Marginalia


marginalia ‹marǧinàlia› s. neutro pl., lat. mod. [der. del lat. classico margo -gĭnis «margine»], usato in ital. al masch. – Propriam., cose scritte sul margine, e perciò anche annotazioni poste in margine a codici antichi, spec. quando siano indizio di lettura sistematica, senza avere lo sviluppo delle vere e proprie glosse, tipiche dei codici giuridici; si usa talvolta, anche come titolo, per indicare un insieme di brevi considerazioni, quasi noterelle a cui non si vuole attribuire importanza.

Al pari di note manoscritte in un libro, i nostri pensieri vengono tracciati sul contorno di una pagina, tra il nero delle strade e il bianco dei cortili, nigredo e albedo dell'immaginazione, segni tra segni, lievi alfabeti delle cose che sempre invitano al viaggio. Claudia Ciardi

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«Qui comincia il libro di Messer Marco Polo da Vinegia, che si chiama «Melione», il quale racconta molte novitadi della Tartaria e delle tre Indie e d'altri paesi assai.
Furono due nobili cittadini di Vinegia, ch'ebbe nome l'uno messer Matteo, e l'altro messere Nicolao, i quali andaro al Gran Can signore di tutti i tartari...»

Rustichello da Pisa, Il Milione

«Venne in termine di tre giorni e dissero como avevano veduto el capo e el mare amplo. El capitano generale lagrimò per allegrezza, e nominò quel capo Deseado, perché l’avevano già gran tempo desiderato. […] Mercore a 28 de novembre 1520 ne disbucassemo da questo stretto s’ingolfandone mar Pacifico...»

Antonio Pigafetta, scrivano al seguito della spedizione attorno al mondo guidata da Ferdinando Magellano

«...Dapoi che partimmo da Lisbona navigammo sempre con prospero vento, non uscendo da scilocco e libeccio, e passando la linea equinoziale fummo in altura di trentasette gradi nell'altro emispero, a traverso di capo di Buona Speranza, clima ventoso e freddo, ch'a quei tempi il sole si trovava ne' segni settentrionali, e trovammo la notte di 14 ore. Qui vedemmo un mirabil ordine di stelle, che nella parte del cielo opposita alla nostra tramontana infinite vanno girando. In che luogo sia il polo antartico, per l'altura de' gradi, pigliammo il giorno col sole e ricontrammo la notte con l'astrolabio, ed evidentemente lo manifestano due nugolette di ragionevol grandezza, ch'intorno ad essa continuamente ora abbassandosi e ora alzandosi in moto circulare camminano, con una stella sempre nel mezzo, la qual con esse si volge lontana dal polo circa undici gradi. Sopra di queste apparisce una croce maravigliosa nel mezzo di cinque stelle, che la circondano (com'il Carro la Tramontana) con altre stelle, che con esse vanno intorno al polo girandole lontano circa trenta gradi: e fa suo corso in ventiquattro ore, ed è di tanta bellezza che non mi pare ad alcuno segno celeste doverla comparare, come nella forma qui di sotto appare....»

Andrea Crosali, viaggiatore del XVI secolo



3 commenti:

  1. Berlino ve la racconto io.
    Avvertenza ai lettori. Quello che sicuramente non troverete nel mio blog.
    http://margininversi.blogspot.it/
    Niente spaghetti berlinesi conditi per italiani in fuga, niente Berlino dal teutonico cipiglio ma con l'abbraccio caliente, niente itinerari consigliati per currywurst o cucine etniche in salsa di soia. Nessuna udienza concessa a ricercatori sull'orlo di una crisi di identità o a maratoneti recanti l'ormai più che affievolita esortazione "tutti a Berlino". Niente Berlino by night, niente ostalgia da  murales, niente piroette statistiche sull'assenza di crisi in Germania, niente cartoline da opuscoli presi al volo nei cestini della S -Bahn, niente filastrocche da turisti per caso. Nessuna aneddotica sugli italiani che a Schoenfeld scoprono di avere quattro chili in più in valigia e iniziano a grattarsi la testa, né vanti collettanei su "Le nostre zingarate".

