1 luglio 2013

Denkbilder e passages


I passages della flânerie: Kracauer e Benjamin


                            Foto ed elaborazione di Claudia Ciardi ©

In qualità di ‘medium’ in grado di registrare la contemporaneità weimariana, il flâneur incarna un’inclinazione intellettuale e sensoriale che interpreta e reagisce ai nuovi fenomeni in atto nella metropoli, ai nuovi stimoli veicolati dalle sue strade. Questa disposizione è tanto un prodotto della cultura del moderno quanto uno stato collettivo che Siegfried Kracauer e Ernst Bloch descrivono secondo le categorie degli “impiegati” (Die Angestellten), di “coloro che attendono” (Die Wartenden) e dello “svago” che definisce la loro condizione. Certo, è proprio la convergenza tra il modo di vedere del flâneur e lo status collettivo dei tempi che, per Walter Benjamin, motiva “il ritorno del flâneur” nella Berlino degli anni Venti. La nuova tendenza alla “biografia come forma d’arte” che Kracauer ravvisa in questo periodo può essere dunque rintracciata nella letteratura della flânerie. Puntando la loro attenzione sulla concreta esperienza di un “sé” consapevole, in un tempo nel quale “nel più recente passato le persone sono state costrette a esprimere troppo persistentemente tutta la propria insignificanza – tanto quanto quella degli altri” sia la flânerie che la biografia sono sembrate perciò offrire alla soggettività concreta il suo estremo rifugio.
Pertanto la letteratura del flâneur può essere intesa come una “autobiografia frammentaria priva di ordine cronologico” [nonchronological and fragmentary autobiography] dell’esperienza sensibile dei propri autori.
Concordemente al saggio di Kracauer sulla vita weimariana, la letteratura della flânerie emergeva da un’esperienza di vacuità e alienazione individuali e collettive, da un’esperienza della nullità [Nichtigkeit] dell’individuo. Insieme alla rassegnazione procurata dalla prima guerra mondiale, alla confusione di una rivoluzione tedesca, e all’incertezza che serpeggiava nei primi anni della democrazia di Weimar, questo filone letterario riflette pure in modalità visive l’insicurezza generata dalle innovazioni tecniche e dalla rivolta, eventi che aiutarono ad accrescere il numero di immagini liberamente accessibili nella sfera pubblica e nello spazio esterno della metropoli del tempo di Weimar. Come suggerisce Simmel nella sua ‘sociologia dei sensi’, questo incremento quantitativo si sollecitazioni esterne è legato a uno slittamento qualitativo e a una destabilizzazione di ruoli interni. Questi mutamenti coincidono con l’incapacità della psiche a opporre resistenza mentre viene influenzata dalle incursioni e dalle profferte della tecnologia, sviluppi che possono essere seguiti molto più da vicino a Berlino, la quale, come capitale ‘meccanizzata’, forse meglio esemplifica una metropoli la cui esistenza si svolge simultaneamente al processo moderno di evoluzione tecnologica. Questa meccanizzazione prende crescentemente possesso di tutti gli aspetti di vita berlinesi, producendo uguali effetti nel modo di comportarsi sul lavoro e nel tempo libero. Berlino si trasforma in “città dalla più accentuata cultura di colletti-bianchi” come risulta dall’analisi di Kracauer. Dal momento che il lavoro diviene “sempre più settoriale”, le forme del divertimento nella società berlinese sono pertanto soggette a cambiamenti. […] La tensione (Anspannung) che seziona uomini e donne in funzionali gruppi muscolari può essere allentata soltanto per via di una cultura dell’intrattenimento egualmente frammentata, ossia, per dirla con Kracauer, una cultura della “distrazione” [distraction].
Kracauer intende la distrazione come una costante della vita moderna, un equivalente delle condizioni lavorative dettate dalla cultura impiegatizia weimariana che implica il prendere in esame una molteplicità di stimoli in costante cambiamento. La routine dell’ufficio riflette ora le azioni di un’intera società in movimento: proprio nel modo in cui “la procedura burocratica presiede a un viaggio… attraverso le carte” […] così pure andare a passeggio per le strade diviene una “consuetudine” e dopo la chiusura degli uffici, inizia un viaggio altrettanto confuso “tra gli allestimenti delle vetrine, altri impiegati e giornali”. L’ultima meta di questi viaggi indirizzati alla dissoluzione rappresenta spessissimo la loro continuazione nel mondo codificato di immagini, vale a dire, il cinema. In accordo con gli automatismi della tecnologia e con i suoi ormai frammentati ambiti di lavoro attentamente regolati, l’incremento puramente quantitativo di popolazione cittadina scompone l’immagine della città in un tipo nuovo di confusione che non è del tutto esterna. Come spiega Kracauer “non può essere trascurato il fatto che Berlino conta quattro milioni di abitanti”. La vorticosa necessità della loro circolazione trasforma la vita della strada nell’ineluttabile [unentrinnbare] strada della vita, facendo sorgere configurazioni che pervadono anche lo spazio domestico [bis in die vier Wände dringen]. La strada – sia l’una che ha vita sia l’altra che è vita – diviene metafora centrale del sentire per la dimensione pubblica weimariana. La sua tendenza allo “sviluppo del puro esterno” è accresciuta sia dalle forme frammentarie della dis-trazione sia dal rapido proliferare di stimoli nella moderna cultura di Weimar, quanto da una disposizione interiore in cui tutti i nuovi media della cosiddetta ‘confusione’ trovano corrispondenza:

