9 ottobre 2013

Valerio Gelli - La poesia del disegno





Valerio Gelli, Siepe d’alberi, 1987, matita su carta, 48x66 cm.©


 «Il ponte Pachiao (Pachiao significa ‘il ponte Pa’) era il luogo dove chiunque se lo potesse permettere veniva a salutare gli amici e i colleghi che partivano verso oriente. Nel corso dei secoli divenne noto come il ‘Ponte dell’addio’: il luogo più famoso nella Cina antica per separarsi e lo scenario di migliaia di poesie sui salici.

Fino ai tempi moderni, i loro fiori pendenti fiancheggiavano entrambe le rive del fiume Pa per vari chilometri in entrambe le direzioni. A tarda primavera, la peluria dei fiori invadeva l’aria come neve, dando luogo a un’altra delle otto meraviglie dello Shensi. In cinese, la parola per indicare ‘salice’ è omofona di ‘stare’, e coloro che restavano recidevano un fiore per donarlo a chi partiva».

Da La Via al Cielo. Incontri con eremiti cinesi, Red Pine, Ubaldini, 2013


O Bäüme Lebens, o wann winterlich?
Wir sind nicht einig. Sind nicht wie die Zugvögel
verständigt. Überlholt und spät,
so drängen wir und plötzlich Winden auf
und fallen ein auf teilnahmslosen Teich.
Blühn und verdorrn ist uns zugleich bewußt.
Und irgendwo geht Löwen noch und wissen,
solang sie herrlich sind, von keiner Ohnmacht.

Und aber, wo wir Eines meinen, ganz,
ist schon des andern Aufwand fühlbar. Feindschaft
ist uns das Nächste. Treten Liebende
nicht immerfort an Ränder, eins im andern,
die sich versprachen Weite, Jagd und Heimat.
Da wird für eines Augenblickes Zeichnung
ein Grund von Gegenteil bereitet, mühsam,
daß wir sie sähen; denn man ist sehr deutlich
mit uns. Wir kennen den Kontur
des Fühlens nicht: nur, was ihn formt von außen.
Wer saß nicht bang vor seines Herzens Vorhang?
Der schlug sich auf: die Szenerie war Abschied.


Oh alberi di vita, oh quando invernali?
Non siamo unanimi. Non siamo,
come gli uccelli migratori, avvertiti.
Superati e tardi ci accompagniamo ai venti
d’improvviso e caliamo su stagni indifferenti.
Fiorire e guastarsi noi li sappiamo insieme.
E in qualche parte vagano ancora leoni
e non sanno, finché sovrani, di nessuna impotenza.

Noi però, dove intendiamo un intero, del tutto,
si avverte già il dispendio dell’altro. Ostilità
è a noi la più vicina. Non giungono sempre gli amanti
ai confini l’uno nell’altro, mentre
si eran ripromessi pianure, caccia e patria.
Per il disegno di un istante, là
si prepara un fondo contrario, a fatica,
perché noi lo vediamo; si è molto chiari, infatti,
con noi. Non conosciamo il contorno
del sentire; soltanto ciò che da fuori lo forma.
Chi non sedeva pauroso davanti al sipario
del suo cuore? Si aprì: lo scenario era addio.


Rainer Maria Rilke, Die vierte ElegieQuarta elegia
Duineser ElegienElegie duinesi
(incipit)
Traduzione di Jutta Leskien e Michele Ranchetti

******


La prima volta che gli ho fatto visita, nel 2011, alla casa-studio di Via S. Pietro, ricordo di avergli chiesto della sua iniziazione. È una curiosità che ho sempre avuto quella di scoprire quale momento, quale circostanza, se un incontro, un dolore, un sogno abbia contribuito a far nascere in un artista la consapevolezza di se stesso.



Vecchio caminetto con terrecotte nella casa-studio 
(Foto di Claudia Ciardi ©)

L’esperienza di Gelli mi ha particolarmente colpita perché il manifestarsi della passione per l’arte si intreccia alla catastrofe della guerra, e questa drammatica sovrapposizione ha creato, un giorno, un evento che io ho avuto il piacere di farmi raccontare dall’artista e che voglio trascrivere qui dalla monografia che le edizioni di Via del Vento gli hanno dedicato:

