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22 settembre 2018

Otto Modersohn - Paesaggi dell'anima


Nato nel 1865 in Vestfalia, Otto Modersohn ha scritto diverse pagine degne di nota nella storia della pittura tedesca, anche in virtù dell’intenso sodalizio con la seconda moglie, Paula Modersohn-Becker, già musa di Rainer Maria Rilke, forse la più importante per il poeta insieme a Lou Andreas Salomé. A testimonianza dell’incontro e del fertile scambio di energie creative tra Otto Modersohn e Paula ci sono il loro carteggio e le limpide pagine del diario scritto da lei.
Nel 1884 Otto si trasferisce con la sua famiglia d’origine da Soest a Münster. Durante il periodo trascorso alla scuola secondaria sviluppa un crescente interesse per l’arte. Dopo essersi diplomato decide perciò di iscriversi all’Accademia di Düsseldorf, ma presto scopre di essere in disaccordo con i metodi d’insegnamento qui praticati. Si sposta quindi a Monaco di Baviera per un breve soggiorno, sperando poi di trovare un contesto favorevole a sviluppare la propria creatività presso l’accademia di Karlsruhe, ma ancora una volta resta deluso.
Un viaggio attraverso la Germania settentrionale con Mackensen nel 1888 ispira a Otto Modersohn una serie di piccoli ritratti di paesaggio. Queste opere costituiscono un primo momento saliente nei suoi inizi. Un ulteriore viaggio dei due a Worpswede nel 1889 porta alla decisione congiunta di trasferirsi definitivamente lì, fondandovi una colonia di artisti, sul modello della scuola francese di Barbizon e Pont-Aven. Dopo aver inizialmente condiviso le stesse idee, Otto Modersohn inizia gradualmente ad allontanarsi dai suoi amici, scrivendo: «La tranquillità silenziosa è il mio vero obiettivo […], preferisco dire molto dicendo poco [...]».
Nel 1895 alcuni lavori di Otto entrano nella mostra collettiva della sua colonia presso la “Kunsthalle” di Brema. Le reazioni a questo evento rispecchiano umori diversi, ma la successiva presentazione alla “Internationale Glaspalastausstellung” di Monaco ha una particolare risonanza.
Nel 1897 la giovane pittrice Paula Becker visita Worpswede per la prima volta, conoscendo Otto Modersohn. I due decidono di sposarsi nel 1901. Nel frattempo in Otto si rafforza il pensiero di lasciare la colonia. Il tempo che segue è occupato da numerosi viaggi con la moglie e vari soggiorni in diverse zone della Germania e della Francia. Il rapporto tra i due s’incrina agli inizi del 1906, e nella primavera dell’anno successivo Modersohn si risolve a tornare stabilmente a Worpswede. Nel frattempo insiste per una riconciliazione; la pittrice continua così a incontrarlo, decidendo infine di rientrare in famiglia, forse a causa dell’inizio di una gravidanza. L’attesa però ha un decorso difficile, che quasi impedisce a Paula di dipingere. Subito dopo la nascita della figlia Mathilde, nel 1907, l’artista muore di embolia post parto, lasciando dietro di sé circa 1700 opere, tra disegni e tele; pochissime avevano trovato un compratore mentre lei era ancora in vita.
Otto Modersohn si trasferisce a Fischerhude nel 1908, anno che segna per lui l’inizio di “una nuova era”. In questo ambiente rurale, Modersohn si dedica ancora all’amato studio della natura e, dopo un nuovo soggiorno a Worpswede e Berlino, vi ritorna in via definitiva nel 1917, aprendo sempre più il suo realismo d’intonazione malinconica agli influssi Jugendstil. «Semplificazione, sintesi nella forma e nel colore è uno degli obiettivi principali in pittura», dice a proposito del suo lavoro durante gli anni Venti. Si sposa per la terza volta e dal nuovo matrimonio nascono altri due figli. Quindi Modersohn trova ulteriore ispirazione in Olanda e nel sud della Germania, in Allgäu, tra Svevia e Tirolo, dove compra una casa nel 1930. Nel 1936, pur divenuto cieco da un occhio, si sforza ancora di dipingere nel suo studio in Fischerhude. Muore nel 1943 dopo una breve malattia.


