Per il suo venticinquesimo film Martin Scorsese
ha scelto di cimentarsi in un argomento complesso, che da tempo aveva in
progetto di narrare. Le prime tracce di sceneggiatura in relazione a questo
lavoro risalgono infatti agli anni Novanta, tentativo di sviscerare per il
grande schermo i temi dibattuti nell’omonimo romanzo di Shūsaku Endō, a detta
del regista lettura folgorante in grado di orientare il suo percorso.
Opera di largo respiro, dove l’ambientazione
storica si esalta tra rigore filologico e minimalismo descrittivo, a
settantacinque anni Scorsese si è imbarcato in un’impresa tutt’altro che
semplice, dimostrando di poter profondere ancora invidiabili energie nella
realizzazione della propria arte.
Nel 1611, in Giappone, viene approvato un
editto di messa al bando della religione cristiana. A quella data i fedeli nel sol levante erano circa trecentomila. Il nuovo corso avvia una stagione di
terrore, persecuzioni, torture. I feudatari delle diverse province vestono i
panni di implacabili inquisitori, occupati a sradicare la “mala pianta” della
religione occidentale. Quello che in prima battuta appare come lo scontro tra
due modi d’intendere il divino, cela in realtà un conflitto innescato dal
colonialismo, di cui l’evangelizzazione esprime l’opera più capillare, in
quanto indirizzata alle coscienze. La partita riguarda la necessità per una
cultura di preservarsi dalla penetrazione di elementi estranei, seminati allo
scopo di assimilarla e renderla più duttile nei confronti dei conquistatori. Si
tratta del resto di un tema caldo, che ha accompagnato la storia giapponese
fino in tempi più recenti, quando il lungo dibattito tra chiusura e apertura ha
poi sancito l’incontro. E anche in questo caso non senza frizioni né
idiosincrasie con il retaggio tradizionale.
Il Giappone inoltre, ai tempi in cui si svolge
il racconto cinematografico, godeva già di un proprio sistema religioso
consolidato che era cornice al potere, il buddhismo di matrice confuciana
adattato alle strutture imperiali dell’arcipelago. Non solo, ma aveva appena
archiviato la guerra, inaugurando il prospero e longevo potere dello
shogunato attraverso i Tokugawa, la dinastia fondatrice del rinnovato
ordinamento. Periodo di fioritura delle arti e di una certa licenziosità nei
costumi che, è chiaro, cozzava con la sobria predicazione cattolica.
L’opera di Scorsese, dunque, offre diversi
livelli di lettura. Da un lato il ragionamento su dio, riflesso di una ricerca
interiore mai conclusa e metafora della condizione umana, dall’altro il nodo
politico che si stringe attorno alla partita spirituale, orientandola e
traendone sostanza per il proprio consolidamento nella società. È un lavoro
d’intarsio tra l’uomo e le principali sovrastrutture che danno forma alla sua
vicenda storica. E nell’ambito di tale dialettica affiora anche un’altra
discussione non minoritaria e che anzi spinge il soggetto verso i suoi ultimi, affatto definitivi, sviluppi. Per quanto qui destinata a non
essere composta in via pacifica, emerge l’esortazione a conoscere l’altro, così da meglio comprendere se stessi; solo in questo modo è
infatti immaginabile una convergenza di vedute, quantomeno si rinuncerà
all’affermazione violenta ed esclusivista di un pensiero a discapito di quello
che gli si contrappone.
Costretti all’abiura, ai missionari è concessa
la possibilità di vivere secondo l’uso giapponese, allo scopo di compiere un
doppio atto di umiltà verso se stessi e il paese che intendevano convertire. I
preti apostati fungono per gli inquisitori giapponesi da simboli di sconfitta
della presunzione occidentale e, dall’altra parte, quali testimoni dell’affermazione di
un’impermeabilità orientale agli assalti dottrinali del vecchio continente.
Il film, pur mettendo al centro del proprio
narrare la cosiddetta verità rivelata, non offre alcuna verità assoluta. Ciò
può irritare forse chi concepisce la religione, e in generale il pensiero
umano, come qualcosa di statico, in cui gli esiti valgono più del ragionare
intorno alle questioni. Personalmente trovo la scelta di Scorsese, sostenuta da
una ritmica lenta e sobria del montaggio, dove perfino la colonna sonora è
assente e a parlare è solo lo scenario di natura, molto appropriata. Si
aggiunga il rigore nella ricostruzione di luoghi e personaggi, a completamento
di un quadro che privilegia lo scandaglio dei diversi punti di vista chiamati
in causa, più ancora di una loro sistemazione utile ma inevitabilmente
semplificata. Considerando, ripeto, che il maestro italoamericano ha affrontato
una materia tanto ampia in un’età che supera di molto la maturità artistica, il
risultato è di spessore e aggiunge un altro importante tassello alla storia del
cinema.
(Di Claudia Ciardi)
Regia: Martin Scorsese
Interpreti: Adam Driver, Andrew Garfield, Liam
Neeson, Ciarán Hinds, Issey Ogata, Tadanobu Asano, Shinya Tsukamoto, Ryô Kase
Distribuzione: 01
Durata: 161’
Origine: USA, 2016
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