«Si è banditi dalla propria vacuità verso una pubblicità estranea. Un corpo mette radici nell’asfalto e, insieme alle luminose rivelazioni dell’illuminazione, uno spirito, che non è diverso dal suo proprio – va errando incessantemente fuori dalla notte e nella notte… I manifesti fanno incursione nello spazio vuoto… si trascinano di fronte allo schermo [Leinwand], tanto arido quanto un palazzo sgomberato. E una volta che le immagini iniziano ad affiorare una dopo l’altra, nient’altro resta nel mondo della loro evanescenza. Si dimentica se stessi nell’atto di guardare, e il grande buco nero è animato dall’impressione [Schein] di una vita che non appartiene a nessuno ed esaurisce tutti».

Kracauer definisce questo vuoto interiore “noia”, un vacuum che fa spazio a uno schermo interno su cui proiettare una molteplicità di immagini esteriori. Questo senso di apertura ‘bucata’ procura quindi, come Kracauer fa notare “una sorta di garanzia per cui si è, per così dire, ancora in grado di controllare la propria esistenza, di fronte a una generale tecnicizzazione della vita.

(Traduzione dall’inglese di Claudia Ciardi)

From:
The Art of Taking a Walk: Flanerie, Literature and Film in Weimar Culture
Anke Gleber, Princeton University Press, 1999




Denkbilder der Moderne:
Kracauer, Benjamin, Bloch, Adorno


Denkbilder sind Figuren einer "anschaulichen Erkenntnis", die poetische Gestalt und reflexiven Gehalt literarischer Texte miteinander vermittelt. Bei Walter Benjamin und anderen Autoren im Umfeld der Frankfurter Schule bezeichnet das Konzept die Poetik modernistischer Miniaturen, die Erfahrungen in/mit der urbanen Massengesellschaft literarisch ausgestalten und kritisch reflektieren. Ausgehend von scheinbar marginalen Gegenständen und Alltagsphänomenen wie Achterbahnen oder Leuchtreklamen werfen die Texte zeitdiagnostische Blicke auf die gesellschaftliche Moderne – und entziehen sich zugleich in ihrer Komplexität jeder vereindeutigenden Lektüre. Im Seminar lesen wir literarische Denkbilder von Siegfried Kracauer (Straßen in Berlin und anderswo), Walter Benjamin (Einbahnstraße), Ernst Bloch (Spuren) und Theodor W. Adorno (Minima Moralia). Dabei geht es zunächst um die rhetorisch-poetische Textur dieser Miniaturen sowie um deren wiederkehrende Denkfiguren (Flanerie/Straßenrausch, Raumkrise/Exterritorialität, Eingedenken/Vergessen, Utopie/Melancholie, Lesbarkeit/Rätselcharakter u.a.), die wir in einem Verfahren des close reading herausarbeiten wollen. Darüber hinaus werden wir diese literarischen Texte exemplarisch auf einflussreiche theoretische Arbeiten der Autoren beziehen – Benjamins Passagen-Werk, Kracauers Ornament der Masse, Blochs Geist der Utopie und Adornos Ästhetische Theorie. Mit dieser vergleichenden Gegenüberstellung wollen wir versuchen, Schnittstellen und Differenzen zwischen literarischer Praxis und philosophisch-ästhetischer Kulturtheorie sowie zwischen den verschiedenen Poetiken des Denkbildes in den Blick zu bekommen.

