Per
i cinquecento anni di Leonardo non poteva mancare una grande mostra a Firenze
su quello che senza sbaglio può essere definito il più importante carismatico
ispiratore non solo del genio vinciano ma di quasi tre generazioni di artisti
che si alternarono nella sua bottega, seguendo poi ciascuno la traccia del
proprio talento e spargendone l’eredità in buona parte dell’Italia centro meridionale, tra Toscana, Umbria, Lazio e Abruzzo.
La
personalità di Andrea del Verrocchio sbocciò in quella tumultuosa stagione
dell’artigianato fiorentino che da decenni vedeva la perizia dei suoi
interpreti sfidare limiti e convenzioni, in una compresenza di stili dove gotico
e rinascimento disseminano sguardi chiaroscurali, alleanze alchemiche, insospettabili
sincretismi. Stili speculari e allo stesso tempo concentrici, trama e ordito su
cui s’innescano collisioni, zone d’ombra elevate a fulgide levità, ipotesi di
squarci visionari. Avviato neanche ventenne all’arte orafa, nella quale si
distinse subito per la precisione tecnica e la finezza del cesello, lo scrupolo
e il virtuosismo messi a punto nei lavori di toreutica non lo abbandonarono mai, dalla scultura alla pittura. Il tratto limpido e delicato
che disegna vesti e ornamenti tanto da infondere alla materia un senso di leggerezza
inedito, la complessità che si contiene interamente nell’armonia delle forme
evocate, nella minuzia di lievissimi dettagli, ne fanno un vero e proprio
iniziatore, presto svincolato dai due più influenti maestri di allora,
Donatello e Domenico da Settignano. Un capostipite d’impronta fiamminga a
Firenze, l’unico a tener testa alla scuola nordica opponendo una maniera volta
a quel mondo ma anche assolutamente innovativa e peculiare.
Non
sorprende che un’intera sezione della rassegna sia dedicata a quel “piegar de’
panni”, esercizio plastico in grado di dar vita a potenti assoli, come mostrato
dai disegni del Verrocchio e di Leonardo, e del quale fu caposcuola Fra Filippo
Lippi, il primo a studiare gli effetti della luce su brani isolati di
panneggio. In ciò ispirati dal De
pictura di Leon Battista Alberti che invitava all’attenta osservazione delle
statue per comprendere i cambi di luce.
Dopo un veloce apprendistato presso gli
orafi fiorentini, dunque, Andrea del Verrocchio iniziò a imporsi all’attenzione
della propria città ma, in via altrettanto folgorante, pure fuori del suo
territorio. Entrato nell’orbita delle committenze medicee, il che implicava un
legame diretto coi cantieri dell’Opera del Duomo, la sua fama crebbe
rapidamente, consentendogli l’apertura di una bottega in proprio nella quale molti giovani artisti scoprirono e affinarono le loro doti. A entrare nella sua
cerchia, oltre al già menzionato Leonardo, e solo per citare i nomi più
eclatanti, troviamo il Perugino, Domenico Ghirlandaio, forse perfino Sandro
Botticelli, che se non fu veramente suo allievo, ne subì di sicuro l’influsso
mentre stava emancipandosi dall’insegnamento di Filippo Lippi.
Questo
molto ci dice sulla qualità della mostra allestita a Palazzo Strozzi, uno
scrigno delle meraviglie in cui trova spazio quell’arcipelago prodigioso e
immensamente sfaccettato che è l’arte italiana quattrocentesca. Sono qui
raccolte oltre cento opere che diedero sostanza spirituale al corpo
dell’umanesimo. Da qui è passata la storia politica delle signorie e del
papato, in queste tele, ceramiche, terrecotte, nei bozzetti, nei busti sono racchiuse le aspirazioni di un’epoca. Intelligenze raffinate, genialità, estro,
capacità di unire i talenti per imprese collettive che rasentano l’incredulità,
come nel prodigio dell’altare d’argento, nato dalle energie creative, oltre che di Verrocchio stesso, di progettisti del calibro di Ghiberti e Pollaiolo.
Andrea
del Verrocchio fu artista versatile, il cui merito è stato sminuito talvolta da
certa critica troppo incentrata sui suoi allievi in quanto esecutori materiali
dei suoi stessi progetti. Peraltro tale aspetto, quando appurato, nulla toglie
alle sue qualità di fondatore e ispiratore, anzi a buon diritto le conferma.
Indicativi gli incarichi ricevuti fuori da Firenze che lo portarono in alcuni
dei centri più vitali e ambiti per gli artisti del tempo, a Pistoia,
addirittura nelle vesti di “frescante”, a Roma e Venezia. La ricchissima
esposizione aperta al pubblico fino a luglio è dunque un appuntamento cruciale
per approfondire i tanti scambi e influssi sollecitati da uomini aperti e
curiosi, propensi in ogni fase della loro vita a valorizzare le possibilità
dell’ingegno, uomini che indiscutibilmente contribuirono alla grandezza di
un’epoca.
(Di
Claudia Ciardi)
* Catalogo: Verrocchio, il maestro di Leonardo, Marsilio, 2019
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