    Sforzatevi di vivere la città dalla strada, buttando nel cesso i luoghi comuni che tanto vi rassicurano, provate a immergervi in almeno un briciolo di letteratura berlinese di inizio Novecento, camminate per Berlino finché non avrete la schiena spezzata e i talloni roventi, sentitevi per un attimo masticati e rigettati dalla forza e dall'indifferenza della grande città, fissate lo sguardo sulle sfingi della storia. Se a quel punto un peso non vi rimescola pancia e cuore, allora Berlino non riuscirà mai a parlarvi né potrà fare nulla per voi.

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  2. Desidero spendere qualche parola sull’editoriale di Pier Luigi Vercesi e il reportage dalla Berlino underground di Edoardo Vigna (pp. 24-29) pubblicati da «Sette» rivista del «Corriere della Sera», n. 2, 9 gennaio 2015.
    I pezzi riguardano la promozione del programma Erasmus definito da alcuni addetti ai lavori qui citati come «unico progetto politico d’integrazione, capace di costruire un concetto vero di cittadinanza europea». Questo assunto a me pare un po’ coraggioso e del tutto svincolato dalle cifre, che pure vengono fornite al lettore. Mi spiego meglio. L’Europa sta vivendo un pesantissimo momento di affanno. Crisi economica e occupazionale fanno affiorare antiche spaccature, che nei periodi migliori si era riusciti a mascherare senza troppo sforzo. L’Erasmus è un’ottima opportunità per i ventenni di oggi – che se lo possono permettere, diciamolo a scanso di equivoci – e che trovano professori universitari solerti nell’instradarli verso tale programma – un punto che vale la pena rilevare perché non tutti i docenti sono attivi su questo fronte né per conseguenza forniscono stimoli adeguati (io ad esempio ho fatto un corso in lettere classiche dove non ho avuto occasione di imbattermi in nessuna apertura per la via erasmiana e come me molti altri corsisti, pure provenienti da condizioni familiari piuttosto agiate che avrebbero garantito loro di completare il programma all’estero in condizioni di netto vantaggio). Insomma per farla breve, in Europa siamo andati lo stesso, con le difficoltà del “do it yourself”, ci siamo arrangiati fuori dai programmi ufficiali, perché la curiosità era tanta anche per noi “esclusi” e avevamo le stesse necessità formative degli altri. Ora, io vorrei precisare che tutto questo è comunque elitario, e Vigna con onestà lo dichiara nel suo pezzo, salvo poi non dargli peso. Credo sia un errore di prospettiva. In una popolazione di iscritti all’università che in Italia anno dopo anno registra un robusto calo – e non so quale sia la tendenza negli altri paesi – secondo me qualche interrogativo bisogna che ce lo poniamo. Si dice che nell’anno 2012-2013 il totale di partenze legate all’Erasmus sia stato di 260.000 unità (cifra relativa a tutti i paesi europei che aderiscono al programma). Come pensiamo che un numero così sottile rispetto alla cittadinanza europea considerata nel complesso riesca a sviluppare forza politica, cioè sia in grado di farsi promotrice a livello dirigenziale del collante necessario a un’Europa sempre più investita da elementi di rottura? Inoltre, questi ragazzi, una volta conclusa la loro esperienza, non si sentono tutti responsabili allo stesso modo in materia di futuro del continente. In genere si torna a casa avendo il ricordo di un viaggio, di essersi confrontati con un altro ambiente universitario e un’altra cultura, di aver ricevuto coccole e attenzioni, di aver tirato tardi la sera, insomma una bella gita giovanile, e finita lì. Temo si abbia di queste cose una visione piuttosto utopica e più agevolmente ascrivibile al battage pubblicistico accademico, che certo collide con la necessità di presentarle nella loro vera veste, quindi con i loro tanti limiti.
    La sfida semmai sarebbe rendere i programmi di scambio davvero capillari, anche sul piano economico, laddove vi siano studenti che fanno fatica a organizzarsi nella copertura delle spese ma che hanno i requisiti per partire: un sistema meritorio di borse di studio e voucher che provvedano a tutto, dall’affitto alle necessità personali, debitamente dichiarate.
    Insomma, a mio avviso di strada da fare ve n’è ancora parecchia, prima di attribuire il vessillo dell’europeismo alla truppa erasmiana.