(Di Claudia Ciardi)




Paula Modersohn-Becker nel giardino di notte, 1902



Le nuvole, 1890



Montagne di nuvole, 1892



Passeggiata verso la chiesa, 1888



I prati ad Hamme



L'Allgäu in primavera



Paula Modersohn-Becker, Otto Modersohn mentre sta dormendo 


1 maggio 2014

Edvard Munch - 150



Vale senz’altro la pena spendere qualche parola sulla mostra di Edvard Munch (1863-1944), allestita a Palazzo Ducale a Genova per il 150° anniversario della nascita del pittore, che chiude i battenti proprio in questi giorni. Quello presentato è un Munch meno conosciuto e per certi versi inedito. È l’artista disegnatore, geniale creatore di incisioni, nelle quali si scorgono prove altissime di molti dei soggetti rappresentati su tela. L’intera sua produzione ammonta a 1789 opere censite. L’opera grafica, per lo più eclissata dalla forza dei dipinti, costituisce un grande bacino di idee nel quale Munch ha elaborato non pochi temi che alimentano il suo percorso artistico. Viceversa, da alcune tele ha in molti casi ricavato delle serie grafiche che gli hanno permesso di esplorare un identico soggetto, mettendone a fuoco possibilità e varianti. Questo modo di lavorare si nota ad esempio in Chiaro di luna, tela del 1893, e nelle omonime xilografie degli anni successivi. Restio a separarsi dalle sue tele – e comunque bisogna attendere il primo decennio del Novecento perché si celebri il vero e proprio riconoscimento della sua arte – è per lo più la vendita delle litografie a procurargli i proventi necessari al suo mantenimento. 
Tra il 1903 e il 1907 Munch si divide tra Berlino e Parigi, partecipando a tutti i maggiori eventi artistici delle due capitali europee. Nel 1908 è costretto al ricovero in un ospedale di Copenahgen per disturbi nervosi; dimesso l’anno seguente, inizia a meditare di ritirarsi in patria. A partire dal 1916, anno dell’acquisto della tenuta di Ekely, vicino Oslo, Munch si costruisce un eremitaggio, per poter vivere immerso nella natura e circondato dalle proprie tele. Non accettava visite, con due sole eccezioni per uno spedizioniere e il pittore danese Pola Gauguin. Quasi tutti i locali della casa erano occupati da materiali di lavoro, compreso il famoso fienile, privo di copertura, nel quale i dipinti giacevano esposti alle intemperie e dove l’artista stesso era solito intrattenersi con le caviglie affondate nella neve. Questa consuetudine naïf di mischiare letteralmente i suoi lavori agli elementi naturali, un procedimento che lui amava definire “cura da cavallo”, era stato inaugurato per la prima volta durante gli inverni trascorsi a Berlino dal 1892 al 1896. Stando a quel che Munch dichiarava al riguardo, il suo intento era verificare la resistenza del colore e allo stesso tempo stabilire un legame tra opera e ambiente: ne scaturisce una esposizione, ai nostri occhi del tutto bizzarra e inconsulta, di tele letteralmente appese ai rami degli alberi, trasportate sulla sabbia dei fiordi, posate sulle chiome dei cespugli, abbandonate a paesaggi innevati.  
Il pregio della rassegna genovese è mostrarci, da un punto di vista meno noto, i centri radiali dell’originalità pittorica di Munch, a partire dai suoi primi passi nell’ambiente artistico di Kristiania (Oslo). Il padre avrebbe voluto che frequentasse la Scuola tecnica ma dal novembre 1880, sotto l’influsso della zia materna, appassionata di disegno, e dei paesaggisti di Oslo, matura definitivamente la decisione di diventare pittore. Nell’autunno del 1882, prende in affitto, insieme a altri sei studenti di arte, uno studio in viale Karl-Johan, la strada più bella del centro cittadino. Inizia a cimentarsi in vedute urbane, nature morte, scorci paesaggistici: questi esordi sono di grande pregio e vi si intravedono motivi che torneranno nell’opera più tarda. Emblematici gli oli su cartone del Giardino con casa rossa, apparentemente incentrati su un idillio campestre, ma a ben guardare turbati da un’atmosfera che getta sull’osservatore un senso di disagio e impotenza: la casa, collocata sullo sfondo, sembra farsi largo a fatica tra la vegetazione; il giardino è incolto, alberi e piante tentacolari si tendono verso le architetture in un abbraccio soffocante. La ‘casa rossa’, struttura attorno alla quale si addensano inquietudini e visioni interiori, e soprattutto l’utilizzo in tal segno della campitura rossa, cuore vivo e martellante dentro il quadro, si impongono come motivi che avranno la loro piena celebrazione in La vite rossa (1898) e in La casa rossa (1926-1930). Nella prima tela, la vite è un tutt’uno con la facciata, di cui lascia fuori soltanto le finestre: la pianta, che non pare affatto una pianta, ma una enorme macchia di colore che occupa il centro del quadro, leviga e sovverte la nostra percezione della casa come universo rassicurante e pare un’emanazione dei pensieri del volto ritratto in primo piano. Nella seconda, la casa rossa è ancora una volta in posizione arretrata. Le pennellate sono più veloci, perfino abbozzate, tetto e facciata paiono quasi schiacciarsi l’una sull’altra e i colori formano un continuum cromatico con il terreno e il tronco del grande albero che occupa la destra del quadro e pare sul punto di inglobare l’intera la rappresentazione. Il debito con la pittura di Paul Gauguin è evidente. Come lui, Munch pensava che la natura non fosse il punto d’arrivo ma un mezzo attraverso cui esprimersi.
