Quest’estate
l’anima di Torino è indiscutibilmente barocca. Omaggio a uno stile dell’arte e
dell’architettura che vincola in profondità la sua storia a quella del
territorio, due mostre ne ripercorrono sviluppi e interpretazioni.
La
Venaria Reale con l’iniziativa Sfida al Barocco ospita oltre 200
capolavori nei locali della Citroniera Juvarriana, mentre Camera, il Centro
italiano per la fotografia in Via delle Rosine, spazio di riferimento per
l’attuale discussione e messa a fuoco dei linguaggi per immagini, fino al 30
agosto, con l’allestimento Vedere il Barocco a cura di Barbara Bergaglio
e Pierangelo Cavanna, dà vita a una galleria di ritratti salienti delle
architetture del capoluogo interpretate da grandi autori. Si tratta di un cantiere
aperto – non a caso la sezione titola Lavori in corso – nel futuro intento di spostarsi dall’isola torinese
agli arcipelaghi periferici, toccando le eccellenze nazionali.
I
fotografi esposti, scelti a copertura di un lungo arco temporale che
attraversa alla lettera il secolo, sono tutti maestri del bianco e nero,
personalità sfaccettate ognuna chiaramente definita: Paolo Beccaria, Gianni
Berengo Gardin, Giancarlo Dall’Armi, Pino Dell’Aquila, Giuseppe Ferrazzino,
Giorgio Jano, Mimmo Jodice, Aldo Moisio, Riccardo Moncalvo, Ernani Orcorte,
Augusto Pedrini, Giustino Rampazzi, Daniele Regis, Roberto Schezen. «Fotografie
che vivono di una barocca moltiplicazione delle fughe, degli scorci, delle
deformazioni proiettive conseguenti per trattenere e trasmettere l’eccitazione
indotta nell’occhio dell’osservatore», spiegano i curatori. Il dialogo con le opere
di Guarini, Juvarra e Vittone stimola narrazioni inedite, lumeggiando aspetti
dell’architettura che non avremmo colto senza la capacità intuitiva del mezzo fotografico.
Perché uno scatto non è qualcosa di statico, non è semplicemente la resa
meccanica di ciò che abbiamo davanti, ma può farsi visione, penetrando l’oggetto,
quasi provocandone uno sconfinamento che approda a inusitati punti di vista e ulteriori
metamorfosi.
In
questa chiave tra gli autori contemporanei qui proposti, i lavori di Daniele
Regis, docente da anni impegnato sul versante dell’architettura sacra e della
storia del territorio, si offrono come uno sguardo che si fa esso stesso
barocco, raggiungendo un’intensità interpretativa fra le più acute.
Regis
si è cimentato nel Barocco come soggetto fotografico fin dal 1990, occasione la
ristampa del volume di Allemandi opera di Mario Passanti, Architettura in
Piemonte da Emanuele Filiberto all’Unità d’Italia (prima edizione, 1945).
Le sue trentadue tavole che accompagnano l’indagine storica, conferendole una
plasticità visiva inconsueta, sono state definite dallo stesso Allemandi «tra
le più belle rappresentazioni mai realizzate dei più significativi edifici
storici piemontesi». Nell’alveo della grande tradizione di studi barocchi
tracciato da Andreina Griseri, Nino Carboneri, Richard Pommer e, sul versante
dell’arte, della straordinaria eredità lasciata da una mostra nel
1963 di cui restano i preziosissimi scatti di Riccardo Mocalvo, come già fu nel 1937 quella curata da Vittorio Viale, allora direttore dei Musei Civici di Torino,
Regis si è fatto carico di una sintesi raffinatissima dove si trovano
sedimentati gli sguardi di tutte queste esperienze intellettuali. Tali mostre
si distinsero peraltro come alcuni degli eventi di maggior caratura che si siano mai
verificati in Piemonte attirando più di trecentomila visitatori.
