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5 maggio 2022

La veggenza dell'olmo

 

Gian Giacomo Gavo da Schio, Madonna dell'Olmo, aprile 1530 - dipinto su tavola dellomonimo santuario a Thiene (Vicenza)

Gli olmi (famiglia delle Ulmacee) crescono allo stato spontaneo solo nell’emisfero boreale. Reperti fossili rinvenuti in Asia hanno permesso di appurare la loro presenza sul nostro pianeta fin dal Miocene. L’Italia ospita sia la specie campestre che quella montana, diffuse nei boschi dell’intera penisola. Dagli esemplari spontanei hanno avuto origine varietà entrate nelle coltivazioni. L’olmo campestre, di legno rosso, è ricercato nei lavori di ebanisteria. Cresce ai margini dei boschi e si produce per dissemina anemofila (dal greco “amica del vento”, che bella parola!), ossia per mezzo dei semi alati dispersi dal vento. Può svilupparsi fino a oltre trenta metri di altezza ed è molto longevo, può arrivare a vivere anche cinquecento anni. Nell’antichità si riteneva che le foglie facessero scomparire il cattivo umore. E sempre secondo i nostri antenati, per affinità con tale virtù, l’olmo avrebbe la caratteristica di trasferire agli esseri umani il bisogno di mantenere una “mente incantata” che vada al di là dei ragionamenti ordinari. Dunque, un protettore dell’energia vitale e del potere immaginativo.

Nonché pianta amica e alleata della vite, sacra a Dioniso – e quale altro vasto e tumultuoso immaginario qui si spalanca! L’olmo ci insegna a fidarci delle nostre capacità sognanti, essendo il depositario dell’ancestrale, delle forze più profonde e primitive che ci abitano. Che l’albero che si erge ai bordi delle campagne, ai confini del vigneto, da lontano e dall’alto vegliandolo, sia dunque un seguace botanico di Dioniso non è poi un caso. Perché il frutto della vite racchiude in sé i medesimi caratteri, donando sfrenatezza e dolcezza insieme, qualità tutte dionisiache che in parte ispirano anche lolmo (si veda a questo proposito Jean-Pierre Vernant, Figure, idoli, maschere, passim).

Nella tarda primavera si usa (usava) portare i bambini nei campi a cercare i “Rubilli” (ovvero quello che i Romani chiamavano “Ervum” e i Greci “Orobos”; da Orobos, poi divenuto Robo, Robiglia – parola del tardo XVI secolo – quindi Rubilli). Ossia le “borse” dell’olmo, da cui si estrae un liquido acquoso, zuccherino e ceroso che funziona come medicamento. In particolare, nella Val d’Orcia, quest’ultime sono alla base di un preparato che viene detto “Olio di pilatro” (la gente dell’Orcia chiama “pilatro” l’iperico):

Le sommità di iperico (Hipericum perforatum) vengono raccolte e triturate. Quindi le galle o borse dell’olmo, anch’esse da triturare alla buona. Si immerge il composto in una quantità di olio d’oliva sufficiente a coprirlo. Si fa riscaldare l’olio a fuoco molto lento, e magari si aggiunge un po’ di acqua o vino bianco, in modo che non “soffrigga” troppo. Infine – il tempo della cottura cambia a seconda delle famiglie che lo preparano – si filtra e si conserva per l’uso. Una sorta di olio di iperico ma potenziato dai tannini dell’olmo, in grado di disinfettare e curare ferite e piaghe.

Ecco come Plinio il Vecchio, comandante navale ed enciclopedista, e Galeno, medico e amico personale dell’imperatore Marco Aurelio, celebrano nei loro scritti le virtù dell’olmo.

«Le foglie, la corteccia e i rami hanno la virtù d’ “ingrossare” [indurire, nel senso di cicatrizzare] e di serrare le ferite. La parte della corteccia interna guarisce la scabbia, e lo stesso fanno le foglie applicatevi con aceto. Assunta la corteccia al peso di un denario [che corrisponde più o meno ad una dracma ovvero circa 4-4gr e mezzo] in una “hemina” (270 ml) di acqua fresca, purga il corpo, cacciandone fuori specificamente la flemma [muco] e l’acquosità.
Il liquore che distilla dall’albero [probabilmente l’essudato spontaneo che cade dai tessuti linfatici spontaneamente lesi; il che succede con molti alberi], si mette sugli ascessi, sulle ferite, sulle ustioni, alle quali giova anche la lavanda o l’applicazione dei vapori del decotto. L’“humore” che nasce nelle vesciche [le borse] di questo albero, fa splendida e bella la pelle e fa la faccia molto più graziosa.
Le gemme delle prime foglie, cotte nel vino, applicate sanano le tumefazioni e i gonfiori, dissolvendoli insensibilmente attraverso i pori della pelle.
Le foglie triturate e impastate con acqua, si applicano come impiastro nei piedi gonfi ed edematosi. L’“humore” che geme dal midollo quando si taglia la cima o i rami, se applicato sulla testa fa ricrescere i capelli e conserva quelli che sono rimasti in modo che non cadano più».

