«Bisogna
affondare dentro il buio radici ben nere». Così Cesare Pavese sembra scrivere
qui l’epigrafe perfetta di un territorio. In un anno tanto significativo per le
Langhe e per gli intrecci culturali che nel tempo, con una contiguità mai sopita,
vi si sono espressi, si sentono scorrere in queste parole tutti gli accenti
cristallini e tetri, uniti in una mistica contrastata di spossante bellezza,
di cui la provincia è intrisa. Dunque, anche la sua architettura, e ancor più quella
che possiamo considerare l’architettura per eccellenza, tra eclettismo e
tensioni contrarie, esorbitante e rigorosa, di Giovanni Battista
Schellino. In occasione del bicentenario della nascita del grande progettista
che seppe cucire nel proprio modus operandi presenze locali e, per dirla con
Roberto Gabetti, «emergenze latenti» che guardavano ben al di là di quei
confini, tre mostre fotografiche celebrano il suo estro creativo. Un racconto
per immagini che è anche lo specchio di un lungo e proficuo percorso di studi
che ha visto avvicendarsi due generazioni di architetti e storici del paesaggio
a confronto con le tematiche schelliniane, gli interrogativi e le sfide ivi racchiuse.
A
partire dal saggio apripista di Andreina Griseri e Roberto Gabetti, pubblicato da Einaudi nel 1973, che consacrò ufficialmente il geometra doglianese tra i grandi architetti
degli ultimi due secoli, per giungere agli itinerari del Cuneo gotico di
Lorenzo Mamino e Daniele Regis (2016), che a quel testo memorabile si ispirano,
collocando il tratto ingegnoso e vien da dire irrisolto di Schellino in uno sfondo sentimentale di
richiami che va dai beni faro alle architetture “minime” disseminate nelle
campagne. Schellino fu architetto di provincia ma non provinciale, che da
autodidatta inquieto alla perenne ricerca di una cadenza, di un passo da armonizzare
all’ossatura del territorio col quale si confrontava, la collina, s’inventò una
sintassi del tutto peculiare, irriducibile a qualsiasi schema o interpretazione
definitiva. Avanzava nei suoi lavori secondo una misura proteiforme, adattandoli,
perfino flettendoli di volta in volta agli ingombri, ai limiti segnati dalla
tradizione. Eppure quasi sempre aggirando gli ostacoli, con soluzioni innovative, per
certi versi inaspettate, quando non addirittura spiazzanti. Tornando alle
pagine di Griseri-Gabetti vi si trova pienamente rappresentata questa inventiva
sfuggente, colma di tensioni e richiami: «Schellino non ci diede oggetti
chiari, conclusi, eleganti, ma contro ogni definizione dell’architettura, vere
architetture, oggetti ricchi di contrasti e di spunti, nelle connessioni, negli
indirizzi progettuali».
In questa chiave si sono allestite le tre mostre attualmente in corso a
Dogliani con la curatela di Daniele Regis. Prendendo le mosse proprio da Ugo
Mulas e delle appendici gabettiane dialoganti con alcuni dei prospetti di
Schellino, incrociando gli Incanti
ordinari di Lorenzo Mamino e Michele Pellegrino (1984), sulle tracce degli
ambienti dimessi della periferia rurale
monregalese, per approdare alla campagna fotografica del 1997-’98, ricordata da
Carla Bartolozzi nel suo puntuale intervento di apertura della seconda sessione
al convegno internazionale di Schellino dello scorso 1° dicembre. Quella
campagna confluì nel volume di Daniele Regis, Giovanni Battista Schellino a
Dogliani, edito da Celid nel 2006, introdotto dalla stessa Bartolozzi che così
scriveva: «Una ricerca personale per aggiungere ancora una possibile
interpretazione dell’architettura di Schellino, con la capacità nuova di far
emergere con grande efficacia i due registri formali sui quali amava
confrontarsi lo stesso Schellino: un’architettura fortemente ispirata alla
tradizione gotica popolare ed una rivisitazione di temi classici».
L’attuale
esposizione presso il Ritiro della Sacra Famiglia di Dogliani, a ingresso
libero fino al 5 gennaio, è stata concepita in quest’ottica. Le passate retrospettive di Mulas e Gabetti ruotano attorno al nucleo centrale delle riproduzioni tratte dall’Atlante del Cuneo gotico, a cura di Daniele Regis, già segnalato
per questi scatti su diversi numeri della rivista americana «Black and White». Il visitatore viene idealmente scortato all’interno della cappella neogotica, lo stesso ambiente dove si
è dato inizio ai lavori della giornata internazionale di studi con la lectio
magistralis di Andrew Graham-Dixon. Qui il percorso culmina nelle sei tavole di
grande formato (150x120 cm) da negativi 10x12cm agli alogenuri d’argento virate
seppia tra le superfici delle paraste della chiesa in una iconografia di gusto
ottocentesco. A confronto (in senso letterale, fronteggiandosi) le declinazioni
neoclassiche e neogotiche delle opere di Giovanni Battista Schellino: colonne, guglie
e pinnacoli.
Queste
tre mostre accompagnano l’esito delle rinnovate ricerche sull’opera del grande
architetto delle Langhe, in virtù della documentazione d’archivio arricchita
attraverso la recente preziosa donazione di Elisabetta Gabetti, consentendoci
di abbracciare visivamente il passato degli studi su Schellino e di aprire ulteriori vie.
La copertina del Neo-Gothic Cuneo, versione inglese del Cuneo gotico, edita quest'anno con prefazione di Andrew Graham-Dixon. Il volume è stato oggetto di presentazione al Convegno Internazionale di Dogliani il 1° dicembre. La giornata di studi è stata anche l'occasione per il lancio del progetto di un Centro Studi Internazionale sul Neogotico presso il Ritiro della Sacra Famiglia.
Una delle sei tavole di Daniele Regis in mostra. Qui lo Schellino "neoclassico" della parrocchiale dei Santi Quirico e Paolo.
Ugo Mulas. Una delle tavole dell'Atlante (Griseri-Gabetti, Einaudi, 1973).
Il Ritiro della Sacra Famiglia in alto sulla collina e la Parrocchiale dei Santi Quirico e Paolo in basso. Idealmente sono qui racchiuse tutte le coordinate dell'immaginario schelliniano.
1° dicembre 2018 - 5 gennaio 2019. A cura di Daniele Regis, presso il Ritiro della Sacra Famiglia di Dogliani.
Nessun commento:
Posta un commento