8 gennaio 2018

W. B. Yeats - I cigni selvatici a Coole




Un ragazzino timido e ritenuto quasi dislessico, che non aveva nessuna inclinazione per la scuola e a nove anni non sapeva ancora leggere. Un attaccamento fortissimo alla campagna irlandese per la quale continuava a struggersi da Londra e Dublino. Chi avrebbe scommesso che dentro questo involucro imbranato, all’apparenza privo di attitudini, aspettasse di rivelarsi il grande poeta?
Non furono le precoci esperienze nelle grandi città d’Europa a segnarne l’immaginazione ma i saltuari ritorni nella nativa Contea di Sligo. Qui crebbe in lui «un vecchio istinto di razza, come di un selvaggio» che investì la sua vita, facendogli sempre desiderare fino alle lacrime un pezzetto di terra di quei campi da stringere tra le mani.
E certo Yeats è una figura immensa che si iscrive profondamente nella storia del suo paese. La sua opera ha dato un grande contributo al ricongiungimento del popolo irlandese con la propria eredità culturale. Ne sono testimoni i numerosi scritti dedicati alle leggende, alle tradizioni contadine, alla sistemazione di un canone di autori rappresentativi della nazione, una infaticabile attività di letterato-antropologo, di cui il teatro fu espressione altrettanto cospicua e variegata.
Significativa fu a questo riguardo la collaborazione con Lady Gregory, la roccia d’Irlanda, l’amica, la confidente dalla quale Yeats approdò trentunenne in una fase di smarrimento di se stesso e, quindi, della propria arte. Un’ospitalità generosa che gli dischiuse le bellezze e la pace di Coole dove da allora in avanti, per più di trentanni, Yeats sarebbe tornato a soggiornare, recuperando la sua salute e un equilibrio mentale da tempo compromessi, trovando nuovi stimoli alla scrittura. Alla Gregory riconobbe di aver fatto di lui un vero poeta. Ciò che fino a quel momento era stata una forza latente trovò un fulcro e, crescendo in intensità, si indirizzò a una nuova ricerca.
I cigni selvatici a Coole sono dunque la sintesi di un passaggio fondamentale nel destino poetico di Yeats. La raccolta celebra l’affascinante emotività di un luogo, espressa non solo nella sua essenza geografica ma più ancora nella sua consistenza interiore, che i versi tracciano in un puro stato di grazia. “I cigni” sono una sorta di galleria aperta alle stagioni della vita, dove gli amici che se ne sono andati ricevono il loro tributo con un’intonazione melanconica e colma, nella speciale forza data alle cose dal ricordo. Questo inno sepolcrale cantato a una Demetra dal volto dipinto in bianco e nero sorprende il poeta mentre soppesa la clavicola di una lepre. E il primitivo manufatto «affinato dalla lingua dell’acqua» offre la reale visione di un mondo in difetto e la conferma all’artista di trovarsi su un confine selvaggio, ma infine veramente libero e autentico.
La poesia di Yeats ha le caratteristiche di un fluido che attraversa la vita e la morte. Non può considerarsi perciò casuale il ricorrere dell’immagine della corrente, l’inafferrabile stream che esercita un richiamo potentissimo su ogni essere e porta nel testo una sorta di memoria allegorica su cui condensa il misticismo yeatsiano.
Il poeta amalgama la materia in questo lievito primordiale e accende il fuoco che avvia il processo di trasformazione. Come la sostanza alchemica, la poesia si compone di due elementi, uno in combustione, la vita e le sue prove, e uno volatile, la luce lunare che osserva la metamorfosi del cigno sulle rive del lago, solitaria apparizione del sé.
«Sono uscito da me stesso e ho rivestito un corpo che non muore. […] Non sono più colorato, tangibile, misurabile», le parole del Corpus Hermeticum si adattano perfettamente all’opus di Yeats. Dal dolore e dalla macerazione, «vediamo il nudo camino spento e nero/ perché l’opera fu compiuta in quella vampa», e tra le ceneri si raccolgono le membra di Osiride. Yeats, mago e filosofo della natura, propizia il rinvenimento.
I nostri occhi sono colpiti dal biancore, «tra l’attrazione del plenilunio e della luna nuova», come davanti al modello di Omero, nel componimento “La doppia visione di Michael Robartes”. Noi stiamo camminando in bilico sul bordo dell’albedo, e da qui raggiungiamo «il picco di follia» quale giusta ricompensa, ossia uno sguardo chiaro e fermo su ciò che abbiamo attraversato in vita. L’opera al bianco, l’unione degli opposti nel foco che gli affina, ha finalmente dato il suo frutto di conoscenza.

(Di Claudia Ciardi - articolo del 2011)

*Alcuni dei componimenti, entrati nella “rosa” di Coole, fecero la loro prima comparsa a stampa nel 1917 sulle riviste «The Little Review» e «Poetry (Chicago)». L’edizione di I cigni selvatici a Coole risale al 1919.
Senza dubbio le caratteristiche simboliche ed evocative del cigno e del mito di Leda, oltre al legame personale con il paesaggio onirico di Coole, esercitarono sul poeta un fascino duraturo e lo spinsero a sviluppare ampiamente questi temi.

Edizione consigliata:

William Butler Yeats, I cigni selvatici a Coole, introduzione e commento di Anthony L. Johnson, traduzione di Ariodante Marianni, testo inglese a fronte, Bur, 2001 [prima edizione, 1989]


Yeats scelse a sua dimora Thoor Ballylee, una torre normanna acquistata intorno al giugno 1917. Gli arredi ordinò che venissero ricavati da un vecchio olmo della tenuta. In un poeta attento alla simbologia esoterica e alchemica la scelta di una casa-torre non passa inosservata. Nei tarocchi la torre squarciata dal fulmine rimanda al crollo delle difese, metaforicamente la distruzione delle fondamenta e delle certezze che riteniamo rassicuranti. Dall’altra parte ciò può avere anche implicazioni positive, tese al rinnovamento. Le costruzioni mentali complesse finiscono per decadere. Rompere i muri mentali se si vuole vedere oltre.



La Sibilla eritrea. Acquaforte di Giuseppe Canale (Roma, 1725 - Dresda, 1802). Collezione privata. Dal catalogo: Tarocchi dal Rinascimento a oggi, Edizioni Lo Scarabeo. In collaborazione col Museo Ettore Fico di Torino. Mostra aperta fino al 14 gennaio 2018.




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