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18 febbraio 2019

Galileo Chini - Orizzonti d'acqua


Al Palp di Pontedera in scena un’articolata mostra sulla produzione pittorica e manifatturiera – vasi, utensili, piastrelle – di uno degli artisti italiani più eclettici e internazionali del primo Novecento. Fino al 28 aprile, nell’elegante sede di Palazzo Pretorio, rivive il mondo fiabesco di Galileo Chini, interprete raffinato e originale di tante correnti che animarono il panorama delle arti di fine Ottocento. Muovendosi tra diversi indirizzi creativi – dall’impressionismo al simbolismo dei Nabis, passando per il divisionismo, fino ad approdare, nell’ultima parte della sua produzione, a certe inquietudini piscologiche di tono espressionista –  Chini trasse i semi di un linguaggio estremamente innovato per il panorama italiano a lui contemporaneo.
Di tale propensione poliedrica sono testimonianza sia i pezzi ceramici prodotti a partire dal 1896 nella ditta “L’arte della ceramica”, dieci anni dopo trasferita a Borgo San Lorenzo, per adattarsi al più ampio giro di committenze che la crescente fama gli andava procurando, sia molte delle sue opere pittoriche con cui intese dar vita a un linguaggio ponte fra tendenze simboliste e suggestioni derivate dal secessionismo viennese.
L’aver preso parte alla IV Biennale di Venezia nel 1901, dove incrociò lo scultore Rodin che gli fece dono di un suo gesso raffigurante una danaide, fu l’inizio di una collaborazione molto proficua e continua negli anni con la celebre rassegna lagunare. Ciò gli aprì le porte di numerosi altri eventi espositivi nazionali ed esteri, attirandogli l’attenzione di grandi personaggi dell’arte, con cui strinse sodalizi durevoli, e perfino di regnanti. Nel 1902 la zarina Alessandra, in visita all’esposizione di Torino, scelse alcune sue ceramiche e il re del Siam, Rama VI, gli commissionò gli affreschi per la nuova sala del trono a Bangkok (1911). I due anni del soggiorno thailandese di Chini non rappresentano solo il punto più alto del suo riconoscimento internazionale, cui seguì la richiesta di Puccini per i bozzetti di Turandot, ma si configurano nella sua biografia d’artista come un’esperienza formativa unica. L’incontro con l’oriente gli consentì di rimeditare alcuni caratteri manierati della pittura d’avanguardia e di quella stessa moda orientalista che lambiva il liberty e certe melanconiche intenzioni preraffaellite e secessioniste. L’ingresso nella vera luce orientale, nelle sue architetture, nei costumi della sua gente lo sollecitarono a nuove sintesi e perfino a cromatismi più accesi e contrastati in un esercizio divisionista del tutto personale. Nacquero capolavori come L’ora nostalgica sul Me Nam, Canale a Bangkok, Danzatrice Monn, Danzatrice giavanese e molti altri ricordi di viaggio che animarono opere successive al suo rientro, quali le numerose cineserie e i soggetti che intrecciano maschere orientali e nature morte. 


Insegnante all’Accademia di Firenze, tra i suoi allievi più noti ci sono Ottone Rosai, Primo Conti e Marino Marini. Nella storica schiera dei collaboratori e amici più cari troviamo nomi del calibro di Plinio Nomellini, Moses Levy e Lorenzo Viani, cui lo accomunava il rapimento estatico per il mare e le spiagge delle Versilia, catturati in tante tele, sodalizio che ebbe il suo suggello con l’adesione al gruppo dell’Arte Toscana, costituito ai primo del Novecento. La loro fu anche pittura sociale, attenta ai ritmi di quel mondo contadino sempre più incalzato da un’industrializzazione che macinava vite, tradizioni, bellezza. Lavori dei campi, popolane, madri, frammenti di un’esistenza sfuggita dalle stesse mani che fino a poco prima avevano saputo carezzare e proteggere quei microcosmi. Un disagio e un distacco che avrebbero assunto il volto truce della guerra, così che Galileo Chini sentì ripetutamente il bisogno, tra i due conflitti mondiali, di approfondire l’idea della distruzione, raffigurata attraverso rovine e scheletri marini. Emblematica l’esposizione a Venezia nel 1920 del ciclo Il voto di quelli che non ebbero tomba, due grandi tele ispirate a un tardo divisionismo, vivido, quasi abbacinante, di forza segantiniana, dove il segno del colore diviso intendeva denunciare il dramma della guerra. E poi ancora negli anni Quaranta Ponte Santa Trinita – Rovine sull’Arno, I rifiuti del mare e Relitti in cui si colgono non pochi accenti che riportano a de Pisis.  


Su tutto l’immaginario acquatico, legato alla rinascita, rivelazione onirica delle origini, liquido amniotico che genera e germina, corrente evocatrice, motore creativo dal mito alle moderne opere idrauliche. Gran parte dell’opera di Chini ruota proprio attorno a mondi d’acqua, non solo per ciò che riguarda il paesaggismo ispirato al litorale versiliano, a Venezia o all’oriente ma ancor più per gli innumerevoli incarichi ricevuti, nel corso della carriera, in qualità di decoratore di centri termali. Raffinato maestro di marine, tra le più famose si ricordi Mare rosso al tramonto, opera datata 1911 e dedicata a Mario Nunes Vais, il fotografo fiorentino delle celebrità, ritrattista anche di Gabriele D’Annunzio, Chini divenne presto molto quotato anche come pittore e disegnatore di rivestimenti ceramici per le stazioni termali. Suo l’allestimento di Salsomaggiore, solo per citare uno dei più rinomati.

L’articolata mostra di Pontedera celebra le tante sfaccettature di un artista intriso di ammirevole versatilità, che attrasse lungo il suo cammino alcuni dei più rilevanti nomi del panorama culturale a lui contemporaneo, come fu per Klimt, impegnato nel 1910 alla sua prima individuale presso la biennale di Venezia. Con questo allestimento s’intende dunque omaggiare l’estro creativo di un grande nome dell’arte italiana novecentesca e ricordarne a pieno la caratura internazionale.  

(Di Claudia Ciardi)


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* Le prese sono state autorizzate dal personale della mostra









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