Guardare
i cieli con occhi diversi, sembra questo l’invito di molti artisti che hanno
scelto le nuvole come tema chiave delle loro rappresentazioni. E ancora,
osservare i contrasti e le armonie sopra di noi, per tornare a vedere dentro noi
stessi con una lucidità rinnovata. Dagli sfondi eternamente sospesi di Carel
Willink, che ha riversato la lezione del realismo magico di de Chirico in scenari
di città svuotate su cui giacciono sparse le rovine dell’antico, mentre nuvole
maestose e sognanti vagano nel panorama, ai solitari paesaggi d’invenzione di
Phil Epp dove per tre quarti campeggiano gigantesche nubi turrite. Già in
questi due soli esempi si può leggere un condensato poetico che spazia dalle
intuizioni metafisiche primo novecentesche alle visioni mutevoli e allucinate
del contemporaneo. Quasi che le nuvole siano un’allegoria del tempo storico e
soggettivo oltre che l’estremo manifestarsi di una struggente levità nella
pesantezza del vivere quotidiano, così da iniziarci a vie di fuga immaginarie o
a categorie del pensiero in grado di attivare nessi e collisioni dalle ricadute
anche concrete.
Dopo
aver esplorato le architetture cumuliformi di Ian Fisher, ci orientiamo alla mantica
di tre giovani autori nei quali la commistione tra pittura e fotografia o
fotografia come pittura è un elemento condiviso, sebbene realizzato passando per
angolazioni e tecniche differenti. Questa ritorno d’inizio millennio a un
romanticismo tonale e sentimentale, pur rivisitato secondo certi tormentosi interrogativi psicoanalitici o nel vortice di solitudini abbacinanti che danno l’impressione di voler a tutti i costi metterci in discussione, provocando i limiti del
nostro sguardo, accomuna non pochi artisti, tanto da poter forse parlare di una
sensibilità riaffiorante in culture e personalità tra loro diverse e lontane.
Bruce
Cascia, passione per il disegno fin dall’adolescenza e una laurea in arti
grafiche all’università dell’Illinois, ha dedicato agli scorci dimenticati
dell’America interna e rurale – il sud-ovest soprattutto – molti dei suoi
lavori a olio. La sua serie “Flatland”
(Pianura) si ispira a uno stato d’animo contemplativo che intende anche
suscitare nell’osservatore, ed è stata originariamente concepita come il rotolare di un cielo gravido di fulmini sulla prateria dell’Illinois punteggiata da solitarie case
coloniche. La bianca fattoria sovrastata dai cumuli accesi al tramonto o quasi
intagliata negli squarci di luce che si alternano alla tempesta è certamente un
rimando al luogo di cui l’occhio registra la spettacolare metamorfosi della natura, ma anche uno stato
mentale. Ci sono poi i numerosi viaggi su strada verso ovest a fornire altra
materia prima alla sua creatività. Fotografare le nuvole in continuo mutamento
e la fluidità dei paesaggi che gli scorrono attorno, gli offre lo spunto per
creare immagini drammatiche in cui la potenza dei cieli serve a infondere un
senso di scala nelle opere realizzate. L’illuminazione ha un ruolo importante
in tutti i suoi dipinti, in ciò serbando un debito particolare nei confronti di
Maxfield Parrish e Andrew Wyeth.
Una
ricerca collocabile nelle atmosfere dell’iperrealismo, peraltro senza esaurirsi
entro tali binari. La tecnica fotografica e una scrupolosa riproduzione della
realtà costruiscono scene impeccabili, tuttavia dietro la resa perfetta dei
colori, lo scorrere attento, misurato dei contorni, l’apparentemente distaccato
esercizio di composizione, si insinuano inquietudini e altre dubitanti
ossessioni. È in queste brecce che il lavoro di Bruce Cascia aspira a inserirsi,
cercando di conquistare alla vista i prodigi nascosti di una realtà che troppo
spesso ci appare scontata.
Claire
Droppert, fotografa olandese con base a Rotterdam, ha dedicato una parte
cospicua del suo repertorio ai ritratti di spettacolari cumulinembi – titolo
della serie “Nimbus” – combina
semplicità e minimalismo così da far scaturire dai propri soggetti una
silenziosa contemplazione, una sorta di raccoglimento cosmico che guidi l’osservatore
a ritrovarsi. Un viaggio iniziato in giovane età, con i primi passi mossi su
una Pentax analogica. Poi il lavoro di graphic designer che l’ha aiutata a
mettere a fuoco un immaginario concettuale, schiudendole la carriera di
fotografa. Un senso di calma trasmesso in tutte le sue immagini, una vertigine
maestosa e fatale che trascende la realtà, come ben si vede nelle sue nuvole.
Infine
Ben Sherar, originario di Perth, che lega il suo immaginario principalmente ai
gloriosi cieli dell’Australia. Ha trascorso diversi anni viaggiando nell’entroterra
in mezzo alle spettacolari bellezze dei luoghi, passando gran parte
dell’infanzia nella città settentrionale di Kununurra a Kimberley. Interamente
autodidatta, si sforza di catturare ciò che lo circonda in modo realista pur proiettandovi
i suoi stati d’animo, contaminando i cieli con il proprio gesto emozionale. I
suoi oli su allumino dedicati ai paesaggi con nuvole sono momenti riconducibili
a singolari condizioni atmosferiche, ma anche lembi di un eterno sempre
sfuggente, che tuttavia in alcuni momenti si disvela con così tanta forza e
bellezza da far nascere l’urgenza di provare a ritrarlo.
(Di
Claudia Ciardi)
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*Foto di copertina: Bruce Cascia - Sunset Thunder
Bruce Cascia - Sundown reflection
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