Margini in/versi di Claudia Ciardi.
Dieci anni di ricerche e scritture (2012-2022), alla base dei miei libri e della mia opera creativa, più di quattrocento articoli liberamente condivisi.
Sources of research and shared teaching material. https://margininversi.blogspot.com/
Pagine
▼
29 gennaio 2013
Giorni della memoria - Tage der Erinnerung
«Nell'Uomo di Kiev (1960) dell'ebreo americano Bernard Malamud, Yakov Bok, il misero tuttofare in cerca di fortuna che lascia lo shtetl, trova nel mondo, a Kiev, la trappola esistenziale e i patimenti più atroci. Appena partito, Yakov si trova inghiottito nel nulla, perduto in un'invalicabile lontananza kafkiana e sommerso da nevicate immaginarie. "Se fossi rimasto nello shtetl...": nel carcere, nella fame, nelle torture ritorna come un fantasma il dubbioso interrogativo. "Se fossi rimasto nello shtetl non sarebbe mai successo... Una volta che te ne vai, sei fuori all'aperto: piove e nevica. Nevica storia. Tutti siamo nella storia, questo è sicuro, ma alcuni ci sono dentro di più degli altri. Gli ebrei, più della maggioranza. Se nevica, non tutti sono fuori a bagnarsi ... [...] Con meno storia in giro si potrebbe passar via, o attraversarla: sembra pioggia, ma c'è il sole"».
Claudio Magris, Lontano da dove
IL DUPLICE TRAMONTO
Lo sterminio degli ebrei e la pulizia etnica dei tedeschi dall’Europa centro-orientale
Il Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale e la Biblioteca Austriaca organizzano a Trento, mercoledì 30 gennaio, alle ore 17,30, nella Sala degli affreschi della Biblioteca comunale (Via Roma 55), l’incontro-dibattito Il duplice tramonto. Lo sterminio degli ebrei e la pulizia etnica dei tedeschi dall’Europa centro-orientale. Interviene Fernando Orlandi. Introduce Massimo Libardi.
Con l’incontro-dibattito Il duplice tramonto. Lo sterminio degli ebrei e la pulizia etnica dei tedeschi dall’Europa centro-orientale prosegue il ciclo di incontri “Narrare la storia. Il Novecento nella letteratura tedesca”, organizzato dal Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale con la collaborazione della Biblioteca Austriaca.
Gli ebrei dell’est, gli Ostjuden, incarnavano il carattere transnazionale, la disorganicità e l’irrequietezza che definiva la Mitteleuropa rispetto agli stati nazionali. Erano inoltre gli unici a riconoscere in una lingua, lo yiddish, e non in un territorio, l’elemento fondamentale della loro identità. Proprio questo rapporto tra comunità e lingua riveste una notevole importanza nel definire la complessa identità dello spazio mitteleuropeo. Tra Otto e Novecento il tedesco si afferma come una sorta di lingua franca delle molteplici comunità, ben oltre i confini dello stesso impero asburgico e di quelli del Reich tedesco. Non si sostituisce alle lingue nazionali, ma convive accanto a lingue e culture diverse: Elias Canetti e Gregor von Rezzori hanno dato un mirabile quadro di questo intreccio. Il tedesco inoltre costituiva la lingua colta praticata in molte comunità ebraiche dalla Polonia alla Boemia, dalla Bulgaria alla Romania e per un tragico paradosso l’Olocausto inferse un colpo mortale a questa vitalità transnazionale del tedesco.
Per molti intellettuali ebrei era infatti proprio la lingua tedesca a rappresentare il Mutterland, neologismo coniato da Rose Ausländer come fusione di Muttersprache e Vaterland. Di sé Elias Canetti scrisse “io sono solo un ospite della lingua tedesca”, e nel primo volume della sua autobiografia narra come nella natale Rustschuk, cittadina bulgara sul Danubio oggi Ruse, si potessero ascoltare nel corso della giornata “sette o otto lingue” e di come lui abbia scelto il tedesco come lingua in cui abitare. Anche dopo il 1945 Canetti scriverà: “La lingua del mio spirito continuerà a essere il tedesco, e precisamente perché sono ebreo”. Sono queste, parole che se esprimono il profondo legame degli ebrei con la lingua e la cultura tedesca dall’altra parte indicano una lacerazione che non sarà più ricomposta, quella per cui la propria lingua madre è diventata la lingua degli assassini.
Lo sterminio degli ebrei cancellò questo mondo. L’ebraismo orientale, e più in generale gli ebrei, sono stati spesso accusati di passività per non avere fatto resistenza all’internamento nei ghetti. Ma episodi di resistenza si sono avuti, e la rivolta del Ghetto di Varsavia è uno dei momenti più alti di questa resistenza. Uno dei libri più inquietanti su questa rivolta e lo sterminio degli ebrei è Il canto del popolo ebraico massacrato di Yitzhak Katzenelson, davanti al quale, ha scritto Primo Levi, “ogni lettore non può che arrestarsi turbato e reverente”. Protetto e nascosto da alcuni amici, Katzenelson, assieme al figlio maggiore, grazie al passaporto straniero di cui era entrato in possesso, nel maggio 1943 viene trasferito da Varsavia alla residenza coatta di Vittel, in Francia. La moglie e gli altri due figli invece erano già stati deportati a Treblinka. In Francia Katzenelson tiene un diario, ma soprattutto scrive Il canto, monumento funebre agli ebrei d’Europa. Per precauzione, come peraltro faceva chi cercava di preservare la memoria degli avvenimenti, nasconde i manoscritti in contenitori di latta, poi sepolti.
Sulle deportazioni operate dai nazisti molto conosciamo, al punto che lo stesso termine deportazione è stato associato pressoché esclusivamente all’invio nei campi di concentramento e in quelli di sterminio del Terzo Reich. Ma mentre la Seconda guerra mondiale stava terminando e soprattutto dopo la sua cessazione, ad essere vittime furono le popolazioni germanofone dell’Europa centro-orientale. Non si trattava di nazisti, ma indiscriminatamente vennero colpiti tutti i Volksdeutsche, popolazioni germanofone che si erano insediate in quei territori da secoli, a partire dalla Ostsiedlung, la colonizzazione della parte orientale dell’Europa, attuata dai popoli germanici nel medioevo: una grande migrazione, nel corso della quale i tedeschi fondarono insediamenti nelle regioni meno popolate dell’Europa centro-orientale e orientale. Nel 1945 saranno vittime di una grande pulizia etnica, deportazioni accompagnate da ogni sorta di brutalità (rapine, stupri, omicidi), un esodo forzato nel corso del quale perirono milioni di persone.
Da Vittel, dove forse sarebbe riuscito a espatriare, Katzenelson viene deportato ad Auschwitz, e qui troverà la morte. Terminata la guerra, Miriam Novitch, che lo aveva aiutato a nascondere i suoi scritti, li disseppellisce e così Il canto viene subito pubblicato: “Ahimé, non c’è più nessuno... c’era un popolo, era non c’è più... c’era un popolo... e ora è scomparso!”. La fine della Seconda guerra mondiale segna così un duplice tramonto: quello delle culture degli Ostjuden e dei Volksdeutsche: “O sciocco goy, hai sparato all’ebreo ma la pallottola ha colpito anche te”.
Nessun commento:
Posta un commento