Il passaggio di Munch a Berlino non è indolore né privo di conseguenze per le sorti della pittura. L’artista norvegese è entrato nella storia dell’arte per aver gettato i semi dell’espressionismo e proprio la trasferta nella metropoli tedesca, con tutto il clamore che suscita, mette una seria ipoteca sull’affermarsi della nuova avanguardia. Il 5 novembre 1892 si inaugura al Verein Bildender Künstler di Berlino una mostra personale di Munch con 55 dipinti. L’esposizione causa una levata di scudi da parte della critica più ortodossa che giudica il pittore un “imbrattatele”, suscitando l’immediata reazione delle autorità, le quali decidono la chiusura della mostra il 12 novembre. Il “caso Munch”, esploso nel giro di una settimana, porta il pittore alla fama. Da allora la sua ascesa non conoscerà più battute d’arresto. Nel frattempo, dietro impulso di Max Liebermann, ben 65 artisti “moderni” protestano contro la Große Berliner Kunstausstellung che aveva rifiutato i quadri di Walter Leistikow (amico di Munch che nel 1902 gli dedica una litografia in cui lo ritrae con la moglie). Per solidarietà nei confronti del collega si risolvono ad abbandonare l’Accademia statale, dando vita alla cosiddetta Secessione di Berlino. Tra i suoi esponenti ricordiamo Lovis Corinth, Max Klinger, Oskar Kokoschka, Käthe Kollwitz, Walter Leistikow e lo stesso Edvard Munch. Il gruppo esporrà a Berlino, Dresda, Düsseldorf, Monaco, Copenhagen, Breslavia e continuerà a essere vitale fino ai primi anni del Novecento.
Durante il soggiorno berlinese Munch frequenta la birreria-circolo letterario «Zum Schwarzen Ferkel», luogo d’incontro di scrittori e critici favorevoli alla proposta delle avanguardie. L’influsso esercitato da Munch in Germania sarà durevole quanto dirompente. Nell’aprile del 1902,  presenta per la prima volta il Fregio della vita alla quinta mostra della Secessione. L'evento suscita vivo interesse, soprattutto tra i giovani pittori del Nord Europa. In questo stesso periodo si procura una macchina fotografica e inizia a farsi autoscatti, tutti sovraesposti, duplicando nelle immagini scattate il suo stile pittorico fluido e trasfigurante. Intanto la relazione con la sua storica modella, Tulla Larsen, termina in modo drammatico. La donna vorrebbe essere sposata per creare una famiglia ma lui fugge il matrimonio come una condizione limitante del suo percorso artistico. L’ennesima discussione sull’argomento sfocia in una lite violenta e Munch si ferisce alla mano sinistra con un colpo di pistola. Verso la fine dell’autunno, a causa di un problema alla vista, raggiunge l’oculista e amico Max Linde a Lubecca. Costui gli commissiona una serie di ritratti dei suoi familiari. Munch realizza così i disegni e le acqueforti che costituiscono il Portfolio Linde.
E qui tocchiamo uno dei vertici della mostra di Genova. Le acqueforti dei Linde sono delle pietre rare e preziosissime all’interno della produzione munchiana. Di fronte alle consuetudini familiari l'artista non si muove fino in fondo a proprio agio, e anche nei ritratti il disegno lascia spazio a ombre ed è rivelatore delle ansie che circondano la vita domestica. Un esempio particolarmente significativo è La madre e il bambino che piange. Ma ancor più è all’aperto, nel parco di villa Linde che l’artista lascia correre la sua immaginazione. Il giardino si popola di enormi piante dall’aspetto lugubre e fantastico. Ne scaturiscono scenari inconsueti e notturni sognanti come nel magnifico Giardino di notte. Nel portfolio non c’è praticamente spazio per la serenità ed è un fatto che, subito dopo la partenza dai Linde, Munch lavori alle scene di Spettri, opera teatrale di Henrik Ibsen composta nel 1881.
Più o meno in questo stesso torno di anni l’artista si dedica a incisioni che per la scelta dei soggetti e per le modalità con cui vengono realizzate comportano un rovesciamento degli schemi rappresentativi tradizionali. La litografia Dopo la festa (1898-’99), mette al centro una comitiva i cui membri hanno l’aria di coboldi stretti tra un gendarme e un’ombra che non lascia scampo. Una simile atmosfera di oppressione la si può leggere sui volti di Il pescatore e sua figlia (acquaforte del 1902) e Il tavolo da roulette (1903).
A parere di chi scrive il bilancio dell’evento genovese è dunque estremamente positivo perché ha il merito di aver raccolto un patrimonio di opere disseminate per lo più in collezioni private e perciò misconosciute al largo pubblico. Un percorso stimolante in grado di suscitare numerose riflessioni e anche qualche utile ripensamento sulla creatività del grande artista norvegese.

