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24 marzo 2014

Werner Bischof – After the War

«Jede Begegnung mit dem Tod muss bezahlt werden»
Da Reporter als Kampfgenossen – Ingrid Kolb


Berlin, 1946 ©
 La sagoma del Reichstag sventrato naviga sullo sfondo di una Berlino divenuta spettrale cornice della distruzione.

Desideriamo tornare su un tema che ci appassiona molto, ossia il fotoreportage dalle zone di guerra. Abbiamo già avuto modo di spendere qualche parola sull’ascesa della fotografia nel corso del Novecento quale supporto di straordinaria efficacia per raccontare la storia ma anche e soprattutto come strumento in grado di sollecitare, come mai prima, una riflessione attorno a eventi di portata così devastante, quali ad esempio le due guerre mondiali.
È proprio con la Grande Guerra che il documento fotografico conosce un’inedita affermazione. Molti furono infatti gli ufficiali che partirono per il fronte con tanto di macchina portatile al seguito. I loro scatti segnarono una decisiva svolta nell’utilizzo dell’immagine, che venne allora svincolandosi dalle sue funzioni tecnico-scientifiche, e si impose come mezzo narrativo di sconvolgente immediatezza.
Il documento fotografico avrebbe dunque contribuito a sviluppare un importante dibattito sulle atrocità commesse nei territori di guerra e, preservando la memoria di fatti che per la prima volta con tanta veemenza scuotevano le coscienze, a creare un ampio fronte di consapevolezza verso tali avvenimenti.


Brandenburger Tor, Berlin, 1946 ©

Warsaw, 1948 ©

Werner Bischof (Zurigo, 1916 – Perù, 1954) è uno dei nomi di maggior rilievo a livello internazionale nel campo del fotoreportage del dopoguerra. Dal 1932 al 1936 studia alla Scuola di arti applicate di Zurigo con il fotografo Hans Finsler legato al movimento Nuova Oggettività (Neue Sachlichkeit). In un primo tempo, quindi,  percorrendo con grande precisione e perfezione la strada della fotografia realistica e di moda. Qualcosa di simile agli inizi di carriera di molti autori, (ad esempio August Sander, del quale abbiamo parlato) incentrati sulla ritrattistica, il che consentiva di esercitarsi avendo garantiti i proventi necessari a coltivare la professione. Nel 1942 entra a far parte, come collaboratore fisso, della redazione della rivista svizzera «Du» per la quale svolge principalmente l'attività di fotografo di moda. Durante la seconda guerra mondiale non si muove dalla Svizzera. Resiste nell’ “occhio del ciclone”. Quando la tempesta si placa, Bischof si mette in cammino per documentare i disastri della guerra. Parte nel settembre 1945 diretto nella Germania sud-occidentale, nella zona controllata dai francesi, con una bicicletta, zaino, rullino e fotocamera Leica. Nel suo diario annota questo suo primo incontro con la devastazione, dà conto di come in preda allo stordimento barcollasse in mezzo a un paesaggio di rovine, crateri di esplosioni, montagne di mattoni, sotto cui i corpi seguitavano a imputridire. Di questa esperienza chiave in seguito ha scritto: «Poi venne la guerra e da ciò la distruzione della mia torre d’avorio. Il volto dell’umanità sofferente divenne il punto centrale». E lui si trasforma in fotoreporter. Dedicandosi al fotoreportage ha dovuto modificare il suo modo di lavorare – non conta più infatti l'immagine preparata e elaborata in studio, bensì il momento reale, che è impossibile programmare. Dal 1949 inizia a lavorare per la stampa internazionale e entra nel gruppo Magnum.

(Di Claudia Ciardi)