A
segnare il passo in questa materia, c’è anche un importante progetto cui Regis ha preso parte in tempi recenti, su Francesco Gallo e Antonio
Vittone, selezionato per l’anno europeo del Patrimonio culturale 2018, Mons
Regalis. Tra Regno Sabaudo e Provincia.
In
tempi di sospensione della didattica, di massima incertezza nel mondo della
scuola, nonché sulle modifiche sostanziali apportate dai cambiamenti finora ipotizzati,
tornare con la mente a iniziative di studio partecipate, condivise, incentrate
sul contatto coi patrimoni e la loro osservazione dal vivo, implica un grado di
consapevolezza più profondo rispetto ai tempi normali. Avvicinare le opere del
Barocco piemontese attraverso un workshop di fotografia, ha significato creare
negli studenti un legame tangibile con la materia rappresentata, ha contribuito
a far comprendere loro come arte e immagine d’arte possano ispirarsi e
generarsi l’una dall’altra, in una reciproca osmosi. Senza questo confronto
visivo a tutto campo, l’insegnamento si riduce a un arido nozionismo, per di
più orfano di esercizio critico.
Il Barocco è, insieme agli itinerari neogotici, un elemento di punta del paesaggio culturale piemontese, tanto radicato nel profondo dell’identità regionale quanto collocato in una dimensione internazionale nell’ambito della ricerca; «un quadro affascinante per le straordinarie emergenze locali piemontesi di assoluto valore internazionale», dice Regis. Iniziative come quella riportata per la provincia di Cuneo hanno tra le altre cose il compito di valorizzare la varietà dei siti, creare sinergie a livello locale tra gli addetti ai lavori e far acquisire a quanti più fruitori possibili la necessità di una gestione strategica del patrimonio diffuso, peculiarità tutta italiana insieme a quella di vantare la più alta concentrazione di beni Unesco. Sul versante neogotico, Daniele Regis e Lorenzo Mamino ci hanno illustrato tali caratteri nella doppia cornice dei cosiddetti “Beni faro” e delle architetture orbitanti intorno alle rispettive zone d’influenza (Il CuNeo gotico, Sagep, 2016). Andando a ritroso, la campagna su Schellino a Dogliani – ma per similitudine di metodo si potrebbe anche far riferimento ai lavori di Michele Pellegrino sulle Langhe recentemente raccolti nel volume di Skira a commento del quale è intervenuto lo stesso Regis – rifletteva sulla fotografia come σῆμα (sèma, “segno”) di un tutto, non come arte dell’insieme: «L’enigma critico della fotografia […] si disvela così in questi frammenti così densi di segni: tema centrale non è l’architettura quanto un contesto dell’architettura. L’architettura non è letta che per relazioni, per metafore, per metonimie nel trasferimento di termini dal concetto a cui propriamente si applicano ad altri che con esso hanno connessioni di tempo, di spazio, di causa». (In Daniele Regis, Giovanni Battista Schellino a Dogliani, Celid, 2006). Lì era una connessione col paesaggio, uno scambio di sguardi fortemente orientati dalla quinta scenica, ma questa attitudine all’intreccio semantico, alla fluidità, ai travasi di significato è parte integrante, direi un’essenza corporea, del dire attraverso la fotografia.
