Al
Palp di Pontedera in scena un’articolata mostra sulla produzione pittorica e
manifatturiera – vasi, utensili, piastrelle – di uno degli artisti italiani più
eclettici e internazionali del primo Novecento. Fino al 28 aprile,
nell’elegante sede di Palazzo Pretorio, rivive il mondo fiabesco di Galileo
Chini, interprete raffinato e originale di tante correnti che animarono il
panorama delle arti di fine Ottocento. Muovendosi tra diversi indirizzi creativi
– dall’impressionismo al simbolismo dei Nabis, passando per il divisionismo,
fino ad approdare, nell’ultima parte della sua produzione, a certe inquietudini
piscologiche di tono espressionista –
Chini trasse i semi di un linguaggio estremamente innovato per il
panorama italiano a lui contemporaneo.
Di
tale propensione poliedrica sono testimonianza sia i pezzi ceramici prodotti a
partire dal 1896 nella ditta “L’arte della ceramica”, dieci anni dopo
trasferita a Borgo San Lorenzo, per adattarsi al più ampio giro di committenze
che la crescente fama gli andava procurando, sia molte delle sue opere
pittoriche con cui intese dar vita a un linguaggio ponte fra tendenze
simboliste e suggestioni derivate dal secessionismo viennese.
L’aver
preso parte alla IV Biennale di Venezia nel 1901, dove incrociò lo scultore
Rodin che gli fece dono di un suo gesso raffigurante una danaide, fu l’inizio
di una collaborazione molto proficua e continua negli anni con la celebre
rassegna lagunare. Ciò gli aprì le porte di numerosi altri eventi espositivi
nazionali ed esteri, attirandogli l’attenzione di grandi personaggi dell’arte,
con cui strinse sodalizi durevoli, e perfino di regnanti. Nel 1902 la zarina
Alessandra, in visita all’esposizione di Torino, scelse alcune sue ceramiche e
il re del Siam, Rama VI, gli commissionò gli affreschi per la nuova sala del
trono a Bangkok (1911). I due anni del soggiorno thailandese di Chini non rappresentano
solo il punto più alto del suo riconoscimento internazionale, cui seguì la
richiesta di Puccini per i bozzetti di Turandot, ma si configurano nella sua
biografia d’artista come un’esperienza formativa unica. L’incontro con
l’oriente gli consentì di rimeditare alcuni caratteri manierati della pittura
d’avanguardia e di quella stessa moda orientalista che lambiva il liberty e
certe melanconiche intenzioni preraffaellite e secessioniste. L’ingresso nella
vera luce orientale, nelle sue architetture, nei costumi della sua gente lo sollecitarono
a nuove sintesi e perfino a cromatismi più accesi e contrastati in un esercizio
divisionista del tutto personale. Nacquero capolavori come L’ora nostalgica sul Me Nam, Canale
a Bangkok, Danzatrice Monn, Danzatrice giavanese e molti altri
ricordi di viaggio che animarono opere successive al suo rientro, quali le
numerose cineserie e i soggetti che intrecciano maschere orientali e nature
morte.
Insegnante
all’Accademia di Firenze, tra i suoi allievi più noti ci sono Ottone
Rosai, Primo Conti e Marino Marini. Nella storica schiera dei collaboratori e
amici più cari troviamo nomi del calibro di Plinio Nomellini, Moses Levy e
Lorenzo Viani, cui lo accomunava il rapimento estatico per il mare e le spiagge
delle Versilia, catturati in tante tele, sodalizio che ebbe il suo suggello con
l’adesione al gruppo dell’Arte Toscana, costituito ai primo del Novecento. La
loro fu anche pittura sociale, attenta ai ritmi di quel mondo contadino sempre
più incalzato da un’industrializzazione che macinava vite, tradizioni,
bellezza. Lavori dei campi, popolane, madri, frammenti di un’esistenza sfuggita
dalle stesse mani che fino a poco prima avevano saputo carezzare e proteggere quei
microcosmi. Un disagio e un distacco che avrebbero assunto il volto truce della
guerra, così che Galileo Chini sentì ripetutamente il bisogno, tra i due conflitti mondiali,
di approfondire l’idea della distruzione, raffigurata attraverso rovine e
scheletri marini. Emblematica l’esposizione a Venezia nel 1920 del ciclo Il voto di quelli che non ebbero tomba,
due grandi tele ispirate a un tardo divisionismo, vivido, quasi abbacinante, di
forza segantiniana, dove il segno del colore diviso intendeva denunciare il
dramma della guerra. E poi ancora negli anni Quaranta Ponte Santa Trinita – Rovine sull’Arno, I rifiuti del mare e Relitti
in cui si colgono non pochi accenti che riportano a de Pisis.
Su
tutto l’immaginario acquatico, legato alla rinascita, rivelazione onirica delle
origini, liquido amniotico che genera e germina, corrente evocatrice, motore
creativo dal mito alle moderne opere idrauliche. Gran parte dell’opera di Chini
ruota proprio attorno a mondi d’acqua, non solo per ciò che riguarda il
paesaggismo ispirato al litorale versiliano, a Venezia o all’oriente ma ancor
più per gli innumerevoli incarichi ricevuti, nel corso della carriera, in
qualità di decoratore di centri termali. Raffinato maestro di marine, tra le
più famose si ricordi Mare rosso al
tramonto, opera datata 1911 e dedicata a Mario Nunes Vais, il fotografo
fiorentino delle celebrità, ritrattista anche di Gabriele D’Annunzio, Chini
divenne presto molto quotato anche come pittore e disegnatore di rivestimenti
ceramici per le stazioni termali. Suo l’allestimento di Salsomaggiore, solo per
citare uno dei più rinomati.
L’articolata
mostra di Pontedera celebra le tante sfaccettature di un artista intriso di ammirevole
versatilità, che attrasse lungo il suo cammino alcuni dei più rilevanti nomi del
panorama culturale a lui contemporaneo, come fu per Klimt, impegnato nel 1910
alla sua prima individuale presso la biennale di Venezia. Con questo
allestimento s’intende dunque omaggiare l’estro creativo di un grande nome dell’arte
italiana novecentesca e ricordarne a pieno la caratura internazionale.
(Di
Claudia Ciardi)
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* Le prese sono state autorizzate dal personale della mostra
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