16 luglio 2020

Vedere il Barocco a Torino


Quest’estate l’anima di Torino è indiscutibilmente barocca. Omaggio a uno stile dell’arte e dell’architettura che vincola in profondità la sua storia a quella del territorio, due mostre ne ripercorrono sviluppi e interpretazioni.
La Venaria Reale con l’iniziativa Sfida al Barocco ospita oltre 200 capolavori nei locali della Citroniera Juvarriana, mentre Camera, il Centro italiano per la fotografia in Via delle Rosine, spazio di riferimento per l’attuale discussione e messa a fuoco dei linguaggi per immagini, fino al 30 agosto, con l’allestimento Vedere il Barocco a cura di Barbara Bergaglio e Pierangelo Cavanna, dà vita a una galleria di ritratti salienti delle architetture del capoluogo interpretate da grandi autori. Si tratta di un cantiere aperto – non a caso la sezione titola Lavori in corso –  nel  futuro intento di spostarsi dall’isola torinese agli arcipelaghi periferici, toccando le eccellenze nazionali.  
I fotografi esposti, scelti a copertura di un lungo arco temporale che attraversa alla lettera il secolo, sono tutti maestri del bianco e nero, personalità sfaccettate ognuna chiaramente definita: Paolo Beccaria, Gianni Berengo Gardin, Giancarlo Dall’Armi, Pino Dell’Aquila, Giuseppe Ferrazzino, Giorgio Jano, Mimmo Jodice, Aldo Moisio, Riccardo Moncalvo, Ernani Orcorte, Augusto Pedrini, Giustino Rampazzi, Daniele Regis, Roberto Schezen. «Fotografie che vivono di una barocca moltiplicazione delle fughe, degli scorci, delle deformazioni proiettive conseguenti per trattenere e trasmettere l’eccitazione indotta nell’occhio dell’osservatore», spiegano i curatori. Il dialogo con le opere di Guarini, Juvarra e Vittone stimola narrazioni inedite, lumeggiando aspetti dell’architettura che non avremmo colto senza la capacità intuitiva del mezzo fotografico. Perché uno scatto non è qualcosa di statico, non è semplicemente la resa meccanica di ciò che abbiamo davanti, ma può farsi visione, penetrando l’oggetto, quasi provocandone uno sconfinamento che approda a inusitati punti di vista e ulteriori metamorfosi.  
In questa chiave tra gli autori contemporanei qui proposti, i lavori di Daniele Regis, docente da anni impegnato sul versante dell’architettura sacra e della storia del territorio, si offrono come uno sguardo che si fa esso stesso barocco, raggiungendo un’intensità interpretativa fra le più acute.
Regis si è cimentato nel Barocco come soggetto fotografico fin dal 1990, occasione la ristampa del volume di Allemandi opera di Mario Passanti, Architettura in Piemonte da Emanuele Filiberto all’Unità d’Italia (prima edizione, 1945). Le sue trentadue tavole che accompagnano l’indagine storica, conferendole una plasticità visiva inconsueta, sono state definite dallo stesso Allemandi «tra le più belle rappresentazioni mai realizzate dei più significativi edifici storici piemontesi». Nell’alveo della grande tradizione di studi barocchi tracciato da Andreina Griseri, Nino Carboneri, Richard Pommer e, sul versante dell’arte, della straordinaria eredità lasciata da una mostra nel 1963 di cui restano i preziosissimi scatti di Riccardo Mocalvo, come già fu nel 1937 quella curata da Vittorio Viale, allora direttore dei Musei Civici di Torino, Regis si è fatto carico di una sintesi raffinatissima dove si trovano sedimentati gli sguardi di tutte queste esperienze intellettuali. Tali mostre si distinsero peraltro come alcuni degli eventi di maggior caratura che si siano mai verificati in Piemonte attirando più di trecentomila visitatori.
A segnare il passo in questa materia, c’è anche un importante progetto cui Regis ha preso parte in tempi recenti, su Francesco Gallo e Antonio Vittone, selezionato per l’anno europeo del Patrimonio culturale 2018, Mons Regalis. Tra Regno Sabaudo e Provincia.
In tempi di sospensione della didattica, di massima incertezza nel mondo della scuola, nonché sulle modifiche sostanziali apportate dai cambiamenti finora ipotizzati, tornare con la mente a iniziative di studio partecipate, condivise, incentrate sul contatto coi patrimoni e la loro osservazione dal vivo, implica un grado di consapevolezza più profondo rispetto ai tempi normali. Avvicinare le opere del Barocco piemontese attraverso un workshop di fotografia, ha significato creare negli studenti un legame tangibile con la materia rappresentata, ha contribuito a far comprendere loro come arte e immagine d’arte possano ispirarsi e generarsi l’una dall’altra, in una reciproca osmosi. Senza questo confronto visivo a tutto campo, l’insegnamento si riduce a un arido nozionismo, per di più orfano di esercizio critico.
Il Barocco è, insieme agli itinerari neogotici, un elemento di punta del paesaggio culturale piemontese, tanto radicato nel profondo dell’identità regionale quanto collocato in una dimensione internazionale nell’ambito della ricerca; «un quadro affascinante per le straordinarie emergenze locali piemontesi di assoluto valore internazionale», dice Regis. Iniziative come quella riportata per la provincia di Cuneo hanno tra le altre cose il compito di valorizzare la varietà dei siti, creare sinergie a livello locale tra gli addetti ai lavori e far acquisire a quanti più fruitori possibili la necessità di una gestione strategica del patrimonio diffuso, peculiarità tutta italiana insieme a quella di vantare la più alta concentrazione di beni Unesco. Sul versante neogotico, Daniele Regis e Lorenzo Mamino ci hanno illustrato tali caratteri nella doppia cornice dei cosiddetti “Beni faro” e delle architetture orbitanti intorno alle rispettive zone d’influenza (Il CuNeo gotico, Sagep, 2016). Andando a ritroso, la campagna su Schellino a Dogliani – ma per similitudine di metodo si potrebbe anche far riferimento ai lavori di Michele Pellegrino sulle Langhe recentemente raccolti nel volume di Skira a commento del quale è intervenuto lo stesso Regis – rifletteva sulla fotografia come
σῆμα (sèma, “segno”) di un tutto, non come arte dell’insieme: «L’enigma critico della fotografia […] si disvela così in questi frammenti così densi di segni: tema centrale non è l’architettura quanto un contesto dell’architettura. L’architettura non è letta che per relazioni, per metafore, per metonimie nel trasferimento di termini dal concetto a cui propriamente si applicano ad altri che con esso hanno connessioni di tempo, di spazio, di causa». (In Daniele Regis, Giovanni Battista Schellino a Dogliani, Celid, 2006). Lì era una connessione col paesaggio, uno scambio di sguardi fortemente orientati dalla quinta scenica, ma questa attitudine all’intreccio semantico, alla fluidità, ai travasi di significato è parte integrante, direi un’essenza corporea, del dire attraverso la fotografia.  
Il Barocco piemontese è altrettanto organico a questa rappresentazione. «Grazie alla capacità di penetrazione nelle zone più remote di molti Stati, l’architettura barocca in Europa», scrive Henry Millon nella sua prefazione al Francesco  Gallo 1672/1750. Un architetto ingegnere tra Stato e Provincia di Vera Comoli e Laura Palmucci, «ha prodotto l’affascinante fenomeno di numerosi architetti di talento che ebbero poche occasioni o non costruirono affatto per le città capitali, ma svilupparono la loro attività nell’entroterra. Se costruire nella provincia fosse stata una scelta consapevole degli architetti, o piuttosto una necessità, può essere oggetto di discussione. In ogni caso, le sorprendenti gemme architettoniche che in Stati come il Piemonte o la Baviera si possono trovare sia nei centri della provincia, sia nelle campagne, vanno annoverate tra le più grandi ricchezze dell’architettura del XVIII secolo». (Tratto da Daniele Regis in Educare alla Bellezza, il Barocco in Piemonte e l’anno europeo del patrimonio culturale).
Non documentare soltanto dunque ma vedere. Il che presuppone un livello interpretativo, significa penetrare, dare forma con il proprio punto di vista, approdare alla sintesi, uscire dall’idea della fotografia come semplice e riduttivo racconto didascalico. Un atto che è in grado di produrre visioni alternative, che può movimentare la pietra o scolpirla dosando i chiaroscuri, che può tagliare gli spazi o dar loro profondità e che quindi ci può far considerare l’oggetto architettonico sotto una luce fino a quel momento inimmaginata.

