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22 gennaio 2013

genius loci


genius loci


Estate?
di Franz Hessel
Traduzione di Enrico Venturelli

….Quindi fece cenno alla ragazza, che aspettava stupita sulla soglia con lo zaino in mano, di posarlo sul pavimento. «Non sono affatto fuori di me» dichiarò Eduard «e se il caldo ha provocato in me qualche mutamento, beh, allora mi ha reso chiaroveggente. Pensa, oggi ho fatto un sogno a occhi aperti. Ero a letto, stanco, nel dormiveglia pensavo ancora ai tuoi e ai miei progetti di viaggio, a quelli della gente e all’ossessione che tutti hanno di viaggiare; in quel momento, beh…sì…in quel momento ho sentito una voce!».
«Oddio!».
«Proprio così: una voce, la voce della buona, vecchia Berlino».
«E che cosa ha detto la dea? Che aspetto aveva?».
«Non aveva nessun aspetto, si sentiva solo la sua voce. Diceva: “Andate pure, raggiungete il vostro ozono, scuotete la mia polvere dalle vostre scarpe, immagazzinate aria di montagna, riposatevi e oziate al mare, lasciate che le vostre fidanzate si abbronzino, fate incetta di curiosità nel corso del vostro viaggio, andate e restate via per un po’ di tempo. Io, intanto, mi prenderò un po’ di riposo da voi. Avrò la mia estate tranquilla e pervasa di ronzii. Mi crogiolerò al sole. Le mie pietre, per il resto dell’anno avvolte dall’umidità e dal gelo, assorbiranno ed emaneranno calore, si dilateranno oltre i loro limiti e prenderanno vita. Verranno le mattine di domenica per le mie strade: allora avrò spedito nei dintorni, nel verde, anche la povera gente che era rimasta a casa. Allora il mio selciato avrà una tregua da tutti quei passi pesanti e da quei piedi che inciampano continuamente. Si distenderà in lunghe strisce non più calpestate da nessuno. Allora in me, la più piatta delle città, silenziosamente si formeranno dei rigonfiamenti, simili a un ginocchio o a un’anca, e respirerò sollevandomi e abbassandomi. Dietro le persiane calate delle abitazioni e le saracinesche degli stabilimenti chiusi, nelle grotte vuote delle ninfe nei vecchi quartieri di svago e in quelli nuovi, soprattutto di giorno, avrò finalmente il mio sonno da bella addormentata. Solo per me e per il pallidissimo bambino del portiere, che ora può grattare tranquillamente la sabbia fra le pietre, le case che danno sui miei cortili diventeranno sinistri castelli e ariosi palazzi. E i tre gradini dell’entrata laterale diventeranno l’ingresso al paradiso. I cantieri si trasformeranno in rovine assolate o in miniere che languiscono per uno sciopero pacifico. Lungo le mie ridicole facciate del periodo del cattivo gusto scivola la polvere delle pietre che si sbriciolano, con allusiva lentezza, come la sabbia in una clessidra. Le statuarie bambole sui miei ponti, agli angoli delle strade e nelle piazze, possono sgretolarsi indisturbate (come vecchi cavalli a dondolo) e divenire opere mutilate, finché voi non tornerete a ripararle. Se solo facesse veramente caldo! Allora le mie grinze luccicherebbero come una ragnatela al sole, le mie grinze di pietra, e io diventerei rispettabile come una vecchia signora. Da tutti i batteri che voi evitate e dalle malattie della pietra esala una sostanza che si estende come il verderame sui miei fianchi e io, Berlino, acquisisco carattere! Io, città grande, attendo con gioia il tempo in cui mi svuoterò degli uomini e mi riempirò di me stessa. Molte di queste estati faranno forse di me una grande città”».


Frans Masereel, tavola d'apertura de La Città

Frans Masereel, erste Zeichnung von Der Stadt

L’anima dei luoghi
di Attilio Brilli

Docente di letteratura
anglo-americana presso l’università di Siena,
esperto di letteratura di viaggio

«Etruria Oggi»
Anno XXX
dicembre 2012
numero 84

«Gli antichi lo chiamavano genius loci, intendendo con questo termine la divinità che protegge un luogo, una campagna o una città, che lo anima e ne determina l’inconfondibile identità. Esso deriva dal più generale genius, o spirito buono o cattivo, che, secondo la tradizione degli antichi, assiste ogni uomo dalla nascita alla morte ispirandone l’indole e le azioni. Nell’Eneide, poema di fondazione e grande compendio della cultura classica, assistiamo all’apparizione della divinità tutelare del luogo. Veleggiando verso l’Italia, Enea è costretto da una tempesta ad approdare in un porto della Sicilia dove è accolto dal troiano Aceste. Mentre s’appresta a celebrare sacrifici in onore del padre, morto nell’isola un anno prima, vede sbucare un serpente da dietro la pila di sassi in forma d’altare. Dinanzi a questa vista Enea riprende le onoranze al padre “con maggor devozione”, chiedendosi se il serpente sia un emissario del genitore o piuttosto il nume tutelare del luogo. Non meno significativa, anche da un punto di vista rituale, è l’altra occasione in cui Virgilio si riferisce allo spirito del luogo. Non appena giunge in terra laziale, alle foci del Tevere, fatidico approdo della storia di un popolo, Enea si corona le tempie d’un ramo frondoso e “prega lo spirito del luogo”. Era vitale infatti per gli antichi venire a patti con il genius della località nella quale si sarebbe svolta, seppure in via temporanea, la loro esistenza. In una cultura di tipo animistico, tale rapporto emana un’influenza decisiva, determina la scelta del sito e, nel sito, la disposizione degli edifici e il loro rilievo simbolico e rituale.»