Il Barocco è, insieme agli itinerari neogotici, un elemento di punta del paesaggio culturale piemontese, tanto radicato nel profondo dell’identità regionale quanto collocato in una dimensione internazionale nell’ambito della ricerca; «un quadro affascinante per le straordinarie emergenze locali piemontesi di assoluto valore internazionale», dice Regis. Iniziative come quella riportata per la provincia di Cuneo hanno tra le altre cose il compito di valorizzare la varietà dei siti, creare sinergie a livello locale tra gli addetti ai lavori e far acquisire a quanti più fruitori possibili la necessità di una gestione strategica del patrimonio diffuso, peculiarità tutta italiana insieme a quella di vantare la più alta concentrazione di beni Unesco. Sul versante neogotico, Daniele Regis e Lorenzo Mamino ci hanno illustrato tali caratteri nella doppia cornice dei cosiddetti “Beni faro” e delle architetture orbitanti intorno alle rispettive zone d’influenza (Il CuNeo gotico, Sagep, 2016). Andando a ritroso, la campagna su Schellino a Dogliani – ma per similitudine di metodo si potrebbe anche far riferimento ai lavori di Michele Pellegrino sulle Langhe recentemente raccolti nel volume di Skira a commento del quale è intervenuto lo stesso Regis – rifletteva sulla fotografia come σῆμα (sèma, “segno”) di un tutto, non come arte dell’insieme: «L’enigma critico della fotografia […] si disvela così in questi frammenti così densi di segni: tema centrale non è l’architettura quanto un contesto dell’architettura. L’architettura non è letta che per relazioni, per metafore, per metonimie nel trasferimento di termini dal concetto a cui propriamente si applicano ad altri che con esso hanno connessioni di tempo, di spazio, di causa». (In Daniele Regis, Giovanni Battista Schellino a Dogliani, Celid, 2006). Lì era una connessione col paesaggio, uno scambio di sguardi fortemente orientati dalla quinta scenica, ma questa attitudine all’intreccio semantico, alla fluidità, ai travasi di significato è parte integrante, direi un’essenza corporea, del dire attraverso la fotografia.
Il
Barocco piemontese è altrettanto organico a questa rappresentazione. «Grazie
alla capacità di penetrazione nelle zone più remote di molti Stati,
l’architettura barocca in Europa», scrive Henry Millon nella sua prefazione al
Francesco Gallo 1672/1750. Un architetto
ingegnere tra Stato e Provincia di Vera Comoli e Laura Palmucci, «ha prodotto
l’affascinante fenomeno di numerosi architetti di talento che ebbero poche
occasioni o non costruirono affatto per le città capitali, ma svilupparono la
loro attività nell’entroterra. Se costruire nella provincia fosse stata una
scelta consapevole degli architetti, o piuttosto una necessità, può essere
oggetto di discussione. In ogni caso, le sorprendenti gemme architettoniche che
in Stati come il Piemonte o la Baviera si possono trovare sia nei centri della
provincia, sia nelle campagne, vanno annoverate tra le più grandi ricchezze
dell’architettura del XVIII secolo». (Tratto da Daniele Regis in Educare
alla Bellezza, il Barocco in Piemonte e l’anno europeo del patrimonio culturale).
Non
documentare soltanto dunque ma vedere. Il che presuppone un livello
interpretativo, significa penetrare, dare forma con il proprio punto di vista,
approdare alla sintesi, uscire dall’idea della fotografia come semplice e
riduttivo racconto didascalico. Un atto che è in grado di produrre visioni
alternative, che può movimentare la pietra o scolpirla dosando i chiaroscuri,
che può tagliare gli spazi o dar loro profondità e che quindi ci può far
considerare l’oggetto architettonico sotto una luce fino a quel momento
inimmaginata.
(Di
Claudia Ciardi)
Fotografie:
In copertina - San Lorenzo - Le due cupole
(Daniele Regis ©)
Sotto: SS. Sindone - Foto storica analogica
(Daniele Regis ©)
Baroque reflection – Scalone di
Palazzo Madama (Daniele Regis ©)
Nota
bibliografica:
Daniele Regis, Educare alla Bellezza, il Barocco in Piemonte e l’anno europeo del patrimonio culturale. Link nell’archivio Iris Polito: http://hdl.handle.net/11583/2787901, In: PERCORSI Mons Regalis tra Regno Sabaudo e Provincia Francesco Gallo, Bernardo Antonio Vittone i luoghi e le opere, 2018, pagine 8-12
Daniele
Regis, Fotografare o saper vedere l’architettura: pedagogia e racconto. Link
nell’archivio Iris Polito: http://hdl.handle.net/11583/2788137, In: PERCORSI Mons
Regalis tra Regno Sabaudo e Provincia Francesco Gallo, Bernardo Antonio Vittone
i luoghi e le opere, 2018, pagine 13-21
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