Marc
Augé, classe 1935, antropologo francese autore di libri fortunati nei quali ha
indagato il senso dello spazio e della memoria, come il celebre «Rovine e
macerie» edito in Italia da Bollati Boringhieri, con «Un etnologo nel metrò»,
breve ma densa monografia, ci accompagna in un affascinante viaggio lungo le
linee della metropolitana di Parigi.
Quello
che potrebbe sembrare un insolito terreno di esplorazione, incoerente
all’apparenza col mondo di superficie, si rivela un luogo di richiami e
sedimentazioni, caratterizzato invece da una straordinaria capacità ricettiva.
E viceversa, giacché il sottosuolo, divenendo fulcro delle abitudini in base a
cui si articola la vita in metropoli, contamina largamente quel che accade
qualche metro sopra. La sintonia che qui è possibile cogliere con i livelli più
profondi del sé, permette di analizzare la struttura del corpo sociale, fino a
tracciarne riti e itinerari riconducibili a una vera e propria era geologica
che ha visto la piena affermazione della metropoli e dei suoi ritmi.
Il
metrò diviene dunque una macchina del tempo in grado di mettere in contatto
zone d’ombra, o più semplicemente lembi sopiti della nostra interiorità, con la
storia sociale cui apparteniamo o crediamo di appartenere. I nomi delle fermate
che in rapida successione si offrono allo sguardo del viaggiatore dal buio
della galleria, racchiudono cosmogonie d’inaspettata ricchezza, attraverso cui
risalgono matasse di memorie, delle quali non tutto, e non sempre, si indirizza
alla nostra comprensione. La mappa della metropolitana descrive una geografia
che solo in piccola parte è indicativa di un tragitto; i vagoni funzionano come
un vero e proprio dispositivo a mezzo del quale la storia dei singoli
s’incontra con le narrazioni che alimentano l’identità urbana.
«Basta,
a volte, il caso di un itinerario (di un nome, di una sensazione) perché il
viaggiatore distratto scopra all’improvviso che la sua geologia interiore e la
geografia sotterranea della capitale hanno punti di contatto: scoperta
folgorante di una coincidenza in grado di provocare nelle nicchie sedimentarie
della sua memoria piccoli sismi intimi».
Questa
discesa nei diversi livelli di coscienza della storia individuale e collettiva,
costituisce un osservatorio privilegiato delle tante collisioni che animano la
contemporaneità di cui i passeggeri sono sia spettatori che fabbri. Ma il metrò
è anche il mezzo della sospensione. Durante lo spostamento da una stazione
all’altra, i viaggiatori abbandonano, pur in maniera fittizia e per un lasso di
tempo limitato, le certezze ma anche le noie derivanti dalla loro esistenza
ordinaria in superficie. Sotto, divengono preda della ineludibile cadenza con
cui i convogli setacciano gli strati meno noti della città ed è come se una
strana forza traente decretasse l’orientamento di qualsiasi pensiero o
sensazione. In questo stato, dove si produce una sorta di ipnosi del corpo,
sperimentano per qualche istante la crisi dei sistemi in cui normalmente
agiscono.
L’esorcismo
è ascritto alle condizioni del viaggio e a quel filo sottile ma tenace della
loro condivisione tra quanti affollano nel quotidiano, per le ragioni più
disparate, le banchine del metrò. Alla più piccola variazione, l’unisono che
stringe la comunità viaggiante può andare perduto; l’insieme si regge su un
equilibrio assai fragile, e qualora il singolo componente salti nella catena di
formule e figure, ne risulta compromessa la sostanza rituale. Perché la
singolarità dello spostarsi e il senso mai unico che ne deriva affiorano qui da
una delicata sommatoria tra aspirazioni dell’individuo e moti collettivi.
«Tutti
questi viaggiatori sotterranei si differenziano gli uni dagli altri, anche se i
loro movimenti quasi regolari (come quelli dell’oceano Atlantico, con le sue
maree alte e basse e le sue fasi di tempesta o bonaccia) suggeriscono tuttavia
che una stessa attrazione li anima e li muove, li riunisce e li disperde».
La
metropolitana non si identifica soltanto col dedalo dei suoi tracciati, scuro
fiume che inonda le cantine della città, strappando via frammenti e oggetti da
quelle pareti dimenticate per rovesciarli ai piedi dei suoi frequentatori. È
un’architettura composita che, al contrario di quanto si possa pensare, si
regge per una piccolissima parte sulle proprie strutture visibili, affidando una
porzione rilevante delle sue suggestioni simboliche a numerosi altri aspetti.
Dall’annuncio delle destinazioni per mezzo della voce automatica, il che
contribuisce a creare un’attesa dal gusto surreale attorno alla meta, alla
sirena dei treni in partenza. E poi ancora, le vibrazioni che scuotono i muri
della stazione, il gesto rapido e perfino sontuoso con cui di solito i
passeggeri vidimano il biglietto precipitandosi nel varco aperto, il vento che
filtra in galleria pochi secondi prima dell’arrivo del treno, e pure la
corrente d’aria che visita ininterrottamente i corridoi di certe uscite.
L’umore un po’ trasognato dei chioschi sotterranei, la grazia da semidei di
musicisti e accattoni confinati agli imbocchi di scale e corridoi.
Augé
ci guida in un microcosmo che non solo per scelta tematica ma forse più ancora
nei toni si ritaglia un posto d’onore all’interno della letteratura sulla
flânerie, inaugurata proprio sulle strade di Parigi da Baudelaire, Breton,
Hessel, Benjamin, Kracauer, per citare alcuni tra i suoi maggiori praticanti e
affabulatori. Lo studioso suggerisce una serie di chiavi di lettura in
parallelo ad altrettanti punti di osservazione, con l’augurio che altri abbiano
voglia di avventurarsi alla scoperta di un universo sepolto dove, lasciando che
l’occhio si abitui al buio, è facile scorgere segni dei nostri infaticabili
corsi e ricorsi lungo i sentieri della storia.
(Di
Claudia Ciardi – articolo pubblicato nel 2014)
Edizione recensita:
Marc
Augé, Un etnologo nel metrò
Elèuthera,
2010
*Per
alcune considerazioni sugli itinerari della metropoli si veda l’articolo "Denkbilder e passages", pubblicato in questo blog.
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