Da
leggere e rileggere «Montagne 360» di questo mese, numero ad alta densità di
argomenti, a cominciare dalla storia dell’alpinismo d’impronta femminile. Storie di
pioniere troppo spesso dimenticate o confinate in narrazioni marginali, laddove
invece le donne hanno saputo imporsi fin dall’Ottocento come figure di rilievo,
carismatiche quanto ostinate. La forza messa in campo da queste personalità
esemplari si conta non solo per le imprese di altissimo livello compiute dagli
albori della disciplina ma ancor più nel senso della costanza adoperata per il
superamento dei pregiudizi.
Se
da una parte il mondo dell’associazionismo ha aperto piuttosto presto alle
donne, con qualche diffidenza ma anche stimolando – da annoverare in tal senso
la Società degli Alpinisti Tridentini che già dal 1872, anno della sua
costituzione, contemplava la presenza di soci donne, e il Cai, che iniziò ad
ammetterle dal 1886 – fa scalpore la fatica con cui la platea dei maschi
alpinisti le abbia accettate, quando non esplicitamente osteggiate. Riflesso
delle chiusure presenti nella società civile che ha concesso il diritto di voto alle donne,
parliamo dell’Italia, non prima del 1946: tardi è dir poco, se guardiamo a quel
lontano 1861, anno dell’unità nazionale.
Leggere
che la grande Alessandra Boarelli stava per soffiare la cima del Monviso a
Quintino Sella, è esaltante. Siamo al cospetto di una donna che a metà
Ottocento decide di scalare una montagna nel tentativo di scrivere una pagina
di storia. E che storia, se poco dopo l’unità d’Italia quella vetta, simbolo
del paese, se la fosse presa davvero. Tenendo conto, peraltro, che la stessa
regina Margherita non si faceva nessuno scrupolo a esternare la sua passione
per la montagna, portando a termine percorsi tutt’altro che scontati: per
citare l’impresa più nota, nell’estate del 1893 salì a inaugurare il rifugio
sul Monte Rosa.
A
leggere le motivazioni – ma meglio sarebbe dire i pretesti – addotti dalla
controparte maschile per tenere lontane le donne da ghiacci e canaloni verrebbe
perfino da ridere: fragilità fisiologica e psichica. Insomma il solito giudizio
ricorrente, mica solo nell’alpinismo. Se poi si pensa che questo ritornello è
stato in molti casi l’alibi secolare di segregazione, violenza domestica,
atteggiamenti autoritari e vessatori, tutto si può dire tranne che le donne non
abbiano avuto personalità, se non altro per non soccombere a tali situazioni.
Dunque,
in queste belle pagine, tante storie avvincenti e poco note. Dal ricordo
affettuoso di Bianca Di Beaco, alpinista e speleologa triestina recentemente
scomparsa, una delle prime italiane ad affrontare negli anni Cinquanta
difficoltà di VI grado da capocordata; alla testimonianza di Negin Fathinejad,
iraniana da tempo residente in Italia, iscritta all’università di Cassino e
appassionata di trekking, che ci parla delle montagne del suo paese e dei modi
in cui le donne, nel rispetto di alcuni adempimenti governativi, riescano a
praticarvi con un certo successo attività escursionistiche.
Luca
Calzolari ci richiama quindi all’importanza del turismo sostenibile per dare un
futuro certo, anche in senso economico, alle terre alte. Senza progetti che
sappiano intercettare e calibrare i flussi in base alla reale capacità
ricettiva dei territori, nel tempo si avranno ricadute negative sull’ambiente montano
e le attività locali. In un periodo di inflazione narrativa della montagna, che
rischia di essere divulgata (e venduta) alla stregua di altre mode passeggere,
è importante saperla raccontare nel rispetto delle sue caratteristiche,
sensibilizzando il visitatore ad una frequentazione corretta e consapevole.
Vengono
di nuovo proposti i suggestivi itinerari nell’Appennino centro meridionale,
stavolta entro la comunità montana del Velino, sede del Polo agroalimentare del
Parco Nazionale del Gran Sasso, e i Monti della Laga nell’amatriciano. Uno sguardo che parla anche di una lenta riappropriazione dello spazio che necessita di ampia discussione e condivisione tra residenti e costruttori. L’architetto Stefano Boeri, autore del bosco verticale sui grattacieli di Milano, ha disegnato diverse strutture per le nuove attività commerciali, tutte in elementi modulari di legno, ed è in fase di allestimento la Casa della Montagna ad Amatrice, polo per dibattiti ed eventi, finanziata dal Cai.
Ulteriore scandaglio di questi territori e delle difficoltà attraversate in seguito al terremoto, la mostra fotografica “Sequenza sismica”, che ha dato luogo lo scorso gennaio a una giornata di studi con l’incontro tra le comunità colpite, gli artisti e i soccorritori.
Ulteriore scandaglio di questi territori e delle difficoltà attraversate in seguito al terremoto, la mostra fotografica “Sequenza sismica”, che ha dato luogo lo scorso gennaio a una giornata di studi con l’incontro tra le comunità colpite, gli artisti e i soccorritori.
Infine,
il lavoro di Alessio Franconi, altra articolata ricerca per scatti in bianco e
nero sul fronte alpino orientale della Grande Guerra, anche questo all’insegna
di storia e memoria. La monografia pubblicata da Hoepli, “Si combatteva qui!”,
prendendo le mosse dall’opera di Franconi, ci accompagna dalle Alpi ai Carpazi sulle
tracce delle vicende che fra il 1914 e il 1918 travolsero i soldati asburgici e
italiani.
(Di Claudia Ciardi)
* Dagli scatti di Alessio Franconi (riproduzione di un dettaglio) - resti di trincee a Bovec (in italiano Plezzo, in tedesco Flitsch), Slovenia
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