30 gennaio 2017

Silence





Per il suo venticinquesimo film Martin Scorsese ha scelto di cimentarsi in un argomento complesso, che da tempo aveva in progetto di narrare. Le prime tracce di sceneggiatura in relazione a questo lavoro risalgono infatti agli anni Novanta, tentativo di sviscerare per il grande schermo i temi dibattuti nell’omonimo romanzo di Shūsaku Endō, a detta del regista lettura folgorante in grado di orientare il suo percorso.
Opera di largo respiro, dove l’ambientazione storica si esalta tra rigore filologico e minimalismo descrittivo, a settantacinque anni Scorsese si è imbarcato in un’impresa tutt’altro che semplice, dimostrando di poter profondere ancora invidiabili energie nella realizzazione della propria arte. 
Nel 1611, in Giappone, viene approvato un editto di messa al bando della religione cristiana. A quella data i fedeli nel sol levante erano circa trecentomila. Il nuovo corso avvia una stagione di terrore, persecuzioni, torture. I feudatari delle diverse province vestono i panni di implacabili inquisitori, occupati a sradicare la “mala pianta” della religione occidentale. Quello che in prima battuta appare come lo scontro tra due modi d’intendere il divino, cela in realtà un conflitto innescato dal colonialismo, di cui l’evangelizzazione esprime l’opera più capillare, in quanto indirizzata alle coscienze. La partita riguarda la necessità per una cultura di preservarsi dalla penetrazione di elementi estranei, seminati allo scopo di assimilarla e renderla più duttile nei confronti dei conquistatori. Si tratta del resto di un tema caldo, che ha accompagnato la storia giapponese fino in tempi più recenti, quando il lungo dibattito tra chiusura e apertura ha poi sancito l’incontro. E anche in questo caso non senza frizioni né idiosincrasie con il retaggio tradizionale.
Il Giappone inoltre, ai tempi in cui si svolge il racconto cinematografico, godeva già di un proprio sistema religioso consolidato che era cornice al potere, il buddhismo di matrice confuciana adattato alle strutture imperiali dell’arcipelago. Non solo, ma aveva appena archiviato la guerra, inaugurando il prospero e longevo potere dello shogunato attraverso i Tokugawa, la dinastia fondatrice del rinnovato ordinamento. Periodo di fioritura delle arti e di una certa licenziosità nei costumi che, è chiaro, cozzava con la sobria predicazione cattolica.
L’opera di Scorsese, dunque, offre diversi livelli di lettura. Da un lato il ragionamento su dio, riflesso di una ricerca interiore mai conclusa e metafora della condizione umana, dall’altro il nodo politico che si stringe attorno alla partita spirituale, orientandola e traendone sostanza per il proprio consolidamento nella società. È un lavoro d’intarsio tra l’uomo e le principali sovrastrutture che danno forma alla sua vicenda storica. E nell’ambito di tale dialettica affiora anche un’altra discussione non minoritaria e che anzi spinge il soggetto verso i suoi ultimi, affatto definitivi, sviluppi. Per quanto qui destinata a non essere composta in via pacifica, emerge l’esortazione a conoscere l’altro, così da meglio comprendere se stessi; solo in questo modo è infatti immaginabile una convergenza di vedute, quantomeno si rinuncerà all’affermazione violenta ed esclusivista di un pensiero a discapito di quello che gli si contrappone.   
Costretti all’abiura, ai missionari è concessa la possibilità di vivere secondo l’uso giapponese, allo scopo di compiere un doppio atto di umiltà verso se stessi e il paese che intendevano convertire. I preti apostati fungono per gli inquisitori giapponesi da simboli di sconfitta della presunzione occidentale e, dall’altra parte, quali testimoni dell’affermazione di un’impermeabilità orientale agli assalti dottrinali del vecchio continente.
Il film, pur mettendo al centro del proprio narrare la cosiddetta verità rivelata, non offre alcuna verità assoluta. Ciò può irritare forse chi concepisce la religione, e in generale il pensiero umano, come qualcosa di statico, in cui gli esiti valgono più del ragionare intorno alle questioni. Personalmente trovo la scelta di Scorsese, sostenuta da una ritmica lenta e sobria del montaggio, dove perfino la colonna sonora è assente e a parlare è solo lo scenario di natura, molto appropriata. Si aggiunga il rigore nella ricostruzione di luoghi e personaggi, a completamento di un quadro che privilegia lo scandaglio dei diversi punti di vista chiamati in causa, più ancora di una loro sistemazione utile ma inevitabilmente semplificata. Considerando, ripeto, che il maestro italoamericano ha affrontato una materia tanto ampia in un’età che supera di molto la maturità artistica, il risultato è di spessore e aggiunge un altro importante tassello alla storia del cinema.


(Di Claudia Ciardi)



Regia: Martin Scorsese
Interpreti: Adam Driver, Andrew Garfield, Liam Neeson, Ciarán Hinds, Issey Ogata, Tadanobu Asano, Shinya Tsukamoto, Ryô Kase
Distribuzione: 01
Durata: 161’
Origine: USA, 2016



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