“Ciò
che accade in montagna non resta confinato alla montagna”. Il numero di
febbraio di «Montagne 360» può leggersi tutto all’insegna di questa frase.
Nucleo centrale della pubblicazione è infatti il cambiamento climatico
scandagliato nelle sue più ampie e differenti declinazioni ambientali, storiche
e antropologiche, tutte riconducibili a uno stato d’allarme affatto trascurabile
per l’ecosistema del pianeta. Le montagne, luoghi in cui i mutamenti si
registrano con maggiore impatto e velocità rispetto alla pianura, sono le
sentinelle di un drastico peggioramento degli equilibri climatici. Diversi sono
i gruppi di interesse coinvolti nel negazionismo del riscaldamento globale, principale
imputato per quanto riguarda l’arretramento dei ghiacciai, la riduzione delle precipitazioni nevose e in conseguenza delle risorse idriche. Tali gruppi negazionisti esprimono
rimostranze abbastanza generiche, e perciò dubbie, circa i lauti finanziamenti
che girerebbero all’interno delle organizzazioni deputate allo studio di questi
fenomeni. Certo, può darsi, progetti insussistenti che ricevono sostegni anche
cospicui ve ne sono in ogni disciplina, pure nelle aree di studio che vantano i
migliori propositi. Ma argomentare sempre e solo in tal senso significa che,
dall’altra parte, si vogliono difendere modelli di sviluppo destinati a
confliggere con la tutela degli ecosistemi e, dunque, orientare diversamente,
nella direzione di una maggiore incidenza sulle risorse della terra, i consumi tra
la popolazione. Alla fine tutto si riduce a una questione centrale che attiene alla
pianificazione politica ed economica delle nostre società. Differenti gruppi di
potere spingono nell’una o nell’altra direzione; si tratta di una sfida
complessa e le ricadute in termini di conflitti nei territori le abbiamo già
viste: per l’Italia si possono citare il caso della Val di Susa o i comitati
contro i petrolchimici (Basilicata, Puglia, Sicilia).
In
tutto questo, che i report ufficiali del cambiamento climatico costituiscano
ormai delle testimonianze allarmanti sul decadimento dei nostri territori è un
dato acquisito. Il Mediterraneo e l’arco alpino si candidano a essere le zone
più surriscaldate del pianeta nell’ultimo trentennio, i
ghiacciai del Plateau tibetano risultano i più colpiti dall’arretramento
mondiale con temperature “bollenti” sopra i quattromila metri, e l’Australia
negli ultimi anni è stata colpita da siccità record; notevoli i problemi
energetici in quest’area (l’utilizzo sempre più diffuso e intensivo dei condizionatori ha
causato di recente black out estesi e prolungati).
Dalla metà
dell’Ottocento, ossia da quando si è cominciato a fare delle montagne un
laboratorio scientifico, quindi considerandole anche come preziose e
infallibili stazioni climatiche, le risultanze non sono state confortanti.
Studiosi come Venance Payot e Federico Sacco, attivi tra la fine del XIX secolo
e l’inizio del XX, rispettivamente sul Monte Bianco e nelle valli valdostane,
avevano già registrato un incremento costante delle temperature invernali e la
riduzione del fronte dei ghiacciai.
Renata
Pelosini dell’Arpa Piemonte illustra in dettaglio lo sfasamento dei ritmi
stagionali in montagna, con inverni poco nevosi e precipitazioni tardive, e in
generale sbalzi termici con alternanze di picchi caldo-freddo in un ristretto lasso
temporale. Sull’emergenza incendi che ha colpito il Piemonte lo scorso ottobre,
spiega come vi siano stati strascichi molto pesanti sulla vita in città. Il
vento, trasportando in pianura i residui della combustione, ha accresciuto gli
effetti negativi del particolato inquinante già diffuso. Nel caso di Torino l’aver
puntato il dito contro l’amministrazione, come si è fatto su troppi media – addirittura
classificandola con malcelato compiacimento città più inquinata d’Europa,
centro in cui improvvisamente si sarebbe manifestata ogni negatività – denota l’imperizia
di buona parte dell’informazione nell’analizzare i problemi relativi all’ambiente
in cui viviamo. Purtroppo una serie di concause sfavorevoli, cui si sommano è
chiaro le nostre vergognose abitudini quotidiane, hanno creato il disastro. Scarsa
frequentazione dei mezzi pubblici, autoregolazione pressoché nulla nell’uso del
riscaldamento, pochi gli edifici costruiti secondo criteri ecologici e di vero risparmio
energetico sono punti da risolvere necessariamente se vogliamo migliorare la qualità
dell’ambiente urbano. E nei grandi centri abitati è evidente che l’emergenza
assume i toni dell’urgenza. Si torna quindi all’inizio: la montagna ci guarda e
non è poi così lontana.
Cade
domani la giornata del risparmio energetico, tema cruciale per ridurre in
maniera drastica l’inquinamento. Queste riflessioni pertanto integrano e
approfondiscano un dibattito che è auspicabile coinvolga un numero sempre più
ampio di cittadini consapevoli.
Ancora in questo numero il ricordo di Michele Gortani, senatore, costituente, geologo,
originario della Carnia, valido esempio di politico e ambientalista. Suo l’unico
importante riferimento nella carta costituzionale alla tutela delle terre alte
(secondo coma dell’articolo 44): «La legge dispone provvedimenti a favore delle
zone montane». Un monito che è necessario accompagni ogni amministratore nelle
futura progettualità a difesa del territorio, specialmente nelle zone più
fragili e marginali.
Continua
infine l’aggiornamento escursionistico sui Monti Sibillini, alla scoperta di paesaggi
mozzafiato cui il terremoto non è riuscito a rubare incanto e bellezza. Il Club
Alpino italiano auspica e incentiva in questi luoghi un turismo lento e
solidale, con il proposito di aiutare le economie locali del centro-sud a ripartire.
(Di
Claudia Ciardi)
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