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21 maggio 2021

Ritratti rituali

 

Fotografare l’antico significa porsi in un dialogo vivo con i segni del passato, con le tracce di un’umanità che ci pare talvolta lontanissima, inafferrabile perché da lei ci separano secoli o anche millenni. Eppure un mezzo così innovativo, questa prodigiosa scrittura fatta di luce, a contatto con i reperti delle civiltà inghiottite dalla storia sembra rivelare ancor più interamente il proprio incantesimo.

Il lavoro di Luigi Spina sulle terrecotte votive sidicine si apre come una porta sulle memorie di una cultura che ha lasciato tracce assai labili nella latinità, dal momento in cui Roma, accrescendo la sua posizione, divenne la grande accentratrice e livellatrice delle presenze italiche. Un soggetto sfuggente, dunque, in quando difficile da collocare e da leggere. L’arte del fotografo, che alla perizia tecnica, peraltro basata su scelte oggi considerate quasi fuori dagli schemi – il banco ottico e la pellicola di grande formato – unisce tutta la forza dello scavo introspettivo, ci restituisce espressioni e gesti su cui si azzera la distanza, di fronte ai quali restiamo immersi in una sorta di estasi contemplativa che ce li rende incredibilmente contigui. Questo progetto invita anche a considerare come il patrimonio archeologico possa uscire dal rigore delle classificazioni e del racconto documentale, per attingere ad altri livelli narrativi cui il medium della fotografia si presta con estrema duttilità. Le ombre e le luci dell’immagine scattata, il taglio dato, l’osservazione di un contesto non finalizzata all’opera scientifica del rilievo ma incline a suscitare nessi emozionali – lo si vede bene qui nelle grandi tavole dei paesaggi che Spina volutamente alterna ai suoi ritratti rituali – fanno sì che un reperto assuma su di sé un’esistenza multiforme, viene da dire metamorfica. La staticità di una storia conclusa, l’abbandono dettato dal passaggio del tempo vengono annullati dalla fotografia, sono anzi capovolti, mutati di segno, così da confluire in un nuovo perturbante impulso vitale. Guardando questi visi, i panneggi di statue mutile, i giovani guerrieri, i frammenti di bambini issati su spalle femminili rinasce un universo sensibile, un mosaico di valori che hanno composto un’identità culturale che si credeva morta, improvvisamente riaffiorati. Così il ritratto conduce fino a noi il respiro disperso dell’umano.
La dea Popluna, alter ego italico di Demetra, benefattrice del popolo, è la regina indiscussa dell’immaginario che ruota intorno a questo frammento di civiltà. Donne-madri e uomini-soldati, fin da giovanissimi avviati all’arte della guerra, ci dicono di un territorio le cui sorti dipendevano per l’appunto dai buoni raccolti, dalla fertilità femminile e dal saldo controllo delle vie d’accesso alle aree appenniniche della Campania interna e del Sannio. I modelli figurativi vengono dalla Grecia. Le korai, alla base delle rappresentazioni del mondo etrusco italico tra il VI e il V secolo a. C., sono tuttavia intrepretate con tecniche originali. La graduale assimilazione della maniera sidicina nel più vasto alveo della cultura italica del periodo medio-repubblicano si leggerà proprio in un maggiore allineamento allo stile greco-ellenistico. Ad esempio attraverso il canone di Lisippo, cui si uniformarono le principali botteghe coroplastiche dell’area italica, qui ben rintracciabile in alcune teste di Eracle.

La campagna di Luigi Spina s’inquadra peraltro in una stagione celebrativa importante per gli studi sui popoli italici e il loro confronto con la latinità. Nel 2006 si festeggiarono infatti gli ottanta anni di Werner Johannowsky, tra gli studiosi di punta delle aree campane, promotore di importanti e fortunate campagne di scavo, nell’ambito di un ritrovato impulso alla ricerca grazie al programma messo in atto dall’Istituto Archeologico Germanico di Roma. L’allora direttore Dieter Mertens scriveva: «Senza dubbio il nostro interesse scientifico nei confronti di questa tematica è influenzato da problemi attuali della nostra società, un fatto che tuttavia non costituisce uno svantaggio, in quanto rende lo sguardo ancora più acuto. Tuttavia la sola, pur rigorosa classificazione dei materiali, come anche l’esigenza di una comprensione storica delle evidenze archeologiche, non esauriscono il vasto campo dell’esperienza dell’antico. Così il volume che si presenta, al quale è affiancata una mostra documentaria, comprende le intense interpretazioni fotografiche di Luigi Spina che offrono un piacere estetico spesso dimenticato nei monumenti archeologici e nella loro presentazione».

Sono considerazioni ancor più valide e incisive oggi, per noi che abbiamo attraversato e stiamo attraversando un periodo così complesso, un percorso pieno di insidie per i beni culturali, tra chiusure, alcune anche definitive purtroppo, e varie forme di oblio che vengono a minacciare l’arte nella stagione segnata dalla pandemia. Ora più che mai c’è bisogno di uno sguardo sentimentale, di un modo di comunicare la bellezza che riaccenda la passione per la vita, che spinga con ancor più energia l’avventura umana.


(Di Claudia Ciardi)

 

Catalogo:

Luigi Spina, Ritratti rituali. Terrecotte figurate di Teanum Sidicinum, testi di Roberto Mutti e Francesco Sirano, Federico Motta editore, 2006.

 

Ritratti e figure votive



Dignitari e fanciulle - Una delle caratteristiche della coroplastica sidicina è la cura per i dettagli

 

Ritratti di dignitari con copricapo prodotti nella bottega locale sidicina (VI sec. a. C.)

 

Teste di Eracle eseguite secondo lo stile di Lisippo, ispirate in particolare al suo ritratto di Alessandro Magno


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