A man looking at the ruined city, Frankfurt, 1946 ©

«Während der sechs Kriegsjahre verließ Bischof die Schweiz kein einziges Mal mehr, blieb, wie sein Vaterland, unversehrt von den kriegerischen Wirren, die ringsherum in Europa tobten. Er harrete aus im Auge des Sturms. Als dieser sich gelegt hatte, brach Bischof auf. Im September 1945 fuhr er – mit Fahrad, Rucksack, einer Rollei und einer Leica – nach Südwestdeutschland, in die französisch besetzte Zone. Im Tagebuch notierte er, dies sei seine erste Begegnung mit der vollkommenen Verwüstung. Wie benommen taumelte er durch eine Landschaft aus Ruinen, Bombenkratern, Bergen von Backsteinen, unter denen noch immer Leichen rotteten. Später schrieb er über dieses Schlüsserlebnis: «Dann kam der Krieg und damit die Zerstörung meines “Elfenbeinturms”. Das Gesicht des leidenden Menschen wurde zum Mittelpunkt». Er wurde zum Reportagefotografen. Die Nähe zur Malerei und die künstlerischen Kompositionen, mit denen Bischof sich als Werbefotograf einen Name gemacht hatte, blieben auch für seine journalistischen Bilder stilbildend: In ihnen zeigt sich ein außergewöhnlicher Instinkt für Augenblicke, in denen die Zeit innezuhalten scheint. Viele der Fotos, auch traurige, auch tragische, sind von kontemplativer Schönheit. Manche, wie das des halbzerstörten Berliner Reichstags, vor dessen in Nebel gehüllter Silhouette ein Soldatenhelm und die Sonne sich im Wasser einer Pfütze spiegeln, wirken wie aufwendig arrangierte Stillleben, in denen sich Licht, Schatten, Formen, Proportionen zu einem durchkomponierten Ganzen verdichten».

Abstract from Wunden der Welt – Der zweite Weltkrieg, Zeitenspiegel-Reportageschule, Günther Dahl


A mother breastfeeding her child, Bonn ©
Bibliography:

After the war

Werner Bischof, Werner Adalbert Bischof
Smithsonian Institution Press, 1997 - 39 pagine


Smithsonian Institution Press is pleased to join Motta Fotografia, one of Europe's foremost publishers of photography, in presenting a series showcasing the work of postwar masters. Each book includes more than forty duotone or color images and represents an original approach to a particular theme by one of the century's finest documentary or fine-art photographers.This extraordinary portrait of Europe's slow emergence from the rubble of World War ll documents in luminous images Werner Bischof's travels through Germany France, Hungary, Greece, and Italy during a time of profound transition in both countryside and city.

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Questions To My Father: A Tribute to Werner Bischof

Werner Bischof, Marco Bischof (Werner's son)
Phaidon Press, 2004 - 160 pagine

In 1916, with the Great War reducing northern Europe to a treeless, shattered void, a boy was born to the prosperous director of a pharmaceutical firm in Zurich. He was named Werner. It was not an auspicious time to be born and, indeed, his mother died soon after. As a child, young Werner sought order in his life by dissecting snails and photographing, in the limpid light of his creation, the elegant whorls revealed. He did not become the physical training instructor his father wanted him to be. He did not become the painter he had once wanted to be in Paris in 1939, on the brink of another devastating conflict. He became Werner Bischof, the man, and a photographer of incalculable artistry who found in both order and the chaos he confronted and experienced a sublime beauty, a humanity that was singularly his own. His photographs of a post-war Europe in poverty and despair expressed infinite hope for the human condtion, yet he was only 29. Less than 10 years later he was dead, leaving behind among his last photographs that of a Peruvian child playing his flute on the edge of a ravine. It is now an iconic photograph with a fatal allure. Bischof himself died when his jeep plunged over a ravine in the Andes on a quest for the faces, the lives, of harmony there. Fifty years later his son Marco has gathered together 70 previously unpublished photographs by Werner Bischof. They powerfully reiterate the man his father was, the nature of his humanity and his search for a benign and beautiful cognisance of the brief and terrifying world he lived in.

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Wunden der Welt - Ferite del mondo
Zeitenspiegel-Reportageschule, Günther Dahl und Magnum Photos

Da una guerra all’altra, cambiano i luoghi e le persone ma la miseria umana si ripete e la riflessione che ne scaturisce è sempre la stessa: di fronte alla violenza, nessun argine tiene. Gli uomini che si aggirano in queste prese ci inchiodano senza scampo alle contraddizioni del Novecento, secolo del progresso scientifico, delle grandi ratifiche in materia di diritti e ambiente, e al contempo fabbrica di sconvolgenti catastrofi.


