Milano rilancia il grande evento organizzato al Belvedere di Vienna nel 2012 con una rassegna di notevole interesse che riaccende l’attenzione sulla pittura di Gustav Klimt ma che ha soprattutto il merito di restituire una visione d’insieme dello spazio entro il quale operarono gli artisti della Secessione.
Giunta quasi al termine, la mostra milanese offre ottimi spunti per approfondire il complesso rapporto tra politica e cultura nell’impero asburgico alla svolta del XX secolo. Ampio risalto è dato, non a caso, agli esordi della carriera di Klimt, dai dissesti economici attraversati dalla sua affollata famiglia a seguito della crisi finanziaria del 1873, agli anni di apprendistato presso la Kunstgewerbschule che porteranno alla fondazione della Compagnia degli Artisti (1881). Questi inizi sono preziosi per capire in che modo si sia sviluppato lo stile klimtiano e soprattutto quali stimoli avesse ricevuto dall’ambiente che lo circondava. La scuola di arti e mestieri ci viene restituita come un luogo in cui era possibile imparare il disegno accademico e diverse tecniche di lavorazione dei materiali in maniera approfondita. Un bagaglio notevole e completo che testimonia alla lettera l’immersione nell’arte di un esteso gruppo di nuove leve del panorama creativo austriaco. Klimt s’impose all’attenzione del pubblico per una tela sul Burgtheater di Vienna, realizzata nel 1888 e nella quale sono riprodotti fedelmente i volti di ben centotrenta suoi assidui frequentatori. Ciò gli valse anche la definizione di virtuoso del ritratto. Grande indagatore della femminilità, a fronte di una produzione pittorica non così estesa – in tutto duecento tele – si contano migliaia di disegni dove Klimt registra le pose languide e disinibite delle modelle che vivacchiavano liberamente nel suo studio. Come Rodin, anche lui disegnava il contorno dei corpi senza distogliere gli occhi dai soggetti, attribuendovi principalmente valore di studio e di esercizio distensivo.
Il sodalizio col fratello Ernst (destinato a una precoce scomparsa a soli ventinove anni nel 1892) e il compagno di studi Franz Matsch fu alla base della Künstlercompagnie, attiva per quasi dodici anni, al centro di committenze importanti che approdarono alla decorazione di edifici pubblici. L’impero affidò il suo messaggio sovranazionale alla costruzione e al rinnovamento dei teatri nelle sue province, e il gruppo ottenne incarichi a Bucarest, Karlsbad, Fiume, Reichenberg. In seguito alla morte di Ernst, la tutela della giovanissima nipote, avuta con Helene Flöge, passò a Gustav. Venne dunque profilandosi una crisi per l’artista, che oltre alla perdita del fratello, appena pochi mesi prima aveva dovuto fare i conti anche con quella del padre. Col 1893 l’esperienza della Compagnia fu archiviata, proprio mentre era in discussione l’incarico per i cosiddetti “dipinti della facoltà”; la Commissione artistica del Ministero per il culto e l’istruzione, in una seduta del 15 gennaio 1892, aveva ventilato la possibilità di affidare la decorazione del soffitto dell’Aula Magna dell’Università a Matsch e ai fratelli Klimt.
Nel frattempo i contatti con Emilie Flöge, sorella di Helene, sporadici in un primo tempo divennero sempre più assidui. Gustav conosceva Emilie già nel 1891, come attesta un suo pastello in cui la ritrae diciottenne, fatto montare in una cornice dorata dipinta con fiori di ciliegio. È probabile che i Klimt avessero invitato contemporaneamente le due sorelle a posare per loro. L’affascinante Emilie fu la donna della vita di Klimt. I due coltivarono un rapporto estremamente libero, senza contrarre matrimonio, cosa che per i tempi non mancò di suscitare un certo scalpore. Creativa e indipendente la Flöge aprì nel 1904 a Vienna un atelier di alta moda in linea con le tendenze artistiche più innovative.
