Alfiero Cappellini,
Pittura come necessità,
Via del Vento edizioni,
Collana Le Streghe,
dicembre 2012,
4,00 €
ISBN 978-88-6226-070-1
«La generazione di artisti che ha iniziato ad esprimersi in Italia nella seconda metà degli anni Venti ha dovuto fare i conti con i forti condizionamenti che la situazione politica, sociale, culturale, andava determinando dopo la felice stagione delle ‘avanguardie storiche’, futurismo e metafisica, che hanno segnato in modo indiscusso la storia dell’arte del Novecento, non solo nazionale. Gran sacerdote e propagatore, specie in Toscana, del clima di restaurazione in arte ritenuto necessario a smorzare la temperie di avanguardie, fu Ardengo Soffici che, forte della credibilità conquistata all’inizio del secolo per aver fatto conoscere in Italia la nuova pittura francese, Cézanne, Picasso, il cubismo, e dopo aver avversato il futurismo per poi abbracciarlo lui stesso, si faceva allora fautore, a partire dal 1918- ’19 del ritorno ad una figurazione d’impianto tradizionale. Questo soprattutto in opposizione alle esperienze d’avanguardia di matrice espressionista che si stavano diffondendo nel nord Europa, ritenendo lui inconciliabili e antitetiche quelle che secondo la sua semplificazione erano le due fondamentali correnti dell’arte europea: quella italiana, di matrice greco-romana e mediterranea, e la gotica, di matrice nordica».
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«Cappellini, pur avendo preso atto dell’Insegnamento di Soffici (testo che scrive su «Il Ferruccio» del 3/ 2/ 1934), di fatto inseguiva invece la sua modernità nel tentativo di rinnovare il linguaggio soprattutto nella tematica del paesaggio con una pittura d’impronta sostanzialmente espressionista, esiti a cui perverrà in forma più evidente a partire dal 1945».
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«L’espressionismo di Cappellini, così distante dal ‘realismo magico’ di Agostini e Bugiani, non è comunque approdato alle estreme conseguenze di una ricerca, che pure ha avuto esiti altri e anche molti discepoli. Tra questi il grande astrattista Fernando Melani che nel 1945, attratto dalla personalità dell’amico Alfiero, decise di dare una svolta alla sua vita dedicandosi esclusivamente all’arte: i moltissimi quadri ‘cappelliniani’ dipinti in quei pochi anni gli serviranno però solo per impadronirsi dei mezzi pittorici, poi distruggerà tutte quelle opere per incamminarsi in un sentiero completamente astratto. Le lunghe e accese discussioni tra i due sulla teoria dell’arte non li mossero dalle loro posizioni, e il tempo che mancherà al Cappellini, prima con la malattia poi per il definitivo congedo, gli impediranno, se mai ne avesse avuto la convinzione profonda, di seguire il discepolo nella strada che questi, come un monaco, risolutamente aveva già imboccato».
Fabrizio Zollo
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«Il ritratto è una poesia a rime obbligate e l’artista di genio ha sempre bisogno di andare oltre gli obblighi.
L’artista – quello vero – che arriva a creare opere di bellezza che resteranno testimonianze luminose attraverso i secoli, è un eterno tormentato. Dico eterno perché questa razza di artisti, si perpetua, rinascendo ad ogni generazione. È un eterno tormentato poiché l’ideale da raggiungere è sempre superiore a ciò che si realizza. Ad ogni opera compiuta il suo spirito resterà insoddisfatto dandogli sgomento e sofferenza; e questo fino alla sua morte o fino all’indebolimento delle sue facoltà creative».
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«Dire oggi che un lavoro di un buon artista moderno può reggere al confronto di un lavoro di un buon artista antico è per alcuni una eresia. Ciò deriva dal fatto che costoro più che guardare al valore intrinseco del lavoro, guardano l’esteriore e l’esteriore confrontano. Ma è necessario capire, ormai una volta per sempre, che l’esteriore nel senso in cui viene guardato da questi – diciamo così profani – non ha nessuna importanza. Non conta se la tecnica da statica che era è diventata mossa, se il quadro da finito e curato in tutti i particolari è diventato affrettato e vivo. Quello che conta è saper comprendere se le espressioni e le ragioni prime dell’arte son risolte nel quadro o nella statua, nella musica, nell’architettura e nella poesia. Se le ragioni prime vi sono, saranno quelle che faranno l’opera d’arte; al contrario inutile che vi sia esteriorità perfetta anche superiore a quella degli antichi maestri. Partire da un presupposto tecnico del tutto contrario da quello da cui partivano gli antichi, non impedisce a coloro che realmente sono artisti, di arrivare a conclusioni dello stesso valore».