«È all’età di undici anni, esattamente il 24 ottobre del ’43, a seguito del primo bombardamento aereo alleato su Pistoia, che risale l’episodio che in qualche misura indirizzerà la predilezione del giovanissimo Valerio verso la vocazione artistica. Tra i numerosi edifici che vengono rasi al suolo, vi è l’abitazione dell’ingegner Banti, direttore delle Forze idrauliche (l’attuale ENEL) di Pistoia che fortunosamente assieme alla famiglia non si trova in casa. I giorni successivi al bombardamento alcuni operai delle Forze Idrauliche, coordinati da Emilio Coppini, nonno materno di Valerio e dipendente stimato dell’ingegnere, scavano tra le macerie dell’edificio alla ricerca di mobili ed oggetti che possano essere riconsegnati al proprietario. L’unica cosa recuperata e miracolosamente integra è il libro La novella di Giotto, scritto da Giuseppe Fanciulli, illustrato con moltissime foto Alinari in bianco e nero delle opere del pittore fiorentino e pubblicato nel ’40 dalla Casa Editrice Hoepli. Quando Emilio Coppini porta il volume al suo proprietario, questi che nelle sue frequenti visite nella casa dell’amico operaio delle Fornaci aveva avuto modo di osservare il piccolo Valerio intento a disegnare, dispone che il libro venga regalato al ragazzo. Il volume rappresenterà una sorta di Vangelo per il giovane, che attraverso questi testi e quelle immagini, può iniziare a tracciare una linea ben precisa nel suo destino. Il libro, per come è articolato e per la necessaria descrizione di figure ‘altre’ rispetto a quella del soggetto principe, tra cui San Francesco, Dante, Giovanni Pisano, dischiude orizzonti vasti e stimolanti per il giovane. Sprofondarsi nella lettura di quel testo sarà un forte analgesico all’angoscia causata nel ragazzo dall’assurdità della guerra, che i cupi boati sempre più frequenti gli ricordano esser cosa reale, ed arbitraria nel suo rastrellamento di vite innocenti. Con il libro aperto nelle mani, seduto sull’argine del Diècine, affiderà i suoi pensieri alla foglia che scorre lentamente sull’acqua e che li porterà idealmente, attraverso la Brana, l’Ombrone e l’Arno a lambire le sale degli Uffizi, dove tante delle opere che compaiono solide e mute su quel libro, rivivono nei loro colori lo splendore del genio irripetibile che le ha generate» (Fabrizio Zollo, cenni biografici in Valerio Gelli. L'uomo e l'artista, Via del Vento edizioni).


Valerio Gelli, Il nido devastato, 2009 ©


Questo episodio ha il sapore dell’apologo taoista in cui il sorgere reciproco di azioni contrarie non ha carattere oppositivo ma comporta un equilibrio. Nel racconto di Gelli il dono che ha orientato la sua vita affiora letteralmente dalle macerie e dalla distruzione; dove tutto sembra perduto resiste una radice destinata al nuovo bene. 
Una storia simile non poteva che appartenere a una personalità come quella di Gelli. L’uomo è all’apparenza schivo, la casa disadorna e sincera come il sorriso di un eremita. Tutto è accogliente, gli oggetti cullano un’intimità e una saggezza antica che quasi rassicurano, e i gesti e la voce dell’artista sembrano dipingere qualcosa nell’aria.
La sensazione di pace solitaria e raccolta si avverte già all’entrata. Scendendo per Via S. Pietro, lasciandosi alle spalle un vecchio muro che morbide cime d’alberi superano di qualche metro, oltrepassando la bianca facciata della basilica, lieve come un panno di lino steso al sole, si arriva a una porta dietro la quale facilmente s’immagina un orto, il rifugio di una qualche innocenza che da molto non capitava d’incontrare. 
Un salice spiove sereno da una casa confinante, mite guardiano incaricato di salutare il visitatore in attesa sulla soglia. Un paio di file di mattonelle in cotto ci scortano allo studio, lambito dall’aroma della menta vicina. Nella gentilezza di questo giardino cresce una forma rara di poesia arcaica che prosegue dentro la casa. Lo studio prende luce da una finestra che attrae all’interno la grazia delle piante, e quando si parla con Valerio è come se il tremolio delle foglie e il verde arabesco dei loro occhi disegnassero altrettante presenze vive nella stanza. Sul tavolo, in un angolo, c’è sempre qualche nuova creatura frutto di questa calda levigatezza che si aggira ovunque. I suoi disegni a matita morbida sono quasi apparizioni di un mondo protetto perfino dal passaggio del tempo, dove tutto si conserva ineffabile, viene da dire incontaminato, dove le forme cadono estatiche sul foglio e nella creta, senza rivestirsi di maniere né essere gravate da concetti.
C’è solo un puro gioco di immagini che rimanda all’infanzia, a certi ritmi meravigliosi di filastrocche e indovinelli che una volta cantati non si dimenticano più.

