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17 maggio 2022

Grubicy De Dragon – Sognatore d’arte e mecenate


Già il nome di questo grande e sensibilissimo mecenate delle arti è pura arte e poesia. Vittore Grubicy De Dragon (1851-1920) è una di quelle figure che sembrano uscite da un romanzo. Figlio di un nobile ungherese e di un’italiana nasce a Milano, culla di molte culture e di un’intellighenzia raffinata. La sua passione per la bellezza gli deriva sia dal contesto familiare d’origine sia dagli stimoli che la sua città certo non lesinava, polo di attrazione per artisti, base di mercanti e in conseguenza sede di prestigiose gallerie, fra cui quella di Pietro Nessi dove il giovane Vittore iniziò a lavorare prima di mettersi in proprio, fondando la Galleria Grubicy nel 1876.

La madre, figura dolce e protettiva, era a sua volta una pittrice dilettante – in mostra sono esposte due sue piccole prove e l’uso del colore, la mano commuovono davvero. Questa donna ebbe un ruolo essenziale nella formazione dei figli e nell’accrescere in loro la passione per le cose d’arte. Anche il fratello Alberto, infatti, affiancò Vittore nell’attività di mediazione, compravendita e promozione di giovani talenti. La cosa bella in questa storia familiare è che i due fratelli svilupparono una mentalità svincolata, aperta, molto distaccata dai cliché della loro classe sociale di appartenenza. Vittore fin dai suoi esordi come intellettuale e pittore si distinse per la visione antiaccademica, di rottura, incline al sostegno incondizionato di manifestazioni creative libere. Di ciò il frutto più emblematico è il rapporto con Giovanni Segantini che venne da lui avviato alla tecnica divisionista e che senza la presenza di questo mentore d’eccezione non avrebbe acquisito la piena consapevolezza del proprio talento. Fu Grubicy, letteralmente, a tirarlo fuori dal riformatorio, a destinarlo a una vita nell’arte. Non è esagerato dire che senza di lui, sarebbe rimasto con molta probabilità un teppistello di strada, perso a se stesso e orfano del proprio straordinario dono. Ma, ripeto, è solo uno dei meriti di questo grandissimo uomo, collezionista a tutto tondo dalle ceramiche rinascimentali alle incisioni giapponesi, infaticabile viaggiatore, irrefrenabile nella sua curiosità e allo stesso tempo carattere raccolto, in cerca di delicatezza e silenzi e profondità sentimentale. Ne sono testimonianza i suoi paesaggi di montagna, regno di leggerezze tonali e incanti nei quali la sua sfaccettata e tumultuosa personalità si ode come da molto lontano.

Sono innamorata di Grubicy da quando ho iniziato a leggere la sua corrispondenza con Segantini – un epistolario magnifico, un intreccio affascinante di progettualità, visioni, pittura in parole. Ma allora per me era soltanto il mercante, lo scopritore di un altro grande. Poi a Novara ho avuto modo di soffermarmi per la prima volta sulla caratura intellettuale di questa personalità. Uno degli assoluti meriti dell’allestimento novarese che la sua curatrice, Annie-Paule Quinsac, una delle massime se non la massima esperta mondiale di divisionismo italiano, ha peraltro difeso dalla pandemia, rinnovandolo e riaprendolo al pubblico per due anni di fila – anche questo credo un caso unico. Nella circostanza si era dunque accennato alla figura poliedrica e coltissima di Grubicy, con quadri suoi che restituivano a pieno l’immagine di pittore colto, iniziatore di un modo di dipingere del tutto personale all’incrocio fra scapigliatura e simbolismo. Una rivoluzione della luce, per l’appunto, come recitava il titolo della mostra.

L’evento in corso a Livorno visita ancora la traccia piemontese con un allestimento imponente, facendo perno sull’attività di Vittore Grubicy, calata in una panoramica piena di fascino che vede allestite anche opere di Giovanni Segantini, Angelo Morbelli, Gaetano Previati, fino agli adepti Benvenuti e Caputi, il primo anche erede del patrimonio artistico grubiciano e curatore della sua memoria. E qui sta proprio il legame con la città labronica e con le acquisizioni che nel tempo lì si sono fatte dei quadri del talentuoso milanese, essendo Benvenuto Benvenuti nativo di Livorno.