Andato in porto l’incarico per affrescare il soffitto dell’Aula Magna all’Università di Vienna sulla Ringstrasse (1894), Klimt iniziò a lavorare al ciclo pittorico che avrebbe dovuto rappresentare le quattro facoltà classiche delle università europee: filosofia, medicina, giurisprudenza, a lui affidate, e teologia assegnata a Matsch. Nel corso dell’elaborazione di questi pannelli allegorici Klimt maturò il distacco dallo storicismo per approdare a uno stile personale. Tuttavia, la committenza si rivelò una vera e propria grana con pesanti ricadute sulla carriera dell’artista. Anzi, non è esagerato dire che non si riprese mai del tutto dalle polemiche indirizzate al suo lavoro. Già al momento della prima presentazione, alla settima mostra della Secessione (1900), la Filsofia venne pesantemente criticata, soprattutto dai professori. La cosa si ripeté anche per la Medicina, trovando eco negli organi di stampa. Si è supposto che i contrasti sorti intorno ai due dipinti abbiano spinto Klimt a dipingere la Giurisprudenza in modo ancora più aggressivo. Oggetto del contendere fu non solo il ruolo delle dottrine universitarie nella società, ma anche il senso e lo scopo della sovvenzione dell’arte da parte dello Stato e dell’influenza che ciò poteva avere sulla libertà artistica. Si incrinò così pure il rapporto tra Klimt e Matsch. Quest’ultimo infatti dichiarò in una seduta della Commissione artistica dell’Università (marzo 1905) che non riteneva conveniente accostare i suoi quadri a quelli del collega. Non sorprende dunque che Klimt si ritirò dall’incarico il mese successivo. I toni esacerbati, la scarsa solidarietà ricevuta – uno dei pochi difensori fu Hermann Bahr – l’amarezza per una questione che andò calpestando senza riguardo alcuno l’uomo e l’artista, gli sottrassero molta energia anche per gli anni a venire. Per farsi un’idea dell’accaduto, è utile leggere i testi raccolti da Bahr a testimonianza dell’acredine, pretestuosa e dissennata, che rappresentanti delle istituzioni e più che discutibili esponenti del mondo culturale austriaco, riversarono su Klimt (si veda a tale proposito Polemiche su Klimt, Silvy edizioni, 2012).
La vicenda non poteva avere epilogo peggiore, dal momento che le tre tele destinate all’Università sono andate distrutte nell’incendio del castello di Immendorf (1945), dove erano custodite, durante la seconda guerra mondiale.
Di estremo interesse, all’interno dell’allestimento milanese, è lo spazio dedicato alla ricostruzione del Fregio di Beethoven (1902) cui non furono lesinati attacchi: entrato nel mirino del presunto decoro accademico, la nudità e la rappresentazione allegorica dei mostri rinfocolarono la polemica. Tra le diverse dichiarazioni dell’intellighenzia viennese rilasciate nell’aprile 1902 si legge: «Il realismo con cui allegorizza la voluttà e la lussuria è masturbazione artistica nel più sconsiderato senso del termine e sarebbe stato di certo più adatto per il Panoptikum di Präuscher [Museo delle cere situato al Prater] che come forma di consacrazione per il tempio di Beethoven». Inutile dirlo, con buona pace di questi velenosissimi dottori, ma il fregio è un’opera in cui la lotta vittoriosa del musicista, che non soccombe di fronte alle forze ostili della vita, follia, lussuria, malattia, è espressa con impareggiabile chiarezza iconografica e maturità stilistica. Impossibile non pensare che Klimt, al centro della bufera, non vi abbia riversato anche molto di ciò che stava vivendo sulla sua pelle.
Questo futile attacco frontale al pittore, lo si è detto, ne inaridì la vena creativa, assumendo il ruolo di vero e proprio spartiacque, che molto condizionò gli sviluppi successivi della sua arte. Nel 1906 si dedicò alla preparazione della Kunstschau che si tenne nel 1908-1909, nella quale trovarono spazio i primi fremiti espressionisti nelle opere dei giovani Schiele e Kokoschka. Tra le opere esposte, la Madre con due bambini (1909-’10), è indicativa di una nuova fase in cui Klimt sembra ormai aver chiuso col proprio stile decorativo, prediligendo toni scuri e orientandosi a una figurazione sobria e essenziale, più vicina all’espressionismo.
Nell’analizzare i principali snodi dell’attività klimtiana, la mostra milanese si inserisce a pieno titolo tra gli eventi che meglio ne raccontano l’ascesa all’interno di una società, quella asburgica di inizio Novecento, in preda a non poche contraddizioni e crisi identitarie.
Gli organizzatori rinnovano l’appuntamento per il 2015 sulla Ringstrasse a Vienna.
(Di Claudia Ciardi)
Gustav Klimt al cannocchiale sull’Attersee, 1904 - Fotografia alla gelatina d'argento, montata su cartone
Catalogo:
Gustav Klimt, Alle origini di un mito, Palazzo Reale, Milano, marzo-luglio 2014
In questo blog:
Gustav Klimt - Secession
Bildnis der Mäda Primavesi, 1912
Ritratto di Mäda Primavesi
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