(Milano, 2014)
Uno
sguardo sul mito e sulle sue interpretazioni. Questo studio dedicato alla
Gorgone da Angelo Tonelli, fine classicista e interprete notevole della
religiosità greca, il cui interesse particolare è riservato ai culti misterici,
coniuga chiarezza divulgativa e terapia analitica, con cenni ai fondamenti
freudiani, al metodo junghiano, al buddhismo.
Porfirio
definisce bene la natura della Medusa pietrificante, la più nota delle tre
Gorgoni. Si tratta di un fantasma in cui non v’è traccia alcuna dei sensi. Se
Medusa si manifesta ai dannati come terrore, panico che afferra questi spiriti
negletti, può tuttavia, nel corso della vita dell’uomo, prendere altre forme. È
il pericolo insito in qualsiasi attività psichica svincolata dalla riflessione,
quindi conseguentemente insensata. E aver dunque a che fare con le false
rivelazioni. Questo mostro, senza ossa né carne, è come Proteo che assume tutti
gli aspetti e non ne ritiene alcuno. Ma la Gorgone è anche l’unica delle tre
figlie di Forco ad essere mortale, a condividere dunque nella mortalità il
destino degli umani; cioè dà la morte, pietrificando, ma può a sua volta
soccombere. Ed è materna, diviene madre proprio nella morte. È forse la più
liminale, incerta, conturbante fra le creature demoniache della mitologia
ellenica.
E
troneggia in mezzo alle presenze infernali dalla letteratura antica a quella
moderna, che a simili immaginari attinge. Una popolarità che va di pari passo
nei testi scritti e nelle arti figurative. Si pensi alla nèkyia (XI
dell’Odissea) ossia l’esorcismo magico, di natura orfica, che permette a
Ulisse d’incontrare le anime dei morti: «Mi sentii verde d’orrore al pensiero che
dall’abisso dell’Ade la nobile [luminosa] Persefone potesse inviarci la testa
di Gorgo, mostro terribile». (XI, 634) Così nella Commedia, ai piedi
della città di Dite, lo spauracchio della Gorgone viene agitato davanti al
poeta, che rischierebbe di non uscire più dagli inferi: «Volgiti ’ndietro, e
tien lo viso chiuso; // ché se ’l Gorgón si mostra, e tu ’l vedessi, // nulla
sarebbe di tornar mai suso». (Inferno, IX, 55-58). Virgilio ammonisce Dante
a proteggersi per non incrociare lo sguardo che potrebbe immobilizzarlo per
sempre. Il volgersi indietro è per non offrire il viso alla Gorgone ma anche un
fissare il punto “opposto” in modo da scongiurare il manifestarsi dei demoni;
ciò secondo un’interpretazione che si rifà all’ermetismo. Se ci si vuole
liberare, uscire dall’atmosfera infera che è senza stelle, se si vuole tornare
nel pieno possesso delle proprie facoltà intellettive – corrispondendo la
dannazione alla loro negazione – occorre superare la paura, e riconoscendo la
sua insidia affrontarla. E poco prima, con espressione coloristica, le
Furie-Erinni, in preda al furore, si appellano proprio alla potenza della
Gorgone: «Vegna Medusa: sì ‘l farem di smalto» (IX, 52) – Venga Medusa così
lo trasformeremo in pietra – e il pensiero va anche al modo di dire
“restare di sasso” (impietrire perché colpiti da meraviglia, stupore; in
francese il verbo méduser significa “sbalordire”).
Del
resto, il controllo di questo intenso turbamento che fa vacillare l’identità
acquisita e scuote il thymós – la sede delle emozioni – si configura
come una vera e propria discesa agli inferi della psiche individuale. La paura
è una delle esperienze fondamentali dell’essere umano ed è solita manifestarsi
con più forza nei momenti di trasformazione, segnando il passaggio a una nuova
fase della propria esistenza, uno snodo che implica crescita e mutamento nella
propria interiorità. Scrive a questo proposito l’autore: «La paura è una realtà
della psiche, fin dalla nascita, e anzi, proprio già nell’atto stesso del
nascere, in quel passaggio straziato dal regno delle acque e delle oscurità
materne alla luce e all’aria, che trafigge i polmoni e fa piangere il nuovo
nato.
Ma
la paura è presente anche nel fragile ego del neonato, come dice Melanie
Klein, quando si rapporta al seno materno, ora buono, quando fornisce alla
prima richiesta il nutrimento necessario per sopravvivere, ora cattivo, quando
non risponde immediatamente alla domanda del lattante, e lo fa temere per la
propria sopravvivenza».
Dunque,
un sentimento ancestrale, atavico, che attiene ai primi istinti dell’essere.
Nucleo di sconvolgente emotività ispiratore di pratiche catartiche, anche
queste radicate nei primordi. Dallo sciamanesimo delle Baccanti alle danze
coribantiche fino alla pizzica tarantata nel sud Italia – memorabile al
riguardo lo studio di Ernesto De Martino, che ha vergato pagine importantissime
sui meccanismi di questa trance collettiva preparata da balli, canti, esercizi
di allentamento delle difese dell’ego. Lo strumento fondamentale per aver
ragione di Medusa è lo specchio; il mito invita a guardare in faccia questa
creatura solo di riflesso, cosicché non possa nuocere. In senso allegorico, il
riflesso è riflessione e lo specchio è specchio della mente. Nell’opera mentale
di mediazione e catarsi del senso di paura rientrano la filosofia, la
psicoanalisi l’arte, che hanno la caratteristica di istituire una mediazione,
cioè interpretare e creare. Nello specchio della mente riflessiva la paura
genera le arti.
La
nostra civiltà tecnorazionalistica ha rimosso gli strumenti cultuali e rituali
per onorare e placare le divinità ctonie (i demoni, gli incubi) che popolano la
notte – una notte, lo si è detto, che coincide con il nostro inconscio. Le
Erinni, le Chere, le Gorgoni vogliono essere contemplate e, quindi, esorcizzate
per liberare il loro potere propiziatorio, affinché la negatività, l’incerto,
lo sconosciuto trovino un’integrazione armonica negli aspetti positivi, normalizzatori,
della vita. E tuttavia tale processo mostra che non si danno norma e normalità
– parametri della psiche collettiva e delle istituzioni sociali – non si
raggiunge alcun equilibrio – concetto che attiene al senso individuale e che si
regge su una palìntonos armonia, “un’armonia di tensioni contrarie” –
senza attraversare gli spazi all’apparenza inaccessibili e incontrollabili che
siamo chiamati a interpretare.
(Di Claudia Ciardi)
Edizione
commentata:
Angelo Tonelli, Guardare negli occhi la Gorgone. Piccolo vademecum per attraversare le paure, Collana “Lo specchio di Dioniso”, Agorà & Co., 2016
Arnold Böcklin, Medusa, 1878
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