(Di Claudia Ciardi)


Vite rossa
Catalogo:

Edvard Munch – Palazzo Ducale, Genova, 2013-2014, Gruppo 24 Ore Cultura

In questo blog:

«Nato il 14 luglio 1892, secondo di sette figli, a Baumgarten, sobborgo agricolo di Vienna. Il padre Ernst, d'origine boema, era un orafo. La madre Anna Finster, viennese di modeste origini, sognava di “calcare il palcoscenico” come cantante lirica. Aveva due fratelli artisti: Ernst pittore e Georg orafo, al quale si devono molte cornici di metallo di suoi dipinti. Klimt è stato l’spiratore e il fondatore della Secessione viennese, istanza di quel modernismo europeo che ebbe tra i suoi protagonisti di spicco personaggi come Jan Toorop, Fernand Khnopff, Koloman Moser, e soprattutto l’amico di tante avventure intellettuali e progettuali, Josef Hoffmann».

«Estate 1882. Carl e Felicie Bernstein ritornano a Berlino da Parigi con un gruppo di opere pittoriche di impressionisti. I Bernstein, emigrati nella metropoli tedesca dalla Russia, avevano acquistato tele di Manet, Monet, Sisley e Pissarro. Questi lavori formano il cuore della prima collezione di arte impressionista a Berlino. La casa dei Bernstein era il luogo di un salone settimanale, frequentato da artisti quali Adolph Menzel, Max Klinger e Max Liebermann, e da storici e critici come Theodor Mommsen e Georg Brandes. Un anno più tardi, nell’ottobre 1883, l’ampio pubblico ebbe l’opportunità di vedere queste pitture, essendo incluse in un’esposizione di impressionisti alla Galerie Fritz Gurlitt di Berlino».

