4 giugno 2014

Un Finnegans cinese: hoax o limae labor?


Finnegans Wake nasce a Londra il 4 maggio 1939, presso l’editore Faber and Faber. Negli anni ’60, in Italia, pubblicato nella Medusa di Mondadori è ritenuto un’opera assolutamente incomprensibile e intraducibile. Dice Luigi Schenoni, scomparso il 22 settembre 2008, indimenticato e geniale traduttore, che proprio in quel tempo iniziava ad avvicinarsi alla proteiforme creazione joyciana: «La mia curiosità fu stuzzicata già da allora e quando riuscii ad avere fra le mani una copia dell’originale cominciai a sondarlo qua e là, chiedendomi se fosse davvero impossibile trasportarlo in un’altra lingua mantenendone le caratteristiche. […] Poi, dopo una quindicina d’anni, verso il 1974 presi la decisione di provare a iniziare la trasposizione di Finnegans Wake, e cominciai a cimentarmi inviando qualche campione a una rivista americana, il «James Joyce Quarterly».
Nel 1982, centenario della nascita di Joyce, comparve il primo volume della traduzione, i capitoli I-IV del primo libro. Altri quattro capitoli del primo libro hanno visto la luce nel 2001 e nel 2004 è uscito il terzo volume con i primi due capitoli del libro II. Opera di cesello e, per chi ha un’idea dell’originale, comprensibilmente estesa nel tempo.




Leggere della traduzione cinese di Finnegans Wake mi ha divertita molto. Ecco, mi sono detta, l’eredità di Joyce, ma in qualche misura anche il lavoro pionieristico del nostro Schenoni, che negli anni ’70 mise mano a quella da lui definita la “ricreazione” dell’opera del grande narratore irlandese, hanno contaminato pure gli orientali. Il tarlo della corposcrittura, della «fisiologia smisurata» – si tratta di formule memorabili coniate dalla lezione critica di Giuliano Gramigna – che perfora linguaggio e architetture del Finnegans, facendoli letteralmente accartocciare su se stessi, non poteva non attecchire nell’universo degli ideogrammi. Quale poi sia stato il criterio seguito dalla traduttrice, Dai Congrong, per “estrapolare” la sua versione in mandarino se lo chiede anche Sheng Yun, insegnante di scienze sociali a Shanghai e autrice per la «London Review of Books» dell’articolo di presentazione dello ‘strano caso’ del Joyce cinese. A dire il vero non si tratta affatto di un’opera prima. Già gli scrittori e traduttori Wen Jieruo e Xiao Quian, uniti nella vita e nella comune passione per le lettere, avevano portato a compimento l’impegnativa traduzione dell’Ulisse, uscito nel 1994. Lavoro tuttavia condotto non sull’edizione inglese ma sulla versione giapponese, e dunque affetto per così dire da una clandestinità intellettuale, cosa rilevata dalla signora Yun non senza un intento polemico. Il suo pezzo infatti dispensa qua e là strali all’indirizzo di certa viziosità accademica cinese (ma anche altrove non si scherza!) e di un lobbismo letterario che lascia a dir poco perplessi. Certamente il boccone più amaro toccò a suo tempo a Jin Di che, illuminato dalla fiaccola dello scrupolo filologico, dette una versione dell’Ulisse assai più credibile sotto il profilo del rigore testuale, destinata tuttavia all’eclisse causa i più ampi e solidi addentellati nei salotti letterari dei coniugi Quian.
Insomma i retroscena dai quali prende le mosse la recente avventura editoriale del Finnegans sono ben lontani dagli ozi spirituali delle humanae litterae. Quello che Harold Bloom definì «l’elefante bianco letterario» per ora si presenta in cinese come un mattone di 775 pagine. Parliamo solo di meno della metà del romanzo che ha impegnato la traduttrice per ben otto anni. Il testo finora prodotto supera di parecchio l’intera edizione inglese. Un’arrampicata colossale, tanto che Dai Congrong non si sogna neppure di esporsi sui tempi in cui consegnerà il resto dell’opera.
Al momento si gode il successo. In Cina infatti quest’impresa ha avuto una grandissima risonanza. Nel suo delizioso resoconto Sheng Yun non manca di informare il lettore occidentale sulle stranezze e i tic che dominano il mercato librario nel paese di mezzo. Riguardo il Finnegans si è provveduto a un campagna pubblicitaria martellante con tanto di cartellonistica autostradale e servizi a tappeto nelle principali emittenti televisive. Obiettivo, scalare velocemente le classifiche più blasonate, lanciarsi in un corpo a corpo tra titani del carattere a stampa e conquistare il miglior piazzamento possibile. Insomma un’autentica macchina da guerra di fronte alla quale Mr. Joyce si sarebbe fatto due risate, salvo poi ritradurla nel suo opificio di simboli e profanazioni.
Risultato di tutto questo battage: tredicimila copie vendute. Più che nella trazione joyciana, il successo sta nell’ebbrezza da volantinaggio. La Yun, da sociologa, non ha dubbi.
Eppure, per quanto al centro di così vasto fragore, Finnegans non smetterà di ammaliare proprio in virtù della sua capacità di negarsi. I lettori cinesi, quelli che andranno oltre l’acquisto da sfoggiare sulla mensola di casa, risolvendosi a sfogliare il libro, lo impareranno presto. Faranno esperienza del più mutevole dei libri, un corpo liquido e altrettanto infido che ben incarna la nevrosi che attraversa la forma di romanzo nel Novecento. Se la traduttrice è stata abile, allora può darsi che anche l’Oriente abbia adesso il suo Cavallo di Troia. Al di là delle questioni formali – il Finnegans rappresenta la fine o l’inizio del romanzo – se ne profila, infatti, una assai più dirompente, profondamente impigliata alle esigenze della lingua. Si può anzi dire che mai questione della lingua è stata posta con simile sfrontatezza dalle periferie dell’insubordinazione teorica. Quale sarà l’impatto sulla letteratura cinese, e da qui come rifluirà nella vorticosa corrente delle tante anime creative del mondo? Presto per dirlo. Ma di sicuro i primi segni di scivolamenti multipli nello spazio e nel tempo, tipici del deragliamento che James Joyce ha voluto infliggere alla scrittura, non tarderanno ad annunciarsi.

(Di Claudia Ciardi)



Related links:
Di Gabriele Marino su «Transfinito»

di Rosignagno Solvay, 14 maggio 2004
Su «Transfinito»

Giuliano Gramigna parla del Finnegans. Per tutti i joyciani devoti alla "corposcrittura" di questo straordinario romanzo rimandiamo agli importanti contributi apparsi nel tempo sulla rivista «Testuale critica». Qui alcuni stralci nello "Speciale James Joyce" di «Alfabeta 2», marzo 2017

Un mio abbozzo di scrittura del 2010, prendendo le mosse dal Finnegans
«Fabula fluit. Corpi letterari e geografie fluviali»
Due prove di riscrittura a partire dal Finnegans
Slum pastiche I (Urlo bianco)
Slum pastiche II

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