22 settembre 2018

Otto Modersohn - Paesaggi dell'anima


Nato nel 1865 in Vestfalia, Otto Modersohn ha scritto diverse pagine degne di nota nella storia della pittura tedesca, anche in virtù dell’intenso sodalizio con la seconda moglie, Paula Modersohn-Becker, già musa di Rainer Maria Rilke, forse la più importante per il poeta insieme a Lou Andreas Salomé. A testimonianza dell’incontro e del fertile scambio di energie creative tra Otto Modersohn e Paula ci sono il loro carteggio e le limpide pagine del diario scritto da lei.
Nel 1884 Otto si trasferisce con la sua famiglia d’origine da Soest a Münster. Durante il periodo trascorso alla scuola secondaria sviluppa un crescente interesse per l’arte. Dopo essersi diplomato decide perciò di iscriversi all’Accademia di Düsseldorf, ma presto scopre di essere in disaccordo con i metodi d’insegnamento qui praticati. Si sposta quindi a Monaco di Baviera per un breve soggiorno, sperando poi di trovare un contesto favorevole a sviluppare la propria creatività presso l’accademia di Karlsruhe, ma ancora una volta resta deluso.
Un viaggio attraverso la Germania settentrionale con Mackensen nel 1888 ispira a Otto Modersohn una serie di piccoli ritratti di paesaggio. Queste opere costituiscono un primo momento saliente nei suoi inizi. Un ulteriore viaggio dei due a Worpswede nel 1889 porta alla decisione congiunta di trasferirsi definitivamente lì, fondandovi una colonia di artisti, sul modello della scuola francese di Barbizon e Pont-Aven. Dopo aver inizialmente condiviso le stesse idee, Otto Modersohn inizia gradualmente ad allontanarsi dai suoi amici, scrivendo: «La tranquillità silenziosa è il mio vero obiettivo […], preferisco dire molto dicendo poco [...]».
Nel 1895 alcuni lavori di Otto entrano nella mostra collettiva della sua colonia presso la “Kunsthalle” di Brema. Le reazioni a questo evento rispecchiano umori diversi, ma la successiva presentazione alla “Internationale Glaspalastausstellung” di Monaco ha una particolare risonanza.
Nel 1897 la giovane pittrice Paula Becker visita Worpswede per la prima volta, conoscendo Otto Modersohn. I due decidono di sposarsi nel 1901. Nel frattempo in Otto si rafforza il pensiero di lasciare la colonia. Il tempo che segue è occupato da numerosi viaggi con la moglie e vari soggiorni in diverse zone della Germania e della Francia. Il rapporto tra i due s’incrina agli inizi del 1906, e nella primavera dell’anno successivo Modersohn si risolve a tornare stabilmente a Worpswede. Nel frattempo insiste per una riconciliazione; la pittrice continua così a incontrarlo, decidendo infine di rientrare in famiglia, forse a causa dell’inizio di una gravidanza. L’attesa però ha un decorso difficile, che quasi impedisce a Paula di dipingere. Subito dopo la nascita della figlia Mathilde, nel 1907, l’artista muore di embolia post parto, lasciando dietro di sé circa 1700 opere, tra disegni e tele; pochissime avevano trovato un compratore mentre lei era ancora in vita.
Otto Modersohn si trasferisce a Fischerhude nel 1908, anno che segna per lui l’inizio di “una nuova era”. In questo ambiente rurale, Modersohn si dedica ancora all’amato studio della natura e, dopo un nuovo soggiorno a Worpswede e Berlino, vi ritorna in via definitiva nel 1917, aprendo sempre più il suo realismo d’intonazione malinconica agli influssi Jugendstil. «Semplificazione, sintesi nella forma e nel colore è uno degli obiettivi principali in pittura», dice a proposito del suo lavoro durante gli anni Venti. Si sposa per la terza volta e dal nuovo matrimonio nascono altri due figli. Quindi Modersohn trova ulteriore ispirazione in Olanda e nel sud della Germania, in Allgäu, tra Svevia e Tirolo, dove compra una casa nel 1930. Nel 1936, pur divenuto cieco da un occhio, si sforza ancora di dipingere nel suo studio in Fischerhude. Muore nel 1943 dopo una breve malattia.