«Come Alan Watts già preconizzava nel suo celebre scritto sul taoismo (La Via dell’acqua che scorre, Ubaldini, 1977), in Cina la dimestichezza con il linguaggio e le pratiche del progresso avrebbe quasi definitivamente sradicato la familiarità con gli antichi saperi. Sono pensieri simili a quelli espressi da Gao Xingjian che ho avuto il piacere di sentir parlare e conoscere qualche anno fa, poco dopo aver letto il suo capolavoro sulla Cina ‘perduta’, La montagna dell’anima, toccante pellegrinaggio di un ‘uomo senza qualità’ che nel corso della propria odissea orientale riflette sulle devastazioni del capitalismo».


Da sinistra: Elsa Glaser, Jappe Nilssen, Albert Kollmann, Christian Gierloff e Edvard Munch a Kristiania (Oslo) nel 1913

19 settembre 2012

Jene Spaziergänge am Grunewald

Quelle passeggiate nel Grunewald


Walter Leistikow - Solitary woods

October 19, 1900
    Max Planck, in his house at Grunewald, on the outskirts of Berlin, discovers the law of black body emission (Planck’s law).

In:

Understanding the Present:
An Alternative History of Science
,
Bryan Appleyard
Tauris Parke Paperbacks, 2004

pages 151-153

«In definitiva, l’energia assorbita o emessa dagli oscillatori è elettromagnetica, ovvero luce. Quindi, l’ipotesi di Planck, se presa alla lettera, implicava che la luce stessa fosse quantizzata, cioè esistesse solo in unità discrete. Inizialmente Planck pensò che questa sua ipotesi fosse un artificio puramente matematico che facilitava i calcoli, destinata a essere abbandonata successivamente. Il fisico inglese James Jeans era dello stesso avviso e suggerì che h dovesse tendere a zero in qualche punto del calcolo, ristabilendo quindi un pieno accordo con la fisica classica. Ma non si riuscì a eliminare la costante di Planck. Il vaso di Pandora della meccanica quantistica era stato aperto, e non fu possibile ricacciare dentro l’ordinato recinto della fisica del XIX secolo tutto ciò che di ‘spiacevole’ seguiva dall’analisi di Planck. La ‘scatola piena di luce’ di Herschel era in evidente disordine. Da questo dilemma nacque il nuovo quanto di luce. Le enormi implicazioni della semplice ipotesi di Planck furono immediatamente evidenti solo a pochi fisici suoi contemporanei. Da quel momento, il particolare tipo di energia chiamato luce sarebbe stato quantizzato.
Con questa sola ipotesi, Planck fu in grado di ottenere una formula matematica che si adattava piuttosto bene ai dati che aveva sotto mano. Inoltre, per verificare la sua teoria, invitò Rubens a prendere il tè a casa sua, fuori Berlino. Egli portò con sé i risultati delle sue recenti misurazioni e Planck ricambiò con la sua nuova formula per la distribuzione della radiazione del corpo nero. Per la prima volta la teoria era in pieno accordo con l’esperimento. Tutto il successo derivava dalla sua bizzarra ipotesi sul moto discreto di un pendolo.
Planck deve aver intuito il profondo significato di questo momento, perché nell’impeto del successo portò il suo adorato figlio Erwin a fare una lunga e memorabile camminata nella foresta di Grunewald, fuori Berlino. Erwin, che allora aveva solo sette anni, sapeva del prolungato impegno di suo padre per l’analisi della luce. Mentre camminavano, lui si confidò dicendo al bambino di avere la sensazione che la sua fosse una scoperta rivoluzionaria, destinata ad avere la stessa importanza di quelle di Copernico e Newton. Queste erano parole coraggiose, profetiche, dette da un uomo onesto e prudente, un’eresia pronunciata a nessun altro che a suo figlio, e tuttavia essi avevano parlato apertamente. Le domande paradossali che la teoria di Planck sulla luce aveva insinuato nell’immaginazione umana continuano a riecheggiare un secolo dopo, nella forma della dualità onda-particella.»