Al Museo civico – Bottini dell’Olio sono attualmente esposte centoquaranta opere. Un percorso ricco e suggestivo dove per la prima volta si mostrano al pubblico perfino gli arredi di casa Grubicy, con pezzi di ebanisteria davvero sontuosi, nonché la sua collezione orientale che conta anche stampe di Hiroshige e Utamaro. La mostra ha il merito di focalizzare l’attenzione su un personaggio che è stato un vero e proprio spartiacque nella storia dell’arte italiana fra Ottocento e Novecento. Uomo aperto al mondo, anzi ai mondi, che aveva in sé già a partire dalla sua nascita, e che ha continuato a cercare e perlustrare, con soggiorni esteri nelle grandi capitali della cultura, e prolungati soprattutto in Olanda. Un’intera sezione è infatti dedicata ai rapporti di amicizia e ai sodalizi con i coevi artisti incontrati in questo paese, che più di tutti, alla soglia dei suoi trent’anni, ha contributo alla sua svolta pittorica. Per la prima volta scopriamo a trecentosessanta gradi le passioni, i talenti, le sensibilità di un animatore incredibile della cultura italiana allo zenit di una stagione importante, direi prestigiosa. Ad esempio si spiega molto bene il suo ruolo di coltivatore dell’acquaforte, tecnica che amò praticare per sé e che sollecitò anche nei suoi sodali.

Un polo museale da scoprire, valorizzato anche dal personale di sala; ragazze che con professionalità vigilano e accolgono – fra l’altro, permettere agli operatori di togliere la mascherina sarebbe anche ora! È imbarazzante fermarsi a salutare e parlare con qualcuno che ancora è costretto a stare così.

In un luogo votato alla metafisica, una piazza alla de Chirico su cui svettano i fumaioli delle navi in transito nel vicino porto, cuore storico seicentesco della città – proprio in questi slarghi e canali fiorirono commerci di ogni tipo – nei pressi degli Scali delle Ancore dove fra l
altro si mangia anche molto bene, questa bella iniziativa è destinata a sorprendere il visitatore. 


(Di Claudia Ciardi)

 

Museo della città di Livorno – Piazza del Luogo Pio – fino al 10 luglio 2022


 


L'ultima battuta del giorno che muore, 1896

 

Sera nella valle, 1897


La bottiglia, 1889


Gli arredi di casa Grubicy



L'oriente secondo Grubicy


* L'incredibile modernità di Vittore Grubicy De Dragon in pittura, precursore di nuove sensibilità e linguaggi, si coglie pienamente nella battuta del giorno che muore - un rosso surreale, quasi un'eco espressionista - e nella bottiglia, minimalismo alla Morandi ante litteram.

* Fra gli itinerari di svago lungo la costa degli Etruschi avrei suggerito volentieri anche una tappa alla Fondazione Hermann Geiger di Cecina. Scopro adesso che ha chiuso definitivamente. Peccato, un altro bel luogo di cultura che soccombe alle difficoltà. Chi ha parlato di livellamento positivo, alludendo al fatto che prima della pandemia l’offerta fosse fin troppa a scapito della qualità, non voglio neppure commentarlo. Personaggi del genere, che si esprimono pubblicamente in questo modo – toni del tipo “è il mercato, bellezza” oppure “la guerra igiene dei popoli” – non dovrebbero ricoprire incarichi culturali.
È un fatto che i piccoli poli stiano scontando tantissimi problemi e abbiano bisogno di aiuto. Della Geiger ricordo che regalava pubblicazioni d’arte ai visitatori. Anni fa ci scambiammo i libri – le mie piccole 'farfalle' sulle vite dartista, i loro bei cataloghi su Kirchner.  Un vero peccato che anche questo faro si sia spento.

 
* Fotografie di Claudia Ciardi
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