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8 novembre 2017

Il movimento giovanile tedesco




Paul Ranson, Strega con gatto e corvi, 1893 



È un argomento complesso, esteso quanto poco studiato in Italia. Sebbene le fonti non manchino, di monografie storiche finora prodotte nella nostra lingua se ne contano in numero davvero esiguo, una lacuna ancor più evidente considerando che si tratta di un tema dalle vaste implicazioni culturali e politiche, con il coinvolgimento di migliaia di persone in Germania, in un’epoca che fu di rottura e profondi rivolgimenti sociali – l’ultimo decennio dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento, fase di turbolenze anche nel resto d’Europa. Non solo, ma la Jugendbewegung (Movimento giovanile), nel corso della sua crescita e del suo consolidamento territoriale, coinvolse alcune tra le figure più carismatiche e note dell’intellighenzia tedesca, che proprio allora iniziavano a farsi conoscere.
A uno scarso approfondimento di questo fenomeno corrisponde non a caso una certa fretta nel liquidare gli esordi di tali personaggi, vuoti che tuttavia pesano perché la loro adesione alle istanze movimentiste fu in molti casi tutt’altro che superficiale. Questa scelta si accompagnò infatti a svolte decise nei loro interessi di studio, nell’appoggio o meno alla guerra, nei modi in cui le proposte dell’avanguardia avrebbero trovato uno spazio di rappresentanza più o meno rilevante nella loro opera.
Valgano a titolo d’esempio due personaggi alquanto diversi fra loro, Walter Benjamin e Ernst Jünger. Entrambi si unirono alle file del movimento intorno agli anni Dieci del Novecento, quando la militanza nei gruppi giovanili aveva già subito una mutazione rispetto all’idealismo delle origini, allontanandosene. Per Benjamin fu principalmente la molla dell’interesse letterario che avrebbe voluto saldare a un preciso impegno sociale; è così spiegata la sua freddezza nei confronti dell’uso delle arti come proscenio avanguardista fine a se stesso, e dunque una presa di distanza dalla rumorosa, quanto a suo parere effimera, bohème berlinese. Ciò tuttavia non gli impedì di far parte della rivista «Der Aktion» di Franz Pfemfert, che di quel mondo sommerso era espressione, nello stesso periodo in cui scriveva anche sulle pagine di «Der Anfang», il periodico della Jugendbewengung allineato alle posizioni del suo carismatico presidente, Gustav Wyneken.
Per Ernst Jünger era questione di partecipare allo svecchiamento del mondo monarchico, ma nell’ottica di un attivismo che non avrebbe disdegnato l’entrata in guerra, unico viatico, soprattutto per la generazione più giovane, attraverso cui innescare un rovesciamento di potere. Prima che molti constatassero l’inganno, ossia pretendere di voltare le spalle al vecchio mondo senza rendersi conto che si stavano abbracciando le soluzioni più reazionarie al problema, fra le quali la guerra fu di certo la più estrema, il disastro si era già consumato. Il dopoguerra portò in Germania una repubblica istituzionalmente fragile, che non seppe e non volle consolidarsi, perché troppe porte vennero lasciate socchiuse a invito del conservatorismo ottocentesco, uomini della passata classe dirigente costretti a fare i conti col proprio arretramento e perciò ispirati da veleni revanscisti. 
Se all’inizio il Movimento giovanile esprimeva una generica insofferenza per l’irruzione del capitalismo in una società a basi contadine, in un sistema di vita sorretto da strutture ancora marcatamente rurali investite dai moti convettivi della fabbrica e dell’occupazione in città, luogo eletto all’anonimato della massa e alla metamorfosi espansiva della metropoli, se cioè all’inizio la protesta fu impulsiva e pressoché apolitica, con il suo radicamento territoriale assunse un carattere più vicino agli apparati di potere e, dunque, una sua collocazione politica, pur permanendo al suo interno una pluralità di registri.
Anche in questo la Grande Guerra irruppe come uno spartiacque, avviando il Movimento a una sempre più marcata degenerazione di stampo nazionalista conservatrice, portandolo gradualmente a corteggiare gli ambienti dell’estremismo di destra. Mentre Jünger si arruolò volontario in fanteria, per Benjamin lo scoppio della guerra significò schierarsi su posizioni apertamente antimilitariste. Ne scaturirono lettere infuocate all’indirizzo di Gustav Wyneken con l’accusa di “tradimento della gioventù”, sull’onda anche del suicidio del ventenne poeta Heinle, imputabile forse ad una crisi di coscienza tra alcuni dei militanti e la rottura che si sarebbe consumata di lì a poco. L’esperienza dello Sprechsaal berlinese in cui studenti e simpatizzanti si riunivano per enunciare e discutere i principi del movimento, così come quella delle case in condivisione affittate dagli attivisti, chiuse i battenti di lì a poco. Più o meno mentre ancora la comunità studentesca si rivolgeva alla chiesa evangelica per ottenere un lotto di terra consacrata in cui seppellire Heinle e la compagna, incontrando secchi dinieghi – i due si erano suicidati e il moralismo di targa aristocratica ed evangelista non ammetteva deroghe.
Quando la Jugendbewegung organizzò il grande raduno nazionale sul Monte Meissner in Assia, nel 1913, in occasione del centenario della battaglia di Lipsia, patriottismo, revanscismo e ossessioni belliche già da un po’ di tempo avevano cominciato a infiltrare lo spazio della protesta e ad appiattire il dibattito culturale al suo interno. La scelta significativa dell’anniversario della prima seria sconfitta napoleonica, che segnò la sua disfatta nella campagna di Germania, innescando il crollo del sistema di alleanze francesi in Europa fino all’esito di Waterloo, non era semplice folclore storico ma evidenziava una precisa presa di posizione politica.
Era la fine di quella stessa spensieratezza liceale, tra scampagnata e scapigliatura, in mezzo a cui il Movimento era nato e cresciuto. Lo spirito ludico, provocatorio, a tratti perfino nichilista, lo rende in qualche misura assimilabile a un certo mondo culturale legato al crepuscolo ottocentesco, anti-sistema e inquieto, orientato nell’arte al superamento del simbolismo e incline a presentarsi svincolato da ragioni etiche o da obiettivi definiti. Degna di nota, per la similitudine con lo statuto inziale della Jugendbegung, è quella bizzarra fucina che amalgamava una concezione naturalista e anarchica a forme di spiritualità e di creatività fuori dal coro che aveva preso forma nella colonia artistica di Monte Verità, presso Ascona (1914-’15), dagli studiosi collocata in un frastagliato e sfuggente firmamento pre-dadaista.
Di certo, se vogliamo acquisire altri elementi sui rapporti storici fra arte, avanguardia e politica d’inizio Novecento, non solo nel cosmo tedesco ma in generale all’interno del vecchio continente, e se da questi rapporti vogliamo dedurre qualcosa in più sul postmoderno e la destinazione museale della proposta d’avanguardia, in un’ulteriore lettura politica consegnata alle tante attuali piccole e grandi deflagrazioni, questo capitolo, affatto minoritario, merita senz’altro di essere approfondito.      


(Di Claudia Ciardi)



Copertina storica della pubblicazione uscita nel 1913 per celebrare l’anniversario della Libera gioventù tedesca












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