22 gennaio 2022

Se protesta anche Van Gogh

 


Saper cucire e conciliare posizioni diverse, avviare rapporti e collaborazioni, nelle differenze, questo fa essere all’altezza di progetti di ampio respiro e di aspettative elevate. Coloro che hanno un simile atteggiamento sono destinati ad aprire vie nuove. Sono questi i portatori di fuoco. E mai come in un simile momento se ne sente il bisogno.
Le righe che dedico qui alla singolare ed efficace protesta del Museo Van Gogh di Amsterdarm si possono leggere a integrazione del mio precedente intervento sul patrimonio culturale. La direttrice Emilie Gordenker è da abbracciare e ringraziare. Ha infatti portato all’attenzione del mondo le contraddizioni sul tema aperture-chiusure nei vari settori. Laddove la cultura è quella che ha pagato pegno più di altre attività. La Gordenker, in maniera ironica ma non frivola, ha sbeffeggiato i provvedimenti imposti dalla politica, ricordandoci la loro ambiguità. E qui sta anche la differenza tra eventi che mettono in ridicolo la cultura – si veda la sciagurata proiezione sui monumenti fiorentini di cui si è detto –  al confronto di iniziative, fuor di dubbio eterodosse, che però aiutano a focalizzare i problemi, per cercare delle soluzioni.
Appendice sul caso di Firenze, mentre si leggono ancora critiche a chi ha voluto dissentire, sostenendo che non c’era da scandalizzarsi perché la proiezione del contendere sarebbe passata velocemente sugli edifici. Senza colpo ferire insomma. Mi permetto un’altra battuta: il filmato passa, il fermo immagine resta. E siccome non si tratta del garage di casa, ma di luoghi simbolo conosciuti in tutto il mondo, non si possono ignorare le conseguenze. Al di là delle laudi agli sponsor filantropi, ci sarebbe piuttosto da chiedersi se alcune installazioni e iniziative siano davvero funzionali. Il tutto mentre le città si svuotano e urgono ben altre riflessioni. Ma nulla, soltanto beghe di guelfi e ghibellini.
Dunque, ricapitolando, si è avallato il green pass per scongiurare le chiusure totali, e poi finisce che i musei chiudono lo stesso oppure stanno aperti nel deserto di città svuotate. E si può ribadire, se ce ne fosse ancora bisogno, che nei musei sarebbero stati sufficienti distanziamento e mascherina. Del resto, come siamo andati al museo nel 2020, dopo le riaperture estive? E per i mesi da maggio a luglio del 2021, con le riaperture senza green pass? Io mi sono sempre sentita perfettamente al sicuro.
Dopo qualche tempo, torno perciò ad alcune riflessioni già abbozzate quando ci si preparava a riaprire i luoghi della cultura, di cui ora si verificano, purtroppo, le ricadute. Il green pass doveva servire per i viaggi esteri, e solo in questo caso specifico per gestire l’immediato periodo post pandemia con un graduale e veloce ritorno a situazioni più agevoli, e ovviamente per eventi di aggregazione (concerti, sale da ballo, spettacoli) – questi ultimi invece del tutto scomparsi nonostante i proclami fatti all’inizio per raccogliere consensi intorno al cosiddetto lasciapassare. Abbiamo quindi sdoganato uno strumento divisivo al massimo grado, in una fase in cui il paese era già oltremodo diviso e stanco. Si è poi riscontrata una proliferazione di regole dubbie e restrizioni. Risultato: il lockdown di fatto cui stiamo assistendo (ci avviamo a più di due anni così!). Neppure a condizioni cambiate, con le dinamiche che abbiamo sotto gli occhi da settimane, si contemplano strategie differenti. Nelle cose politiche, e non solo, l’autocritica è un bene in estinzione.
Proprio in questi giorni il cosiddetto sistema dei colori viene messo in discussione, perché siamo comunque in un sostanziale lockdown, modificare di continuo le regole diviene un inutile pro forma che aggrava una situazione gestionale già complessa. E forse si è tanto caldeggiata la formula del pass anche per disimpegnarsi quanto più possibile dai ristori. Tutto ciò è davvero molto triste.
Inoltre si prospetta nell’immediato un periodo turbolento in cui la crisi occupazionale e quella energetica morderanno. Il tema degli approvvigionamenti è tutt’altro che secondario e a quanto pare il vertice UE dello scorso dicembre non si è dimostrato all’altezza dei problemi. Ecco un ottimo articolo a firma di Alessandra Di Bartolomeo, che spiega anche a quali scenari andiamo incontro. Infine, una considerazione di ordine psicologico. Fare le cose sull’onda della paura, difficilmente sortisce risultati efficaci. Qui mi riferisco alle scelte di ognuno di noi, perché i nostri comportamenti continuano a essere per una ragione o per un’altra dominati e stravolti da questo sentimento.
Conclusione. Le persone intelligenti, almeno quelle che ancora si conservano tali nel nostro presente, stanno già lavorando al dopo, smussando e allentando le tensioni. E ci sarà davvero molto, molto da lavorare, perché quando si semina l’esasperazione in una società tutto diventa assai più difficile.

(Di Claudia Ciardi)

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