Bjorn Berge, architetto originario della Norvegia dov’è nato nel ’54, affianca alla sua attività di progettista impegnato nella ricerca di materiali ecologici al servizio dell’abitare, quella di divulgatore. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni, anche se questo volume dedicato alle Terre scomparse è senz’altro la sua opera di maggior richiamo, almeno quella che lo ha portato alla piena notorietà. Pubblicato nel 2016 e tradotto in italiano nel corso del 2017 questo libro si apprezza sia per la peculiarità dell’argomento affrontato – una sorta di caccia al tesoro tra geografie dissolte – sia perché in grado di esercitare sul lettore molteplici suggestioni. Dai vecchi atlanti che ognuno di noi ha sfogliato nella sua infanzia, fantasticando sulle mappe di paesi lontani e mandando a mente il disegno delle bandiere nazionali, a certi almanacchi che cumulano fatti salienti e altre curiosità con la destrezza di chi sa catturare l’attenzione altrui. Direi che la versione italiana riesce a trasmettere al meglio ognuno di questi sapori, anche grazie al bel lavoro grafico che contribuisce all’aspetto da portolano un po’ vintage del libro.
Coniugando
ricerca storica, antropologica e, per ovvia filìa col suo mestiere, precise
ricognizioni architettoniche dei luoghi descritti, ma meglio sarebbe dire
evocati in quanto non più esistenti sul piano politico, Berge ci
conduce in un insolito viaggio intorno al mondo. In apparenza
frammenti di paradisi perduti eppure fin troppo spesso incubi coloniali, materializzazione
di ogni disagio, fra affaristi rapaci, autorità spregiudicate, colonie penali,
sfruttamento della manodopera e progetti fallimentari, si materializza un carosello
umano bizzarro e in non pochi casi assai deprimente.
È
la grande carovana dell’eterno sogno di conquista, della ricchezza fantasticata
in terre lontane abbellite di esotismo e di ogni benessere, l’allegoria
dell’evasione, l’utopia di dar vita a regni affrancati da oppressione e altre
forme d’ingerenze. Ma, diceva Tucidide, «gli uomini son quello che sono» per
cui non sorprende che le cronache di Berge deviino molto spesso nel racconto
delle clamorose cadute di coloro che in tali avventure si sono buttati.
Amministrazioni
che restano abbarbicate su isole semideserte, guarnigioni sguarnite, operai
decimati dalla malaria, e poi ancora gli intrecci tra spionaggio,
sperimentazioni atomiche e batteriologiche, la sistematica rapina delle risorse
minerarie di un territorio o la sua investitura quale avamposto per il
contrabbando e altri traffici giocati sul sottilissimo filo di legalità e
illegalità. In una parola, vanno in
scena i tanti volti della guerra, perché in queste vicende sono i conflitti
ad alimentare ogni mossa dei suoi protagonisti. Laddove le trattative non funzionano
più o qualcosa inizia ad andare storto nei piani di guadagno degli impresari di
turno, la regressione è immediata. Armi, violenza, pulizia etnica sono atti
ricorrenti in queste frontiere sperdute, e anzi il fatto che si tratti per lo
più di insediamenti raggiungibili con difficoltà se non quasi nascosti agli
occhi del resto del mondo ha avallato pratiche disinvolte e incoraggiato
crimini inconfessabili.
Uno
scambio Germania-Inghilterra con i tedeschi che cedono Zanzibar e gli inglesi
che lasciano ai prussiani Heligoland, D’Annunzio che vuole fare di Fiume una
sorta di città del sole sorretta dai suoi miti di estetica, poesia, ed eroismo,
un sultanato che in barba ai precetti islamici stampa francobolli in cui sono
ritratte le ballerine di Degas, giovani nazionalisti che inviano vibranti
lettere ai politici di turno raccogliendone puntualmente indifferenza e
scherno, temibili criminali di guerra che ottengono vergognosi salvacondotti. È
la grande Odissea della varia umanità, scritta su momentanee fantasticherie che finiscono
quasi sempre per esaurirsi nelle peggiori bassezze o in aperte perversioni.
L’Italia
è presente in ben quattro episodi, dal Regno delle due Sicilie, con cui si apre
il volume, alla Reggenza del Carnaro (la citata impresa di Fiume), dalla
dimenticata Saseno al Territorio libero di Trieste. Quattro chiavi di lettura
che molto raccontano delle turbolenze attraversate dal continente europeo e
delle altrettanto durevoli tensioni mediteranee.
Lo
studio di Berge si arricchisce, e acquista originalità, anche in virtù della
sua eccentrica collezione di francobolli provenienti dalle aree perdute di cui
parla. Una storia nella storia, non necessariamente indirizzata agli
appassionati di filatelia né a collezionisti incalliti, ma proposta quale archivio
di memorie che per tale via rivendica un’esistenza plastica e forse in questo
modo più credibile.
(Di
Claudia Ciardi)
Edizione consultata:
Bjorn Berge, Terre scomparse (1840-1970),
traduzione di Alessandro Storti,
Ponte alle Grazie, 2017
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