[…]


«Berlino, all’inizio del secolo, era un luogo entusiasmante. Mentre Max Planck era impegnato presso l’Università nella elaborazione della teoria quantistica, non molto lontano, al vecchio Café des Westens, importanti scrittori, artisti e intellettuali si radunavano ogni sera per discutere su van Gogh, Nietzsche, Freud e per spargere i semi della rivoluzione. Il poeta Ernst Blass sentì la vita, in quegli anni, come «una coraggiosa lotta contro la crudeltà, l’inattività, la pigrizia e la meschinità del mondo incolto». Il materialismo del XIX secolo era attaccato da ogni parte. La teoria quantistica e la relatività stavano indebolendo le spiegazioni meccanicistiche, gli artisti erano scontenti per le limitazioni dell’arte accademica, e gli intellettuali stavano annunciando una rivoluzione contro culturale nel campo delle idee.
I nuovi atteggiamenti rifiutavano gli aridi meccanismi dell’era precedente, e desideravano sostituirli con una più vitale Lebensphilosophie, o filosofia della vita. La fisica, che non si sviluppò mai nell’isolamento culturale, condivideva lo spirito del tempo. Gustav Mie, professore di fisica, disse in un discorso del 1925: “È interessante osservare che anche la fisica, una disciplina rigorosamente limitata ai risultati degli esperimenti, si sta muovendo lungo sentieri che corrono perfettamente paralleli a quelli dei movimenti intellettuali in altre aree della vita moderna”.
Insieme con le rivoluzioni nella fisica si verificò una rivoluzione nelle consapevolezze, ma i venti del cambiamento non ebbero su tutti lo stesso effetto. Nel primo quarto del XX secolo si verificarono spesso lunghe dispute tra le voci della tradizione e quelle di una nuova vita, che si riflettono nella nostra cronistoria della luce. Planck, Einstein e Bohr lottarono per proteggere le basi tradizionali della scienza, mentre contemporaneamente favorivano le conoscenze rivoluzionarie sulla luce. Gli artisti e i pensatori spirituali del periodo, da un lato apprezzavano gli ottimi risultati della scienza, dall’altro criticavano la sua unilateralità e aspiravano a incarnare il sogno di Emerson, ovvero l’unione della scienza rigorosa con una visione poetica e spirituale.
A Parigi, Robert Delaunay traeva la sua pittura direttamente dal colore e dalla luce, giustapponendo forme di colore con solo un pizzico di realismo. Nel 1912, Klee tradusse un saggio di Delaunay, Sulla luce, per la rivista di arte e poesia espressionista «Der Sturm». Le parole di Delaunay in quel saggio avrebbero potuto essere di Klee o Kandinskij: “Finché l’arte è troppo servile verso gli oggetti, rimane descrizione, letteratura…” Piuttosto la luce stessa dovrebbe essere “considerata come un mezzo indipendente di rappresentazione”. »


[…]


«Il 15 febbraio 1944, durante il massiccio bombardamento aereo degli alleati su Berlino, fu rasa al suolo anche la città di Grunewald e con essa la casa di Planck. Tutte le sue lettere e i documenti conservati meticolosamente vennero distrutti nell’esplosione. Infine, più tardi, in quello stesso anno, il suo amato figlio Erwin, con il quale aveva fatto la solitaria passeggiata nella foresta di Grunewald nel primo momento entusiasmante della sua scoperta, venne arrestato dalla Gestapo per il ruolo avuto nel fallito attentato a Hitler. Suo padre mosse cielo e terra per salvargli la vita ma invano. Il dolore per la sua perdita fu tanto grande che quasi ne morì. Ma forse, come pensava von Baader, fuori dal buio l’energia può uscire di nuovo improvvisa e intensa come un fulmine».
Arthur Zajonc, Dalla candela ai quanti. La storia della luce nella filosofia, nell’arte, nella scienza, Red edizioni, 1999

pp. 238, 239, 251, 252, 254



Walter Leistikow - Grunewaldsee

Berlin-Grunewald
Geschichte

In den 1880er Jahren verkaufte der Preußische Staat nach persönlicher Intervention von Reichskanzler Otto von Bismarck 234 Hektar des Forstes Grunewald an ein Bankenkonsortium, das sich zum Ziel gesetzt hatte, nach dem Muster der überaus erfolgreichen Villenkolonien Alsen und Lichterfelde ein noch aufwändiger angelegtes Wohnviertel zu errichten. Es entstand die spätere “Millionärskolonie Grunewald”. In diesem Zusammenhang wurde auch der Kurfürstendamm ausgebaut und so entstand seit 1889 an seinem westlichen Ende ein neues nobles Wohnviertel, die Villenkolonie Grunewald.

