del vedutismo meridionale. Anche qui non senza incursioni e saggi dei medesimi temi per mano dei maestri europei; su tutti La cascata delle Marmore di Corot con le sue vivide campiture di colore che trasmettono frontalmente all’osservatore il moto vorticoso dell’acqua e la vertigine del salto.
Spettacolare proprio lo studio delle rifrazioni della luce sul mare o i lungofiumi o negli specchi lagunari soprattutto in condizioni atmosferiche difficili  – Venezia è un centro elettivo per cimentarsi, la pietra scolpita dall’acqua e la laguna come spazio aperto e selvaggio in contrasto ma anche spettacolare armonia con le architetture della città. Qui è nato il capolavoro di Ippolito Caffi, mai esposto prima di questa occasione, che ha letteralmente ipnotizzato i visitatori, Eclisse di sole alle Fondamenta Nuove, 1842.
C’è qualcosa nella devozione di tali artisti verso i soggetti da loro prescelti che sa di fatale trascendenza. Se ci si sofferma sulla vicenda biografica dello stesso Caffi, morto nella battaglia di Lissa per documentare il mare sconvolto dalla guerra, o di Giovanni Carnovali, detto il Piccio, morto annegato nel Po mentre cercava misteriosi scorci da dipingere, si resta attoniti. Di rimando ci sovviene il destino che ghermì Shelley sorpreso da un fortunale sulla sua piccola imbarcazione a largo della Versilia. Artisti morti per la volontà d’immergersi completamente nella bellezza di una natura sconvolta, per quella tensione simpatetica che li ha gettati tra le braccia del sublime fino al più tragico epilogo. Di tutte le riscoperte innescate dal romanticismo, dall’omaggio alle rovine gotiche su cui s’innesta quel mirabolante gioco di mimesi e ripresa che è il neogotico, dal ritratto di persone e cose non più celebrativo ma introspettivo, al canto del paesaggio nei suoi accenti contesi fra umana operosità e assalti di natura, è forse lo studio dei cieli, l’osservazione di quei repentini cambiamenti di luce, colore e forma delle nubi, ad influenzare in maggior misura l’immaginario d’inizio Ottocento.
Questo evento milanese ci riavvicina a una sensibilità troppo spesso liquidata come accessoria, se non avulsa dal tessuto culturale nostrano, mentre qui se ne riscopre l’originalità autoctona, la forza commovente e l’indiscussa eredità che è andata riverberandosi in tante espressioni novecentesche.

(Di Claudia Ciardi)


* Le prese sono state autorizzate dal personale della mostra. 



 Caspar David Friedrich, Finestra dello studio a Dresda, grafite e seppia, 1805-1806



Giuseppe Pietro Bagetti, Notturno con nubi.



Il gotico ad Altacomba - Sepolcri dei Savoia



Altacomba - dettaglio



Angelo Inganni, Veduta sulla Piazza del Duomo, 1838



Ippolito Caffi, Eclisse di sole alle Fondamenta Nuove, 1842







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