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  3. Su quel che si dice di Berlino nel medesimo reportage sarò breve. Troppi luoghi comuni. Le possibilità d’impiego stabile nella vorticante metropoli della Street Art, per uno straniero che non faccia parte dello star system universitario, sono dubbie. C’è una frotta di gente che vive di espedienti. Nel pezzo di Vigna i senza lavoro risultano essere l’11,9%, dato che supera ampiamente la media nazionale tedesca – la disoccupazione in Germania c’è ed è pure altina, si veda un mio commento dell'8 gennaio 2015 all'interno del blog. L’attuale comunità italiana censita conta circa 24.900 persone (dati del 2013), e non vi è affatto chiarezza sulla tipologia di attività nelle quali sono reclutate. Qui c’è un articolo che descrive molto bene la situazione:
    http://www.linkiesta.it/come-trovare-lavoro-berlino
    Nel corso delle mie trasferte, avendo anch’io per un certo periodo tentato di sistemarmi lì, mi sono imbattuta in uno stuolo di web marketer italiani i quali non mi hanno mai palesato a cosa si indirizzasse la loro professionalità né la reale consistenza (esistenza!) dei loro guadagni. E questo è solo un esempio.
    Ogni mese, altro aspetto interessante sul piano culturale, fioriscono in lingua italiana blog, testate, siti dedicati alla vita berlinese. Perché Berlino è un grande “tema” per la scrittura, da quella più veloce e, se vogliamo, commerciale, a quella più difficile e ormai chimerica, che io stessa sono andata a cercarvi, di carattere letterario. Tuttavia anche per quanto riguarda questo esercito di appassionati, i quali in qualche caso aprono delle finestre sul web estremamente vivaci, spesso non è dato sapere come tirino avanti. Solo e unicamente coi ricavi dei banner pubblicitari? Mi sembra alquanto strano.
    Infine, Berlino è capitale europea e città cosmopolita e attrattiva per sua natura; a modo suo lo era anche nel periodo del Muro. Il fermento si è sempre fatto strada per canali paralleli e, appunto, sotterranei. I quartieri di cui si parla nell'inserto (Kreuzberg, Friedrichshain) sono fucine di idee – e turbolenze – da molto tempo. Non è roba di adesso. Semmai ultimamente ne è nata una fastidiosa moda, che ha tolto non poca spontaneità alle aggregazioni del recente passato. Chi ha vissuto la Berlino di metà anni Duemila e quella di ora, capisce perfettamente cosa intendo. Vigna lo dice tra le righe, ma sembra non aver compreso fino in fondo la speculazione edilizia che si è fatta largo nella metropoli – a Berlino Ovest in maniera massiva ma anche a Est, dove da dopo la caduta del Muro si è cercato con ogni mezzo di mettere le mani sulle cosiddette aree dismesse. Nel 2008 girava un video molto suggestivo di una cantante di strada, che si muoveva tra queste magnifiche “rovine” e nel suo testo parlava del vero spirito della città, che lì scorreva. In fondo alla clip passava un avviso agli spettatori, secondo il quale al momento della visione probabilmente quei luoghi sarebbero già scomparsi. Questo è il nuovo scempio della città, un fenomeno che riguarda anche molte altre capitali del mondo. Marc Augé, ad esempio, per rimanere nelle vicinanze, ha parlato in maniera commossa della perdita della sua Parigi. Insomma trovo assai calzante e più sincera la sintesi di Claudia Gawenda, trentenne insegnante berlinese, che al giornalista dichiara: «A Berlino essere underground una volta era una condizione, oggi è una posizione». Essere underground e tutto il resto, aggiungo io. Omnia venalia, si sfogava con amarezza Sallustio, che pure nel ricoprire la sua carica non era stato proprio uno stinco di santo.

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