[…]

«Una volta spogliati dei miti, i luoghi perdono l’anima per sempre, perché tornano a partecipare della mera natura delle cose che, prese in sé, come diceva Coleridge, sono “essenzialmente fisse e inanimate”. Tuttavia, inseguendo il destino delle antiche divinità nella civiltà occidentale, più che di scomparsa dovremmo parlare della loro dolorosa sopravvivenza, della trasformazione in creature informi, vagamente inquietanti e fuggitive. Ma come e perché è avvenuto tutto questo? E come è possibile cogliere simili, elusive presenze in un luogo concreto e reale, in un paesaggio o in una città di cui si percorrono con mezzi meccanici le strade?
A questi punto ci viene in soccorso uno scritto singolare, Gli dei in esilio (1854), in cui Heine narra come il trionfo del cristianesimo abbia bandito le divinità pagane e le abbia costrette a un’esistenza clandestina, sfuggente, tenebrosa e a riapparire nel mondo sotto mentite spoglie. La fede popolare ha attribuito a queste esiliate divinità, sostiene Heine, un’esistenza reale, ma maledetta. In questo essa concordava con la dottrina della Chiesa che non le considerava affatto fallaci chimere, come sostenevano i filosofi, bensì degli spiriti malvagi capaci di ostentare, nella loro deformità, i segni della condanna di Cristo. Questo vuol dire che le divinità pagane ritornano nei luoghi da cui furono bandite portandosi appresso l’eco del loro destino e assumendo una malinconica, umbratile elusività.
Quanto più si è perduta l’idea di una presenza spirituale nella natura, tanto più si è sviluppato il senso di una vitalità misteriosa delle cose. Con questa intuizione, Ruskin coglieva la parvenza estrema dello spirito del luogo e la consegnava a pittori, poeti e viaggiatori moderni. Alla fine del XIX secolo i paesaggi di Böcklin, di Costa, di Coleman si animano di satiri, di centauri e di ninfe, non solo come riferimento colto alla memoria classica, ma come allusione al vitalismo panico e misterioso della natura e alla sua forza rigenerante, insidiata però dal senso struggente della sua perdita irrevocabile. Gli elementi ricorrenti della pittura del paesaggio classico – isole, promontori, dimore in rovina, annosi cipressi, statue solitarie – vengono sottoposti a una trasfigurazione nostalgica che ne fa i luoghi dell’enigma e del mistero. La natura nel suo insieme appare vagamente abitata da presenze imponderabili, prigioniera come loro della malinconia, della perdita e dell’esilio.»
[…]
«La ricerca dello spirito del luogo diventa quindi un viaggio iniziatico nel quale colui che osserva un paesaggio o visita una città non è molto diverso dal rabdomante che “sente” una presenza nascosta, ammutolita da secoli, eppure disposta a parlare ove venga interrogata con discrezione e con tatto. Accade così che la comparsa del genius, nel quale sono comprese le qualità morfologiche di un luogo e i segni della sua particolare civiltà, possa assumere la caratteristica di un’inerme familiarità. Posando lo sguardo sui “piccoli giardini di Adone” del duomo di Arezzo – erano detti così gli assembramenti di piante in germoglio poste dinanzi all’altare nel corso della Settimana Santa – Vernon Lee vi colse un giorno, agli inizi del XX secolo, il messaggio trasmesso dal paganesimo al mondo cristiano, il ricordo della divinità che col suo sangue fa rifiorire la terra. L’idea di genius loci di Vernon Lee, di Walter Pater e di altri esteti nasce appunto dalla percezione di questa latenza sepolta, da questa irriducibile memoria pagana della quale sono permeati i luoghi o della quale, per meglio dire, è inconsapevolmente intrisa la nostra cultura.
Tuttavia a partire dall’allusiva vaghezza fin de siècle, il concetto di spirito del luogo è venuto acquisendo una propria funzionale dimensione. Con esso s’intende oggi il carattere dominante e inconfondibile attraverso il quale si presenta un luogo, ovverosia il genere di rapporto che ha saputo intessere con lo spazio e con il tempo. Quando una città antica o moderna – il pensiero corre a quelle straordinarie arche di storia che sono le cittadine collinari toscane – affascina per la compatta, impeccabile congruità vuol dire che i suoi edifici intrattengono un rapporto armonico con l’ambiente circostante e che sono l’espressione naturale di forme di vita condivise. Quanto al rapporto con il tempo, parlare del genius loci significa attingere al cuore della civiltà occidentale con le sue conquiste e le sue drammatiche lacerazioni. Si tratta di un viaggio che permette di ritrovare quanto è stato disperso dal diffondersi di una cultura omogeneizzante e globale, un viaggio che consente di percepire forze sopite, di partecipare ai pensieri di personaggi vissuti in tempi talmente lontani da non essere lambiti nemmeno dalle sonde della storia. E questo è possibile anche perché nella connaturata elusività dello spirito del luogo, nel suo manifestarsi improvviso e inatteso, è inscritta la cifra del nostro stesso destino, del nostro limite, della nostra fugace felicità.»

Il rito delle Aiora
Disegno tratto da un reperto rinvenuto a Chiusi nel 1846, attualmente custodito a Berlino
Links:

Aiora.it

Aiora.de

Georg Heym, Ci invitarono i cortili - Die Höfe luden uns ein
a cura di Claudia Ciardi, Via del Vento edizioni, dicembre 2011

"A selection of poems by the Expressionist poet Georg Heym (Hirschberg, Silesia, 1887 - Berlin, 1912)
In collaboration with Angela Staude Terzani"

Postface/ postfazione: Il dio della città - Der Gott der Stadt

Georg Heym - album/Caffè d'Europa


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