Aufgrund baulicher Vorgaben waren große Grundstücke erforderlich, die nur zu einem geringen Teil bebaut sein durften. So entwickelte sich Grunewald zu einer der wohlhabendsten Wohngegenden Berlins, obwohl die Villen stilistisch sehr heterogen sind. Um 1870 wurden die künstlichen Seen innerhalb der zur Glazialen Rinne der Grunewaldseenkette Seen Hubertussee (vorher Torffenn), Herthasee (Rundes Fenn), Koenigssee (Langes Fenn) und Dianasee (Diebsloch) ausgehoben und über artesische Brunnen mit Wasser gefüllt. Sie wurden entlang des ehemals sumpfigen Geländes angelegt. Man erreichte damit gleichzeitig zwei Dinge: Zum einen beseitigte man damit Moorgebiete (Fenns), die man als Infektionsherde fürchtete, zum anderen legte man gleichzeitig Attraktionen für die potenziellen Bewohner an, da sich die Villen um die Seen gruppierten und die Seeufer sowie die Hangbereiche frei von jeder Bebauung blieben und zu privaten Garten- und Parkanlagen wurden. In großer Zahl wählten Unternehmer, Bankiers, Akademiker und Künstler, oft jüdischer Religion, das inzwischen attraktive Gelände zum Wohngebiet.

Bei der Eingemeindung nach Groß-Berlin 1920 wurden 6449 Einwohner in Berlin-Grunewald Landgemeinde und 507 Einwohner in Berlin-Grunewald Forstgutsbezirk gezählt.

Durch Bomben im Zweiten Weltkrieg gerissene Lücken wurden teilweise mit Nachkriegsvillen oder größeren Einfamilienhäusern gefüllt, teilweise aber auch mit profaner Mietarchitektur. Berlin-Grunewald ist bis heute das teuerste Viertel des Berliner Villenbogens, der sich im Südwesten der Stadt von Lichterfelde-West im Süden, über Dahlem und Grunewald bis nach Westend erstreckt.

Über den Bahnhof Grunewald besteht ein direkter Anschluss zur S-Bahn-Linie S7; von dort geht es in die Berliner Innenstadt bzw. stadtauswärts nach Potsdam.

Von diesem Bahnhof aus erfolgte während des Zweiten Weltkriegs seit Oktober 1941 die Deportation der Berliner Juden vorwiegend in östlich gelegene Konzentrations- und Vernichtungslager. Hieran erinnert seit 1998 das “Mahnmal Gleis 17”.
http://de.wikipedia.org/wiki/Berlin-Grunewald
La Foresta di Grunewald (o semplicemente Grunewald, "foresta verde") è, con i suoi 3.000 ettari di estensione, la maggiore foresta cittadina di Berlino.
Il Grunewald (appartenente per la maggior parte al quartiere omonimo) si estende lungo la riva orientale dell'Havel, nella zona occidentale di Berlino.
Lambisce, verso nord, la Fiera di Berlino (Messe Berlin) e la torre della radio (Berliner Funkturm).

L'ambiente naturale del Grunewald presenta un'estesa foresta, principalmente di conifere e betulacee. Varie aree sono protette (Naturschutzgebiet) ed interdette agli avventori, ospitando una variegata fauna, principalmente di anfibi ed uccelli).

Oltre al fiume Havel, che per i berlinesi rappresenta una vera e propria zona balneare, il Grunewald è contornato da vari laghi e stagni. Lungo il confine occidentale della foresta, collegati dal corso del torrente Fenngraben, vi sono lo Schlachtensee, il Krumme Lanke, il Grunewaldsee, e gli stagni di Riemeisterfenn e Hundekehlesee. Altri piccoli stagni interni alla foresta sono il Teufelsee, il Pechsee ed il Barssee.
Il Grunewald conta 2 isole sul fiume Havel: Schwanenwerder (unita tramite strada) e Lindwerder.

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