Architetto
finlandese, autore di alcuni saggi di successo su arte, antropologia,
psicologia e, per l’appunto, architettura, conferenziere stimato dal pubblico,
Juhani Pallasmaa ha indagato in diversi scritti cosa vuol dire essere oggi
costruttori e comunicatori, esplorando la necessità di risvegliare quel senso
latente di poesia in grado di restituire contenuto alle cose, ravvivando le
connessioni storiche e culturali su cui poggia la nostra immaginazione. È
questa capacità la prima pietra del grande edificio collettivo entro il quale
si celebra l’arte, dove ritualmente prende forma la volontà di
autorappresentazione dei popoli, il corpo che trasuda la sostanza organica di
sogni e memorie. Perché esattamente tale è l’impronta lasciata dalle nostre
vite, una parte creativa, intangibile, in apparenza acefala, invertebrata,
svincolata dall’ossatura del mondo, un’altra invece inscritta nel tempo
quotidiano, nella contingenza del reale. Ma a ben vedere son due fronti affatto
opposti, semmai interrelati nel profondo, di cui l’essere umano si nutre in
continuo.
Lungi
dal rappresentarsi come qualcosa di disincarnato, immaginazione e immaginari
sono infatti espressioni concrete, multisensoriali, composite in quanto originate da
una stratificazione di esperienze, da una polifonia di segni e sensibilità; recano in sé il portato del mondo. Eppure,
quel che oggi svuota di significato larga parte delle cosiddette opere d’arte
e, dunque, molti progetti di architettura è proprio l’assenza di ponti gettati
dall’uomo verso la sua più autentica storia sentimentale. Manca sempre più
spesso un’anima pulsante al centro del sillabare o disegnare un’idea, un’ipotesi, uno spazio. Quando si enuncia questa parte spirituale, allora tutto
riaffiora all’unisono nel corpo di un’opera e di chi ne fa esperienza. Il prodotto
artistico manifesta qui l’integrità che le appartiene, connotandosi come una
creatura viva, radicata nel tempo, viscerale ma anche altrettanto ineffabile. Tuttavia,
l’epoca che attraversiamo, tende a bandire l’immaginazione, snaturandola,
negandola addirittura. Paradossalmente, e neppure tanto, l’eccesso di immagini da cui siamo ovunque
sommersi, perfino assediati in certi luoghi o circostanze, falsifica e
distoglie dal vero potere che le realtà visive in condizioni diverse
eserciterebbero sulle nostre esistenze. Troppe immagini per nessun immaginario. Ecco
quale cieca profezia va prosciugando sul nascere gli spunti creativi che
vorrebbero concorrere a una profonda, sensata e ampiamente condivisa immedesimazione.
Davanti
allo svuotarsi di senso di ciò che più avrebbe il compito di restituircelo, scaturendo
in noi una riflessione e quella generosa catarsi che sola libera le energie
positive del vivere, l’essere umano resta attonito, disorientato. Guarda il
flusso di immagini che lo investe, ma sembra non vederlo, pare averne solo una
minima percezione che però sfugge a un più solido processo significativo. Per
Pallasmaa è possibile e auspicabile risignificare i nostri immaginari, unica
via per tornare a un umanesimo delle idee, dei caratteri e delle arti. Tale è
la condizione necessaria per raggiungere di nuovo la bellezza, i valori, ciò che dà peso
alla storia. Senza una cultura rilevante non c’è infatti alcuna storia che
sappia riempire le commessure di un immaginario e tramandarlo. Senza immaginazione
l’uomo nega una delle sue attitudini primarie e perde un suo tratto essenziale,
che equivale a uno dei fondamenti del sopravvivere.
Tornare
alla grande arte e architettura, significa saper ritrovare la strada per la
vera e grande poesia. Aver smarrito le formule di questa evocazione espone l’umanità
al rischio dell’anonimato, a un lento oblio sentimentale dove non c’è altro spazio
se non per le angustie di ogni giorno e il livellamento delle coscienze. Uno
stato di torpore diffuso in cui la creatività si troverebbe a disagio fino a
venir meno. Se si vuol conservare la scintilla, è della massima importanza che
il sentire non divenga preda d’ingorde sirene che nessun favore gli
renderebbero, tranne annegarlo.
(Di
Claudia Ciardi)
Edizione consultata:
Juhani Pallasmaa, L'immagine incarnata. Immaginazione e immaginario nell'architettura, Safarà Editore, 2014
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