Fonte: Peter Szondi Institut (FU)
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Was ist ein Flaneur? 
Der Typus des Flaneur in der Literatur wird von seinem früheren Ebenbild, dem Wanderer, abgeleitet, der die Natur durchstreifte und, an dem, was er dort beobachtete, seinen Gedanken und Gefühle artikulierte. Diese Tradition geht auf die germanischen Saga zurück, wobei sich niemals zur Ruhe zu setzen auch den Wandermönchen der Frühzeit als "Gottes Weg"galt. Auch im Deutschland des 17. Jahrhunderts scheint das Motiv der Lebenswanderung vielfach auf, wobei der Spaziergänger auf der ewigen Suche nach dem Weg in die eigene Existenz erscheint.
D
en Eingang in die Literatur fand er schließlich mit Edgar Allan Poes Erzählung "The man of the crowd" von 1838. Der Flaneur wird traditionell als männliches Wesen beschrieben, das als gut situierte Person mit bürgerlicher Kleidung und entweder dem Bürgertum aber auch oft dem Adel angehörig anonym, mit Vorliebe durch die Großstädte geht und schweigend beobachtet. Die Figur des Flaneurs ist aber von Anfang an weniger als reale Existenz denn als Manifestation einer Idee zu betrachten.

Claudia Taller 
Fonte/ Quelle: http://www.claudia-taller.at/flaneur-literatur.shtml




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As a member of the crowd that populates the streets, the flâneur participates physically in the text that he observes while performing a transient and aloof autonomy with a "cool but curious eye" that studies the constantly changing spectacle that parades before him (Rignall 112). As an observer, the flâneur exists as both "active and intellectual" (Burton 1). As a literary device, one may understand him as a narrator who is fluent in the hieroglyphic vocabulary of visual culture. When he assumes the form of narrator, he plays both protagonist and audience--like a commentator who stands outside of the action, of whom only the reader is aware, "float[ing] freely in the present tense" (Mellencamp 60).  The flâneur has no specific relationship with any individual, yet he establishes a temporary, yet deeply empathetic and intimate relationship with all that he sees--an intimacy bordering on the conjugal--writing a bit of himself into the margins of the text in which he is immersed, a text devised by selective disjunction. Walter Benjamin posits in his description of the flâneur that "Empathy is the nature of the intoxication to which the flâneur abandons himself in the crowd. He . . . enjoys the incomparable privilege of being himself and someone else as he sees fit. Like a roving soul in search of a body, he enters another person whenever he wishes" (Baudelaire 55). In this way the flâneur parasite, dragging the crowd for intellectual food--or material for his latest novel (Ponikwer 139-140). In so doing, he wanders through a wonderland of his own construction, imposing himself upon a shop window here, a vagrant here, and an advertisement here. He flows like thought through his physical surroundings, walking in a meditative trance, (Lopate 88), gazing into the passing scene as others have gazed into campfires, yet "remain[ing] alert and vigilant" all the while (Missac 61). The flâneur is the link between routine perambulation, in which a person is only half-awake, making his way from point A to point B, and the moments of chiasmic epiphany that one reads of in Wordsworth or Joyce. Like Poe’s narrators, he is acutely aware, a potent intellectual force of keen observation--a detective without a lead. If he were cast a character in the "drama of the world," he would be its consciousness.

Source:




Links:


Flaneur Society

Walter Benjamin – Bibliographie

Kracauer - Fragments. Cityscapes. Modernity

See also:

Paolo Zignani e Claudia Ciardi, I dilemmi della traduzione, «Quaderni corsari», giugno 2013

Grottesca di Claudia Ciardi su «Mumble»

Pagina facebook: Walter Benjamin – Liberami dal tempo - Enthebe mich der Zeit

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