Nicholas
Roerich è un personaggio molto particolare nel panorama artistico di fine
Ottocento. Figura di transizione in un’epoca costellata da sommovimenti di ogni
genere, la sua attività non è facilmente inquadrabile. Non foss’altro perché la
pittura, per quanto componente ricchissima e vitale in tutto l’arco della sua
esistenza, riveste solo uno dei molteplici interessi culturali cui si dedicò
con straordinaria energia. Nato a San Pietroburgo nel 1874, studente di legge
per volontà del padre, Roerich nutrì fin da giovane un’incontenibile
inclinazione per le arti figurative, tanto da frequentare in parallelo le
lezioni all’Accademia di Belle Arti, oltre ai corsi di architettura e
archeologia. Furono proprio queste due discipline a fargli intraprendere una
carriera professionale che gli consentì di raggiungere progressivamente la
piena realizzazione artistica.
Ottenuta nel 1898 una cattedra all’istituto
imperiale archeologico, alla soglia del nuovo secolo era già un elemento di
spicco nello scenario culturale pietroburghese, e non solo. Studioso dello
stato di conservazione dei monumenti russi (chiese e cremlini), teneva
conferenze e continuava a coltivare il disegno e le ricerche indirizzate al
patrimonio folklorico del suo paese – interesse antico, risalente alle lunghe estati della sua adolescenza trascorse presso la tenuta di
famiglia a Isvara. Ambito disciplinare che più o meno nello stesso periodo e in
aree geografiche diverse aveva calamitato attorno a sé alcuni dei più eclettici
ingegni operanti sul doppio fronte etnologico e letterario; tra gli italiani si
pensi a Giuseppe Tucci (1894-1984) e Maria Savi Lopez (1846-1940), singolare personalità di letterata e antropologa, autrice, tra i numerosi altri, di un ampio volume sulle
leggende alpine.
La
straordinarietà di Roerich consiste nell’aver mantenuto costantemente vive
tutte le proprie innumerevoli passioni culturali, sentendo il bisogno di non
abbandonarne nessuna ma trovando di volta in volta stimoli nuovi in grado di dare un apporto e fare da collante all’intera sua attività, dall’impegno politico a
quello antropologico. Fu innanzitutto un curioso, animato dalla volontà di
conservare memorie del passato, così da inseguire quelle vestigia ancestrali
dell’umanità nei luoghi più antichi del mondo, fin nel cuore pulsante e
sperduto dell’Asia. La sua e quella della moglie, Elena, compagna e musa
fedele, nipote del compositore Modest Mussorgskij e pronipote del generale
russo Kutuzov, è la storia di un’unione complice in tutto che li portò a
condividere viaggi, percorsi di ricerca, scoperte, e in generale armonia e
bellezza, i due pilastri fondamentali di ogni manifestazione d’arte e sapienza.
Secondo Roerich infatti: «Ogni cosa, da un atomo a una stella, da un fiore ad
un uomo, contiene in sé parti positive e negative e l’attenzione dell’uomo,
poiché l’energia segue il pensiero, chiama alla vita quelle su cui si sofferma.
Creare la bellezza ovunque, ad ogni livello e con ogni mezzo, sottolinearla e
darle valore, significa lavorare per la rigenerazione del mondo».
A
questo si ispirano anche i suoi quadri. Nel 1920 poteva già vantare un corpus
di duemilacinquecento opere, quando venne invitato a trasferirsi negli Stati
Uniti, dopo una breve parentesi da esule in Finlandia e a Londra, a seguito dei
rivolgimenti nella madrepatria – e tuttavia nelle primissime fasi della
rivoluzione venne reclutato quale presidente del Comitato di artisti creato
dallo scrittore Maksim Gorkij, tanta era la buona fama e il rispetto di cui godeva da ogni parte. Alla fine della sua esistenza si conteranno
ben settemila tele, cui vanno aggiunti milleduecento manoscritti ispirati a svariati
temi e discipline. La prima esposizione itinerante di suoi dipinti venne
prorogata per due anni di fila e gli permise d’essere conosciuto da New York a
San Francisco. Nel 1924, un anno dopo la fondazione del Roerich Museum, ottenne
i finanziamenti necessari per la grande spedizione asiatica a seguito della
quale furono rinvenuti reperti e testi antichissimi, d’inestimabile valore. Nei
lunghi e faticosi itinerari che lo portarono dapprima nella Russia del sud,
quindi in Turkmenistan e poi ancora nel Sikkim, in Tibet, Cina e Mongolia,
trovò il tempo e la concentrazione per realizzare quadri straordinari in cui
catturò quell’immortale magnetismo himalayano che è tra le manifestazioni di
poesia più compiute e preziose cui l’umanità possa attingere. Come capita
spesso quando si è di fronte a personaggi di cultura mossi da molteplici
talenti, la foga di volerne restituire un ritratto categorico e quindi statico, finisce per disperdere proprio quel che hanno di più prezioso: la
vivacità delle intelligenze che non si sono risparmiate in nessun istante della
loro vicenda terrena. Nel caso di Roerich si eccede credo nel farne un profeta
relegato a culti esoteristi di diversa natura. Fatto salvo che l’orientalismo,
con tutto ciò che comporta e perfino nei suoi risvolti maggiormente spiritisti,
è stato un settore di studi alla base della sua attività, di qui a dipingerlo come un santone
irrazionale significa semplificare e banalizzare proprio i contenuti
filosofici, religiosi, storici che hanno alimentato la sua stessa ascesa come intellettuale e pittore. E in generale perdere di vista quelle schegge di bellezza che invece
i suoi quadri, se osservati senza troppe sovrapposizioni analitiche, sanno
indiscutibilmente donare a chi li avvicina con purezza di sguardo e sentimenti,
che poi è la vera essenza perseguita e divulgata dal loro autore.
(Di
Claudia Ciardi)
Mount "M" - 1931
Mount of five treasures (Two Worlds) - 1933
St. Sergius Chapel - 1936
Messanger from Himalayas - 1940
Sunsets
Gundla
Command of the Master - 1947*
è l'anno della scomparsa di Nicholas Roerich, morto in dicembre, le sue ceneri sono state tumulate ai piedi dell'Himalaya
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