(Di Claudia Ciardi)




Paula Modersohn-Becker nel giardino di notte, 1902



Le nuvole, 1890



Montagne di nuvole, 1892



Passeggiata verso la chiesa, 1888



I prati ad Hamme



L'Allgäu in primavera



Paula Modersohn-Becker, Otto Modersohn mentre sta dormendo 


9 settembre 2018

Henry D. Thoreau - Disobbedienza civile



Insieme a Walt Whitman e Nathaniel Hawthorne viene annoverato tra i grandi del cosiddetto rinascimento americano, portavoce di un’armonia di natura cui è chiamato l’individuo che vuole compiutamente realizzare la propria emancipazione culturale, contribuendo così al progresso della società in cui vive. Henry David Thoreau è filosofo, scrittore e insegnante, ma soprattutto uomo capace di “ordinari” gesti di ribellione, a riprova che ognuno, se vuole, può essere rivoluzionario anche e soprattutto nel suo agire quotidiano. Le sue due opere fondamentali, Walden o vita nei boschi e Disobbedienza civile, che ancora non smettono di incantare e porre interrogativi sulle odierne derive del progresso, nascono da un nobile rifiuto del mondo che, lungi da ogni sterile celebrazione dell’individualismo, è una sorta di via aurea per problematizzare la capacità di ciascuno di opporsi all’ingiustizia e a quanto, nelle decisioni pubbliche, non lo rappresenta. Dunque, si tratta di una riflessione profonda sull’inadeguatezza della nostra democrazia, ancora ferma a una fase non affinata. Già ai tempi della sua scrittura, circa metà dell’Ottocento, Thoreau sentiva che il voto non è una traduzione esatta della volontà collettiva, ma una sua riduzione in termini molto grossolani, e affinché possa esserci reale rappresentanza si sarebbe dovuta realizzare una crescita morale dell’intero organismo chiamato nazione, tale da essere capillarmente assimilata e, quindi, guidata con saggezza dalla classe politica. Ed è sintomatico che ad aprire Disobbedienza civile sia proprio la norma, peraltro già ben nota all’antica scuola di pensiero cinese, il taoismo, un tempo vero mentore d’imperatori illuminati, secondo cui meno il governante forza e obbliga coloro sui quali esercita il suo potere, più efficace sarà la sua azione.        
Tutto nacque dal fatto che nell’istituto in cui decise di insegnare si faceva ricorso, in modo piuttosto disinibito, alla punizione corporale degli studenti. In seguito alle sue proteste, che non vennero accolte, si trovò costretto a lasciare l’incarico. Aprì così col fratello un’altra scuola in cui non venivano inflitte punizioni e si faceva lezione all’aperto, camminando. Un Peripato all’americana fuori dagli angusti confini della città. Quando il fratello, suo principale sostegno e fonte d’ispirazione, morì prematuramente, Thoreau prese ad annotare su un diario i pensieri che gli aveva affidato durante gli anni trascorsi insieme e, con l’aiuto dell’amico dei tempi universitari, Ralph Waldo Emerson, continuò a divulgare le esperienze che avevano condiviso nell’insegnamento e nella vita di tutti i giorni. Più tardi Emerson, fondatore della rivista culturale “The Atlantic Montly”, gli avrebbe dato spazio come redattore, ed è proprio sulle pagine di questo giornale che vennero pubblicati alcuni dei suoi articoli più celebri. Uno su tutti “Walking”, celebrazione del camminare come principio di libertà, dimensione del pensiero in grado di innescare un cortocircuito mentale, primo vero passo in direzione d’un cambiamento. Il 4 luglio 1845, simbolicamente il giorno dell’indipendenza americana, decise di dare inizio al suo ritiro spirituale sulle sponde del lago Walden, in prossimità di Concord, sua città natale, con la voglia di dimostrare che è possibile sopravvivere con poco, rinunciando a buona parte del superfluo che ci viene spacciato per necessario, e che se ne guadagna in profondità di pensiero. Per poter riconoscere la bellezza di quello che abbiamo intorno, per fermare lo sguardo e il sentire sui mutamenti della natura e sui piccoli accidenti che sanno ben colmare il calice della quotidianità, bisogna avere il coraggio di liberarsi da quanto ci distoglie, rendendoci ferocemente insensati. Da qui scaturiscono le pagine di Disobbedienza civile e quelle altrettanto martellanti di La schiavitù nel Massachusetts.
L’indignazione è un fiume in piena che non vuol travolgere ma richiamare gli uomini alle proprie responsabilità di cittadini. Se anche un solo uomo è schiavo, sarà l’intera società ad essere condannata al servaggio e all’onta che ne deriva. Perché un paese è un corpo complesso fatto di tante membra e ai cittadini spetta il compito di mediare e incrementare le funzioni di ogni singola parte. Solo la volontà degli esseri umani, una volontà non passiva ma lucidamente indirizzata a far meglio e alla più ampia diffusione di questo meglio, permette di avanzare sul cammino della liberazione.
«Un buon governo aggiunge valore alla vita; un cattivo governo lo toglie. Possiamo permetterci che una ferrovia, così come una qualsiasi altra merce, perda un po’ del suo valore, si tratterebbe soltanto di vivere in modo più semplice e parsimonioso. Ma supponete che a perdere valore sia la vita stessa». Opera che educa, dunque, al valore della vita e a concepire in noi il bisogno di percorrerla in tutte le sue potenzialità.


(Di Claudia Ciardi)


Edizione consultata:

Henry D. Thoreau, Disobbedienza civile e La schiavitù nel Massachusetts
Einaudi, 2018.  

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