(Di Claudia Ciardi)


 Fotografie:

 In copertina - San Lorenzo - Le due cupole (Daniele Regis ©)
 Sotto: SS. Sindone - Foto storica analogica (Daniele Regis ©)
           Baroque reflection – Scalone di Palazzo Madama (Daniele Regis ©)








Nota bibliografica:

Daniele Regis, Educare alla Bellezza, il Barocco in Piemonte e l’anno europeo del patrimonio culturale. Link nell’archivio Iris Polito: http://hdl.handle.net/11583/2787901, In: PERCORSI Mons Regalis tra Regno Sabaudo e Provincia Francesco Gallo, Bernardo Antonio Vittone i luoghi e le opere, 2018, pagine 8-12

Daniele Regis, Fotografare o saper vedere l’architettura: pedagogia e racconto. Link nell’archivio Iris Polito: http://hdl.handle.net/11583/2788137, In: PERCORSI Mons Regalis tra Regno Sabaudo e Provincia Francesco Gallo, Bernardo Antonio Vittone i luoghi e le opere, 2018, pagine 13-21

10 luglio 2020

#Iperico


A cadenza irregolare, si pubblica una selezione di post scelti per utilità divulgativa del messaggio, immagini e poesia, rimando a pagine di condivisione pubblica interessanti, con qualche autocitazione dal mio spazio. Un tema scelto di volta in volta seguendo l’orientamento di questo blog, in stretto dialogo con la rosa dei suoi interessi.
Si comincia, direi ritualmente, dall’iperico, una delle erbe di San Giovanni per eccellenza, incipit che è anche un richiamo voluto alle nostre “botaniche”, raccolte nella fortunata rubrica sul popolo delle piante tenuta a battesimo poche settimane fa. 

#Iperico

Il 24 giugno ricorre la tradizionale raccolta dei fiori di iperico per la produzione del suo olio rosso ad azione antiinfiammatoria e cicatrizzante. Noto soprattutto grazie alle proprietà antidepressive dei suoi estratti secchi concentrati, è una pianta erbacea perenne spontanea in molte aree dell’Europa e dell’America settentrionale. L’etimologia del suo nome latino deriva dal greco “hyper” = sopra ed “eikon” = immagine, in quanto era d’uso appenderlo sopra le immagini sacre per allontanare gli spiriti maligni dalle case (da qui il nome popolare di cacciadiavoli”).

(Di Claudia Ciardi)





















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