Hokusai - Asakusa tempio Hongan-ji nella capitale orientale
(Trentasei vedute del Monte Fuji)
Sono
tuttora in corso in Lombardia, rispettivamente a Brescia e a Milano, due mostre
fondamentali, l’una celebrativa del centenario del dadaismo, che potremmo
definire una sorta di anno zero delle avanguardie, l’altra dei
centocinquant’anni dalla firma del primo trattato di amicizia e commercio tra
Giappone e Italia. Sebbene si tratti di esposizioni assai diverse fra loro,
hanno in comune la rilevanza tematica e l’ampiezza dei rispettivi allestimenti.
Le ho visitate entrambe lo scorso dicembre, e il mio consiglio a chi decida di fare
altrettanto è ritagliarsi almeno un paio di mezze giornate, in quanto per
apprezzare al meglio la densità dei materiali proposti è d’obbligo non andare
troppo in fretta.
Vorrei
di seguito raccogliere qualche breve impressione a partire dall’evento che
chiuderà i battenti per primo, alla fine di questo mese, ossia la mostra di
Palazzo Reale dedicata ai maestri giapponesi dell’incisione. Quando un paio
d’anni fa, forse meno, mi capitò per le mani il catalogo a cura di Gian Carlo
Calza sulla grande rassegna dedicata nel 2004, sempre a Milano, al ‘mondo
fluttuante’, sperai che si tenesse al più presto in Italia qualcosa di simile,
non avendo potuto partecipare in quella precedente occasione. L’interesse per Cina e Giappone del
resto l’ho a lungo coltivato in me, già in parallelo con l’inizio degli studi
sul mondo antico. Una curiosità che definirei a tutto campo e che riserva alla
produzione artistica un posto di prim’ordine.
Questa
mostra cade, lo si è detto, in un anno molto significativo sia per il nostro
paese che per il Giappone. Vi si ricorda infatti l’approdo, il 27 maggio 1866,
della nave italiana “Magenta” nel porto di Yokohama, avvenimento da cui scaturì
nelle settimane successive – per l’esattezza in agosto – la firma di un
trattato che ufficializzò quell’avventura straordinaria e complessa di contatti
e scambi culturali avviata tra le due nazioni fin dal XIII secolo.
La
presente rassegna, curata da Rossella Menegazzo già collaboratrice del
professor Calza, tocca un vertice nell’ambito delle retrospettive dedicate all’ukiyoe (lett: immagini del mondo
fluttuante) su scala mondiale. Tra quelle che recentemente hanno riscosso il
maggior successo di pubblico si pensi alle mostre monografiche su Hokusai,
tenutesi a Berlino nel 2011 e a Parigi nel 2014. Milano mette in campo uno
spazio imponente dove alternano i loro capolavori i tre massimi interpreti
della stampa policroma, operanti nella seconda metà della cosiddetta epoca Edo (1615-1868),
un periodo che vide susseguirsi in Giappone duecentocinquant’anni di pace e la
graduale espansione di Edo (odierna Tokyo), nuova capitale politica e
amministrativa.
Non
è casuale che in condizioni storiche tanto favorevoli anche le arti conoscessero
una stagione di raffinatezza e profondità senza eguali. La sensazione è che
l’intera vita giapponese negli anni in cui s’instaurò il potere dello shogunato,
fosse in ogni suo più effimero aspetto e perfino nei più dimessi riti
quotidiani improntata all’arte. Aristocratici in visita a Edo, provenienti
dalle più remote province del paese, mercanti, artigiani, poeti, pittori,
solevano incontrarsi nelle sale da tè della nuova capitale e da tali
frequentazioni scaturivano scambi di idee e committenze importanti. Un mondo
vivace che nella rinnovata temperie politica e culturale produsse mode,
spettacoli e, per l’appunto, gusti diversi in materia artistica. Col periodo
Edo coincide infatti l’epoca d’oro dello joruri
(il teatro dei burattini), del kabuki
(il teatro popolare), della poesia in forma di haiku e anche dell’incisione.