Portrait
Werner Bischof - offizielle Website

Magnum Photos - Portfolio

28 febbraio 2014

Wunden der Welt - Ferite del mondo



Ultimi giorni per visitare la mostra ospitata dalla Biblioteca S. Giorgio di Pistoia, Wunden der Welt – Ferite del mondo, nella quale sono presenti alcuni degli scatti che letteralmente hanno scritto la storia del fotoreportage dalle zone di guerra.
L’allestimento documenta le atrocità che si sono consumate in ogni angolo del pianeta, da “Il miliziano colpito a morte” di Robert Capa, indimenticabile narratore della Spagna dilaniata dalla guerra civile, alle primavere arabe. Dagli sguardi annientati dei passanti che scrutano il cielo durante gli allarmi aerei in una Bilbao sfinita dall’assedio (maggio del ’37) a quelli altrettanto persi dei soldati tedeschi che, anni dopo, si troveranno prigionieri in Normandia, sopravvissuti sì ma costretti a fare i conti con la propria sconfitta. È uno scenario lunare quello che trafigge gli occhi dell’osservatore, ovunque, che sia la Germania del ’46 o la Cecenia dei primi anni del duemila; l’impressione davanti a queste immagini è di affondare letteralmente i piedi in un mare di macerie fisiche e emotive. Una collezione di foto d’autore, com’è in questo caso – tuttavia il discorso vale per qualsiasi supporto visivo – è strumento imprescindibile, insieme alla testimonianza scritta, se si è in cerca di comprendere qualcosa oltre la teoria sullo scenario geo-politico più recente. Kryn Taconis, membro della Untergrundkamera, gruppo clandestino che documentava l’occupazione tedesca in Olanda, Werner Bischof, svizzero di Zurigo, impegnato nel racconto della devastazione prodotta dalla seconda guerra mondiale in Europa, Philip Jones Griffiths, secondo Henri Cartier-Bresson il più grande nel rappresentare la guerra dopo Goya, i cui scatti dal Vietnam accesero l’opinione pubblica statunitense, Josef Koudelka, indimenticato narratore della Primavera di Praga, Steve McCurry, il ritrattista della giovane Sharbat, la ragazza afgana incontrata nel rifugio antiaereo di Nasir Bagh (Pakistan 1985), divenuta simbolo di un mondo millenario devastato, che pur in mezzo al male è in grado di mostrarsi fiero, di guardare con forza e intensità chi gli sta di fronte. Sono solo alcuni dei nomi raccolti in questa occasione dall'agenzia tedesca Magnum Photos e dalla scuola di giornalismo Zeitenspiegel di Günther Dahl. La loro opera straordinaria compendia e approfondisce i tanti “viaggi tra le rovine” che si sono fatti nel corso del secolo. Se si considerano letture come la Storia naturale della distruzione di Winfried Sebald o l’Autunno tedesco di Stig Dagerman o C’era una volta una guerra di John Steinbeck, anche se differenti tra loro per genere e dunque per la modalità scelta dai singoli autori nel trattare il personaggio della guerra, non faticheremo a trovare un’immediata consonanza, un’affinità tonale tra tali resoconti e quanto è riuscito a catturare e trasmetterci un obiettivo in prima linea.   
Da una guerra all’altra, cambiano i luoghi e le persone ma la miseria umana si ripete e la riflessione che ne scaturisce è sempre la stessa: di fronte alla violenza, nessun argine tiene. Gli uomini che si aggirano in queste prese ci inchiodano senza scampo alle contraddizioni del Novecento, secolo del progresso scientifico, delle grandi ratifiche in materia di diritti e ambiente, e al contempo fabbrica di sconvolgenti catastrofi.

(Testo di Claudia Ciardi)




Biblioteca S. Giorgio (01.02. – 02.03.2014)


«..Nein, nicht Wunder der Welt, sondern Wunden der Welt lautet der Titel der Ausstellung...» [ Neue O.Z.].
Dalla collaborazione di Magnum Photos e la scuola di giornalismo Zeitenspiegel di Guenther Dahl nasce l'idea di una mostra fotografica che ha per tema immagini dal mondo di luoghi teatro di guerre e catastrofi. Il titolo della mostra usa l'assonanza tra i vocaboli tedeschi: Wunde (Wunden è il plurale), ferita e Wunder, meraviglia, per enfatizzarne il significato.
Organizzatori dell'evento Andrea Holzherr, nata a Tubinga che vive e lavora a Parigi, in collaborazione con il Dr. Ulrich Bausch direttore della Volkshochschule di Reutlingen. L 'allestimento della mostra negli spazi della Biblioteca è a cura del Dr. Thomas Becker direttore artistico della Volkshochschule di Reutlingen.

Unabhängig wollten sie sein, nur der Wahrheit verpflichtet: 1947 gründeten Robert Capa, George Rodger, David Seymour und Henri Cartier-Bresson die Agentur MAGNUM PHOTOS. Bis heute steht dieser Name für das Streben, die Wirklichkeit mit der Kamera zu erfassen und zu verstehen. Die Agentur hat den modernen, unabhängigen Fotojournalismus begründet. Im Zentrum ihrer Arbeit steht bis heute die Berichterstattung über schwere Konflikte.

Ob in Vietnam, Ruanda oder Irak, ob in Beirut, Sarajewo oder Kairo: Magnum-Fotografen waren und sind Augenzeugen der Umbrüche, der Wunden der Welt, wie Henri Cartier-Bresson es ausdrückte. Viele Fotos der Agentur haben sich ins kollektive Gedächtnis der Menschheit eingegraben.