(Di Claudia Ciardi)     

                           
Lo scultore Valerio Gelli nel luglio 2009 (Foto di Fabrizio Zollo ©) 





Da Valerio Gelli – Disegni
(Siliano Simoncini)

«In effetti opere come quelle dedicate al tema del Bosco, degli Alberi (entrambi degli anni ’80) e, in particolare, quelli che visualizzano la descrizione di un sogno narrata dal grande architetto Giovanni Michelucci (estimatore e amico di Valerio Gelli) e titolati La capanna dell’angelo (2001/2003), sono esempi di una unicità singolare nel lavoro di Valerio perché egli ha avuto il coraggio di azzerare il proprio linguaggio grafico precedente per intraprendere un’avventura del tutto nuova; avventura che lo porterà a realizzare disegni le cui radici stilistiche possono essere fatte risalire a quelle dei disegni post-impressionisti di Seurat e a quelli simbolisti di Redon. Nasce allora una grafica pulviscolare, dall’atmosfera magica e malinconica, che non porta più l’artista a esplorare la consistenza dello spazio e o la definizione della forma, ma lo induce a confrontarsi con il profondo dell’espressività interiorizzabile, con il “sentimento” del tempo».

[…]
                                                            
«Venendo agli ultimi disegni, quelli indicati dalla rappresentazione de Il nido, disegni realizzati dopo un lungo periodo di inattività del nostro artista a causa di una grave malattia, li possiamo pensare, anche a causa di questa brutta vicissitudine, come momenti di una rinascita, del profondo desiderio di voler dare forma a un’idea, a un sentimento che si è confrontato con il fine ultimo della vita e adesso vuole germogliare di nuovo».           
       


Porta della cantina nella casa-studio
di Valerio Gelli (Foto di Claudia Ciardi ©)




«Il sogno della capanna dell’angelo di Giovanni Michelucci rimanda a una  poetica della semplicità, a un bi-sogno di meditazione e ascesi realizzabile attraverso la costruzione di uno spazio raccolto, costruito con materiali poveri, senza fare violenza alla natura, contrariamente a tutto quanto accade nella società contemporanea avvelenata da desideri di segno opposto».

[…]



Giovanni Michelucci:
«Fatto sta che ho sognato la cosa più elementare che possa sognare un uomo: una capanna in un bosco.
Una capanna con la porta ‘a bocca di lupo’, una povera capanna, una dimora provvisoria, il cui aspetto evocava l’infanzia, i ricordi ancestrali, gli odori e gli umori del muschio, del pane appena cotto, del formaggio.
Ricordi forse di una realtà irrecuperabile se non nel sogno. Tanto è vero che, avvicinandomi, la capanna, invece di ingrandirsi, rimpiccioliva sempre più. Un luogo talmente piccolo da considerarsi inabitabile. Ma d’un tratto ho intravisto all’interno l’ala di un angelo: una presenza angelica. E nessun luogo è povero o di poco conto se è abitato da un angelo! 

Allora da questo sogno, apparentemente regressivo, mi è parso di comprendere visivamente una realtà elementare eppure ricca di implicazioni: che non sono i luoghi che devono cambiare, ma le persone che li abitano. Una verità che Giotto aveva capito benissimo.
Tanto è vero che in molte delle sue opere gli spazi raffigurati sono angusti rispetto all’azione che vi si svolge. La stessa ala dell’angelo che io ho sognato somiglia a quella che attraversa la piccola finestra nell’edicola dell’Annunciazione a Sant’Anna, nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
Uno spazio è sempre povero, quando è privo di capacità di relazioni, ed è sempre bello, quando è generativo di incontri, di possibilità sinora inesplorate.
È questa forse la felicità dell’architetto».


Valerio Gelli, Il nido al vento, 2009 ©







Per approfondire l’arte di Valerio Gelli/ Books on Valerio Gelli:

Valerio Gelli, Disegni. Sessanta anni di disegno 1949-2009, testi di Alfio Del Serra, Siliano Simoncini, Cristiana Bossi, ottobre 2009 – edizioni del Circolo Aziendale Breda

Valerio Gelli. L’uomo e l’artista, AA.VV. (Paolo Beneforti, Luigi Russo Papotto, Alessandro Sarteschi, Fabrizio Zollo), a cura di Fabrizio Zollo, volume n. 12, coll. Le Streghe, Via del Vento edizioni, dicembre 2009


Su Pistoia e i suoi artisti si veda anche:  

Pistoia in parole. Passeggiate con gli scrittori in città e dintorni, a cura di Alba Andreini, introduzione di Roberto Carifi, edizioni ETS, 2012
E il post correlato in questo blog: Il cielo sopra Pistoia

«Pistoia la colta» di Anna Li Vigni su «Il Sole 24 ore», 11 –  8 –  2013


Riproduzione dell'articolo, «Il Sole 24 ore» 2013 © 

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