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«…fino ad allora avevo preso conoscenza, attraverso le riproduzioni, di ciò che facevano i pittori contemporanei e per la cultura mi ero già incontrato con Nietzsche, il quale ebbe molta influenza sulla mia prima formazione artistica.
Più tardi abbandonai, non senza fatiche e patimenti, alcune altezze inebrianti raggiunte per mano al grande filosofo-poeta tedesco, per mettermi davanti a me stesso, alle mie possibilità – mi dicevo – e ciò invece mi servì ad entrare nel vivo della tradizione italiana».
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«Sebbene un sogno che sembra fosse in me fino da bimbo, ed esistesse prima che ne avessi coscienza, mi porti a pensare alla mia ambizione di fare il pittore, come ad un’azione liberatrice dello spirito, tutta inserita in un’angelica visione, la realtà è stata ben altra, e di una durezza che a ripensarla a distanza di anni, è quasi paurosa».
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«So che il resto dei miei anni li dedicherò ancora alla pittura, ed in ultima analisi, al raggiungimento di un ideale di felicità, perché ancora penso che l’arte, cioè il credere in qualcosa che va oltre i limiti della nostra conoscenza, inserendosi nell’ordine spirituale delle cose, debba essere felicità».
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«…il progredire della scienza con la disgregazione dell’atomo, coi satelliti che vanno a esplorare le zone mai viste dall’uomo. Anche tutto questo trasformarsi nella realtà ha messo l’attento artista in una condizione di crisi. Allora mi è venuto da pormi la domanda: “Nel mondo in cui si vive oggi, che fa questi enormi passi avanti, si può continuare a riflettere pittoricamente ciò che la società produce seguitando ad esprimersi attraverso la figurazione, il figurativo? Ed è venuto un momento nel quale mi sono detto “no, non è più possibile!”. Allora ho avuto un altro periodo, diverso da quello mistico-religioso. Ho fatto un altro passaggio: un passaggio alla pittura senza oggetti, alla cosiddetta ‘pittura astratta’. Però anche quando ho fatto l’astratto, quasi generalmente, l’ho fatto con motivi esatti, partendo da fatti precisi. Uno dei primi quadri astratti l’ho dipinto quando, sia russi che americani, mandarono i satelliti nella stratosfera. Allora si parlò di “pulviscolo”, dalla stratosfera si sentirono certe specie di rumori, ecc. ed il primo quadro astratto l’ho impostato su questo problema, l’ho accostato a questo mondo dove l’uomo non era mai stato».
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«Direi che coscientemente non ho voluto né insegnare, né trasformare, perché l’artista si differenzi dal politico, dal teologo, dal filosofo, proprio perché non si pone il preciso problema di voler educare in un certo senso speciale la massa degli uomini per portarli verso determinati punti. Anche nell’artista c’è questo, però non è conscio. Se questo è fatto programmaticamente, si ottiene il rovescio dello scopo».
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«In ogni artista degno di questo nome, nel suo sub-conscio, c’è questa componente evolutiva di voler portare avanti qualcosa. Avanti come? Con un lavoro di bellezza, di persuasione: portare avanti l’umanità».
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«In questo momento mi pongo davanti alla tela ed al soggetto in un estremo stato di debolezza, a causa della malattia che si diceva, e debbo fare uno sforzo tremendo per giungere a fare ciò che in condizioni normali facevo con estrema facilità. Mi pare però che pur avendo perduto parecchia della mia forza, avrei acquistato in finezza: nel senso che quello che faccio è diventato, come dire?, una specie di pittura giapponese o cinese».
Alfiero Cappellini
Nello studio del pittore - Im Malers Atelier
Ricordo di Aldo Frosini
allievo di Alfiero Cappellini
Zur Erinnerung an Aldo Frosini
Schüler von Alfiero Cappellini
"Il ritratto è una poesia a rime obbligate e l’artista di genio ha sempre bisogno di andare oltre gli obblighi."
RispondiEliminaQuesta trascendenza degli obblighi mi piace da morire.
Direi che trascendere gli obblighi è alla base dell'esercizio artistico. Dopo aver frequentato l'Accademia d'Arte, Caspar David Friedrich ripeté spesso che, per dare forma alla "propria" pittura, aveva dovuto disimparare tutto. Creare significa far affiorare qualcosa di impensato fino a quel momento e perché ciò accada bisogna mettersi, per l'appunto, in una posizione "inedita". Trovo le considerazioni di Alfiero Cappellini preziosissime per avvicinare il mondo della creazione artistica, non solo pittorica.
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