Jetzt gewährt MAGNUM PHOTOS zum ersten Mal einen Blick hinter die Kulissen: Die Wanderausstellung Wunden der Welt zeigt 53 der wichtigsten MAGNUM-Arbeiten aus sechs Jahrzehnten Kriegs- und Krisenfotografie. Begleitende Texte erläutern den Hintergrund der Bilder: Wo und wie sind sie entstanden? Was macht sie so besonders? Welchen Weg haben sie in der Öffentlichkeit genommen? Absolventen der Zeitenspiegel-Reportageschule Günter Dahl haben die Geschichten hinter den Bildern recherchiert und aufgeschrieben.



«I boschi sono i primi e i più veloci a leccarsi le ferite. Certo, qua e là tra le querce si trova qualche cannone inoperoso, con il tubo spezzato che pieno di vergogna e di rabbia guarda fisso il terreno. Gli involucri di piccole auto bruciate ai piedi dei pendii sembrano enormi barattoli di conserve, come se degli indisciplinati giganti campeggiatori avessero sostato in questi boschi che erano i più pretenziosamente ordinati del mondo. Tuttavia la guerra è passata con riguardo tra gli alberi e i piccoli paesi, che hanno vissuto bombardamenti notturni delle grandi città semplicemente come rosse aurore boreali, con il suolo che tremava e porte e finestre che sbattevano. Qualche singola casa è stata colpita per errore e lì si concentra tutta la tragedia del paese. In un piccolo comune sul Weser è stata la casa di un dentista a essere colpita una mattina di primavera durante le visite, e tutti, il medico, l’infermiera e i trenta pazienti, sono rimasti uccisi. Fuori, nel giardino, un uomo camminava avanti e indietro in attesa che estraessero un dente alla figlia, e nella sala d’aspetto c’erano anche la moglie e la madre dell’uomo, che avevano accompagnato la ragazzina per farle coraggio. L’uomo si è salvato per miracolo ma ha perso l’intera famiglia e ora va in giro da un paio d’anni per il paese come una lapide ambulante in memoria della seconda guerra mondiale – quella in memoria della prima si trova in un boschetto tra la sponda del Weser e la prima casa, ed è tuttora l’orgoglio del paese».

Stig Dagerman, Autunno tedesco. Viaggio tra le rovine del Reich millenario, a cura di Fulvio Ferrari, Lindau, 2007

Titolo originale: Tysk Höst!






Related links:

Offizielle Webseite/ Sito ufficiale - Wunden der Welt

Robert Musil, Narra un soldato/ Ein Soldat erzählt, a cura  di Claudia Ciardi, Via del Vento edizioni, 2012

Appunti sulla teoria della distruzione di Claudia Ciardi - Helios Magazine

In questo blog:
Once there was a war - C'era una volta una guerra, John Steinbeck
«Un libro passato forse senza troppo clamore nelle librerie italiane ma su cui vale la pena riaccendere l'attenzione dei lettori. Una cronaca in presa diretta della seconda guerra mondiale che costituisce una testimonianza unica per la ricchezza di fatti e ritratti raccolti al fronte e per l’efficace semplicità con cui l'autore ce li presenta.
La grande metafora dello spazio-tempo fiabesco evocata da Steinbeck potrebbe risultare in un primo momento stridente, dato che siamo in presenza di un dramma collettivo in cui hanno agito figure concrete, fatalmente racchiuse in una precisa porzione di storia».

Los desastres de la guerra
«A compendio delle riflessioni che caratterizzano il centenario della prima guerra mondiale, riproponiamo la recensione che abbiamo dedicato alle acqueforti di Francisco Goya, raccolte sotto il titolo di Los desastres de la guerra, pubblicate in volume da Abscodita nel 2011».

August Sander - Antlitz der Zeit
«A partire dalla metà dell’Ottocento la fotografia acquista un ruolo sempre più importante, aiutando lo studio dell’uomo e delle sue abitudini. L’impiego di questo mezzo infatti, quasi per naturale predisposizione, si accompagna agli sviluppi della nascente antropologia, di cui le Società francese e tedesca erano allora le più autorevoli esponenti, dettando non a caso il metodo per la realizzazione del ritratto scientifico. All’inizio del XX secolo si assiste a un interessante mutamento della figura del fotografo antropologico che va svincolandosi dal suo compito di documentarista e inizia a coltivare in maniera autonoma alcuni aspetti più creativi insiti nel meccanismo di riproduzione delle immagini».


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