Plinio il Vecchio, Naturalis historia, Libro XXIV, 8.

E Galeno (medico ed amico personale di Marco Aurelio, rimase a corte fino a Settimio Severo, morendo ultraottuagenario) nel suo Virtù dei medicamenti semplici:

«Ho qualche volta sanato le ferite fresche con le sole foglie dell’olmo, confidando nella loro virtù costrettiva ma anche astersiva [che pulisce asciugando; tipica delle piante antipurulente] che posseggono.
La corteccia è più amara e più astringente e perciò sana, applicata con Aceto anche la scabbia. Oltre a ciò, legata fresca a modo si fascia sopra le ferite, le può agevolmente saldare. Stesse proprietà hanno le radici; perciò alcuni ne fanno lavande con la loro decozione per far presto il callo dove si saldano le fratture delle ossa». 

E nella letteratura è celebrata come pianta liminale, comunicante tra vivi e morti, guardiana dei sogni, di ciò che si pone oltre il reale, simbolo dellimmaginazione.

Proprio l’olmo è al centro del vestibolo dell’Ade nel VI dell’Eneide, non a caso il libro più ultraterreno e profetico di tutto il poema, dove Sibille, Eumenidi, Gorgoni, Arpie si danno convegno.

…tum consanguineus Leti Sopor et mala mentis

Gaudia, mortiferumque adverso in limine Bellum,

ferreique Eumenidum thalami et Discordia demens

vipereum crinem uittis innexa cruentis.

In medio ramos annosaque bracchia pandit

ulmus opaca, ingens, quam sedem Somnia vulgo

vana tenere ferunt, foliisque sub omnibus haerent.

Multaque praeterea variarum monstra ferarum,

Centauri in foribus stabulant Scyllaeque biformes

et centumgeminus Briareus ac belva Lernae

horrendum stridens, flammisque armata Chimaera,

Gorgones Harpyiaeque et forma tricorporis umbrae.

 

…poi il Sonno, parente della Morte, e le cattive passioni della mente

e la Guerra, portatrice di morte, davanti sulla soglia

e i ferrei letti delle Eumenidi, quindi la pazza Discordia,

che annoda la chioma con bende insanguinate.

Nel mezzo un olmo spande i rami e le annose braccia,

enorme, ombroso dove, dicono, i vani sogni

risiedono attaccati a tutte le foglie.

Inoltre molti mostri di strane forme bestiali,

i Centauri che hanno le loro stalle sulle porte,

le Scille biformi, il centimane Briareo, l’idra di Lerna,

che orrida stride, e la Chimera, armata di fiamme,

le Gorgoni, le Arpie e la creatura che unombra manda tricorpore.

(Eneide, VI, 278-289; traduzione di Claudia Ciardi)

E ancora una caratterizzazione rituale dell’olmo, albero custode del sacro e della memoria.

«Sotto al grande olmo, accanto alla chiesa di Custoza, mi trattenni un poco di tempo con il curato del villaggio. Bramavo vedere nel camposanto i resti disseppelliti di più di mille soldati, deposti colà aspettando la costruzione dell’ossario monumentale…».

Camillo Boito, architetto e scrittore italiano (1836 – 1914)


Infine il cromatismo peculiare di Georg Trakl, che pone l
immagine dellaureo olmo a chiasmo di una sorta di divinazione interiore, in un paesaggio rovinoso e decadente con campiture espressioniste, non solo in senso letterario ma ancor più pittorico.  


Wieder wandelnd im alten Park,

o! Stille gelb und roter Blumen.

ihr auch trauert, ihr sanften Götter,

und das herbstliche Gold der Ulme.

Reglos ragt am bläulichen Weiher

das Rohr, verstummt am Abend die Drossel.

O! dann neige auch du die Stirne

vor der Ahnen verfallenem Marmor.


Di nuovo vagando nell’antico parco,

oh, calma dei gialli e rossi fiori,

anche voi in lutto, voi dolci dèi,

e l’oro autunnale dell’olmo.

Immobile spicca nel ceruleo stagno

il canneto, a sera ammutolisce il tordo.

Oh! La fronte allora china anche tu

dinnanzi al marmo sbrecciato degli avi.

 
Im Park, Georg Trakl, poeta austriaco (1887 – 1914); traduzione di Claudia Ciardi

* Per la rubrica «Arboreto salvatico»


(Di Claudia Ciardi) 

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