Che
buona parte delle proposte artistiche contemporanee si sia indirizzata a una
rimessa in discussione formale, e in larga parte iperconcettuale, delle
avanguardie storiche è un dato acquisito. Mi torna in mente una mostra poco
pubblicizzata di qualche anno fa a Palazzo Sozzifanti (Pistoia), assai
esemplificativa per questi temi, in cui vennero esposte alcune tra le opere
di maggiore richiamo nell’ambito della piccola scultura da Fortunato Depero a Beverly
Pepper, una carrellata densissima tra avanguardia e postavanguardia. Ricordo con
chiarezza la sensazione di una ripetitività, che rasentava il fastidio, il tono
autoreferenziale di un esercizio volutamente ostentato, non appena usciti dagli
spazi delle avanguardie storiche, con un picco nelle espressioni prodotte tra i
Settanta e gli Ottanta. Messaggio: è già stato detto tutto, non resta che la
citazione della citazione. Da dopo la metà del Novecento s’impone una sorta di
logaritmo dell’arte in base astratta, capace di dare risultati simili se non
uguali. Ora, la mia suona forse come una semplificazione eccessiva, ma credo
non sia esagerato ravvisare in molte di queste opere una pratica fine a se
stessa, lontana se non antitetica alle istanze di rottura delle prime
avanguardie.
Discorso
ad ampio raggio che coinvolge non solo le arti plastiche ma latamente ogni
manifestazione creativa, e in particolare la letteratura, con cui l’avanguardia
pittorica del primo Novecento ha stretto un dialogo serrato, tra
contaminazioni, prese di distanza e ricongiungimenti. Si consideri, ad esempio,
l’espressionismo, nato in pittura e quindi approdato alla poesia. Quando nelle
sue proposte letterarie può dirsi già esaurito – più o meno intorno al 1920 – persiste
la sua vitalità artistica, almeno per un altro quinquennio, sebbene anche qui con
evidente esaurimento della sua carica iniziale.
Dagli
anni Quaranta ha inizio quel processo di invecchiamento dell’avanguardia
innescato dal capillare afflusso della cultura americana nell’Europa uscita
dalla seconda guerra mondiale. Dal vecchio continente la modernità si
trasferisce oltreoceano e diviene postmodernità, oggetto di studio, materia
d’archivio sviscerata dalla critica, voce addomesticata a cui torna a guardare
proprio quella borghesia elitaria, scossa un ventennio prima dall’irruzione dei suoi figli più indisciplinati e geniali sul palcoscenico delle arti. Scrive Alfonso Berardinelli nel saggio Poesia non poesia, dedicato agli
sconfinamenti e alle declinazioni del moderno: «La continuità si era
interrotta. Non si poteva credere di continuare esperienze primo-novecentesche.
Sarebbero state comunque trapiantate e
riusate accademicamente, in un contesto ormai mutato nel quale il “pubblico
borghese” classico, scandalizzato e oltraggiato dalle avanguardie storiche, era
stato addestrato dalla critica e si era
trasformato nel pubblico neoborghese
avanzato e consenziente che considerava la trasgressione avanguardistica come
il primo comandamento culturale. L’avanguardia si insegnava nelle accademie. E
questo ha determinato negli anni Sessanta la nascita di quella postmodernità
matura che trasferiva lo shock
moderno in un aldilà pacificato». Dunque, si è ripetutamente spacciato per
contestazione ciò che in realtà nasceva in seno al mare tranquillitatis di élites politicamente e culturalmente
promosse dal sistema; e questo spiega anche perché molte delle opere scaturite
in tale contesto non hanno aggiunto nulla al nostro senso critico né hanno saputo
spingere verso una qualche forma di rinnovamento. Una promessa mancata – e non
poteva essere altrimenti – in quanto stravolta all’origine dalla sua
filiazione: il nuovo conservatorismo politico non poteva produrre un’arte
nuova.
In
tutto ciò il figurativo è rimasto un mondo a parte, un cenacolo di pochi e per
altrettanti nostalgici, confinato in una sorta di limbo delle arti e tacciato di
mancanza di originalità.
Il
curatore di Le nuove frontiere della
pittura, allestita alla Fondazione Stelline (Milano), Demetrio
Paparoni, nella sua articolata presentazione della mostra insiste su un doppio
binario politico, analizzando la rinascita figurativa da un lato come una
risposta culturale alta allo spaesamento globale, che ha sovvertito l’idea
tradizionale di spazio-tempo, perlomeno così com’era veicolata in occidente.