Sulla tecnica a stampa sbocciata in terra giapponese a partire dagli anni Settanta del Settecento
è necessario spendere qualche parola. I suoi praticanti erano pittori di
professione, dediti pure all’esercizio pittorico tout court, ma assai più inclini, col l’affermarsi di un’editoria
di consumo legata alla diffusione di album stampati, all’opera grafica. Contrariamente
a quanto avviene in occidente i giapponesi lavoravano in equipe, dividendo tra varie maestranze le diverse fasi in cui la
stampa doveva essere realizzata. Compito dell’artista era la concezione
dell’opera, il suo disegno e la scelta dei colori – di solito mostrava all’editore, che avrebbe
poi investito nel progetto, un campione dei suoi soggetti, dando con ciò un
saggio del proprio talento. Così fece ad esempio Hiroshige al ritorno dal suo
viaggio lungo il Tokaido (lett: la
strada del mare orientale); dopo aver sottoposto all’attenzione di un editore gli
appunti grafici presi per via, ottenne la committenza che lo consacrò come
l’artista della serie Tra le cinquantatré
stazioni di posta del Tokaido (opera presente in mostra). L’intaglio delle
matrici lignee e l’opera di stampa spettavano invece a maestranze altamente
specializzate, dipendenti dall’editore. Quanto alla figura dell’intagliatore di
solito si trattava di uomini di fiducia dell’artista. Quando un incisore si era
ormai affermato, godendo di una certa fama, poteva indicare coloro i quali
avrebbe voluto al suo fianco nello sviluppo del lavoro. Un chiarimento affatto
accessorio, perché solo in tal modo si spiega la mole di fogli a stampa
prodotti da Hokusai – oltre quattromila, senza contare i dipinti e i suoi più
di trecento libri illustrati – e da Hiroshige – circa settemila opere.
Infine
una notazione, anche questa tutt’altro che secondaria, sul colore. Nel primo
periodo della loro realizzazione le xilografie venivano realizzate col solo
inchiostro nero, in seguito vennero aggiunti a mano il rosso vermiglio e il
verde, mentre dal 1740 iniziarono a essere utilizzate più matrici per il
colore. Il blu di Prussia si diffuse in Giappone dagli anni ’30 dell’Ottocento
e anche in questo caso è ben ravvisabile come nelle opere grafiche vi si
ricorra in maniera capillare sostituendolo ai pigmenti, dai toni assai meno
accesi, di cui ci si serviva prima della sua introduzione.
La
rassegna milanese mette in risalto il momento aureo dell’ukiyoe policromo attraverso i suoi disegnatori più virtuosi. Le Trentasei vedute del Monte Fuji di
Hokusai, più anziano di trentasette anni rispetto al collega Hiroshige,
duellano con le sue altrettanto raffinate vedute del Tokaido, ciclo cui attese
dal 1833 al ’34. Entrambi, nello stesso torno di anni, si cimentano col
paesaggismo delle zone più remote del Giappone, dialogando in modi assai
differenti con gli esseri umani immersi nella natura che intendono fotografare.
L’uomo è un medium che si interpone al paesaggio, sottolineando la ciclica
eternità di quest’ultimo in contrasto con l’estrema caducità dell’altro,
caratteristica che viene così enfatizzata traendone un effetto di rarefazione e
malinconia ben avvertibile dall’osservatore. Tuttavia per Hokusai il fulcro
della rappresentazione è proprio costituito dall’umana limitatezza, dal suo
drammatico avvicendarsi nel mondo in un equilibrio precario con una natura
sovrastante – il Fuji infatti appare ovunque come un silenzioso indecifrabile
guardiano che distaccato osserva il perenne agitarsi delle generazioni, un
nulla a confronto del suo essere immanente.
Hiroshige,
invece, predilige celebrare l’imponenza delle natura di per se stessa,
esaltandone il mistero, secondo l’arcaica visione dello shinto, la religione autoctona giapponese; in questo quadro
l’essere umano non è il centro narrativo, ma solo un’aggiunta. Ciò non
toglie che nelle sue rappresentazioni del Tokaido vi siano scene di vita
quotidiana estremamente toccanti e di raffinatezza tale da tener testa a
Hokusai.
Infine
Utamaro, il maestro della bellezza, della grazia e del conturbante. Frequentatore
dei quartieri di piacere, per cui avrebbe nutrito fin da giovanissimo una
precoce fascinazione – pare infatti che da bambino abitasse davanti ai cancelli
del famoso Yoshiwara, zona a luci rosse di Edo – il malizioso erotismo dei suoi
ritratti femminili si staglia come punta massima raggiunta dal genere.
La sensazione per chi si pone di fronte alle opere dei tre artisti è di essere immerso in un
mondo fiabesco, sognato più che reale. Con questa ricca e curatissima
retrospettiva sul Giappone, resa possibile da una pluriennale e proficua
collaborazione con l’Ambasciata giapponese a Roma e con l’Honolulu Museum of
Art, una delle più importanti collezioni di arte nipponica al mondo, Milano si
conferma, dunque, un polo attrattivo di grande livello capace di scrivere pagine
importanti nel panorama culturale nazionale.
(Di
Claudia Ciardi)
Hokusai - Un gruppo di alpinisti
(Trentasei vedute del monte Fuji)
Related links:
Hokusai, Hiroshige, Utamaro - Il mondo fluttuante, a cura di Rossella Menegazzo, Skira, 2016-2017
Max Klinger, maestro dell’incisione tedesca, nelle edizioni Via del Vento.
A
cura e traduzione di Claudia Ciardi
pag. 40, ISBN 978-88-6226-091-6
Euro
4,00
Nessun commento:
Posta un commento