Dall’altro isolandone l’autentico gesto di ribellione alle chiusure critiche, dettate
da una contrapposizione ideologica esasperata perdurante fino a prima della
caduta del muro di Berlino. La postavanguardia a rilettura americana implicava
un accantonamento del figurativo quale puro esercizio ornamentale svincolato
dagli orientamenti di potere. «In sostanza, quella parte della critica ideologizzata
attiva sulla scena degli anni Settanta e Ottanta», scrive Demetrio Paparoni,
«ha fatto muro contro la pittura figurativa perché convinta che cambiare la struttura del linguaggio equivalesse a portare avanti una sorta di rivoluzione
politica».
E
su tale fronte è di estremo interesse osservare come negli stessi Stati Uniti
non sia venuta meno una corrente figurativa che nell’ultimo trentennio ha
mantenuto un suo vitalismo, ancora una volta influenzando ex contrario le tendenze dell’arte, stavolta in concomitanza con
esiti similari in altre parti del mondo, soprattutto asiatico. Inka Essenhigh,
Dana Schutz e gli italiani Alessandro Pessoli e Nicola Verlato, americani
d’adozione, nomi che non a caso trovano spazio nella rassegna milanese, sono
esempi di quello che potremmo definire un antiavanguardismo militante.
L’intreccio
con la grafica e la fotografia nella trentina di tele in grande formato esposte
al Palazzo delle Stelline è palese. Nel caso degli artisti del sud-est asiatico
(sono esposti Li Songsong, Liu Xiandong, Nguyen Thai Tuan, Natee Utarit, Wang
Guangyi, Yue Minjun, Zhang Huan) si aggiunga la riflessione del fatto storico –
il recente passato coloniale, la guerra – riletto e calato nell’attualità
attraverso volute distonie, quando non si tratta di aperti contrasti tesi a
generare stalli e interruzioni nel fatto narrato. Tutto è compenetrante e vivo
ma anche sfuggente, sempre ai limiti dell’incomprensione: giocare a sovrapporre
memorie e immaginazione, momenti del reale e dell’irreale, sogni e storia è un
modo comune per ammonirci sulle sirene del nostro tempo. Ma anche per lasciarci
la massima libertà di movimento nel percorrere le nuove coordinate disegnate
dall’epoca globale, consapevoli che l’impostazione narrativa stessa non può non
risentire del cambiamento.
E
proprio la presenza per certi versi deformante ma anche imprescindibile della
grafica alla base di queste creazioni denota come la pittura figurativa, data
per morta più e più volte, sappia ancora autoprodursi in una sfera rappresentativa
indipendente, autonoma e capace di raccontare il mondo da un punto di vista
originale e, soprattutto, attraente per chi vi si affaccia.
Catalogo:
Le nuove frontiere della pittura,
a cura di Demetrio Paparoni,
16 novembre 2017 - 25 febbraio 2018, Fondazione Stelline, Milano,
Edizioni Skira
Ultimi
giorni per visitare Dentro Caravaggio, la mostra che vede presenti a
Palazzo Reale (Milano) più di venti capolavori di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571-1610).
Iniziativa di ampissima risonanza, grazie all’approfondita introspezione nel modus operandi dell’artista milanese.
Evento basato su un progetto di divulgazione multimediale in linea con le più
recenti tendenze negli allestimenti espositivi. Le tecnologie ormai sempre più
sofisticate al servizio della cosiddetta diagnostica artistica permettono di
catturare le fasi di realizzazione di un’opera, analizzando al dettaglio il lavoro compiuto dal pittore in ognuna delle sue parti. Si entra, dunque,
nel laboratorio caravaggesco come mai prima era stato possibile. Strati di
pittura, sfondi, riposizionamento dei soggetti vengono ora svelati al largo pubblico.
Caravaggio
può essere considerato il padre della fotografia in pittura. Quelle che ci
regala nei suoi dipinti sono vere e proprie istantanee. L’uscita dal manierismo
ne fa un innovatore assoluto e per certi versi “precognitivo”, discorso che va
ben al di là delle tecniche da lui messe a punto nel suo percorso artistico.
Per quanto possano sembrare mondi lontani, le frontiere della pittura, rassegna
che porta per la prima volta in Italia più di trenta opere di arte figurativa
contemporanea da tutto il mondo, e Caravaggio hanno un filo conduttore. Il
figurativo dalla modernità in avanti non ha mai smesso di innovarsi e innovare.
La pittura ha “inventato” la fotografia e quando la fotografia l’ha data per
morta ha dimostrato di saper restare sul campo senza pericolo di essere
superata.
(Di Claudia Ciardi)
Nessun commento:
Posta un commento