Originario di Vancouver, Glen Sorestad è un autore molto noto nel mondo anglosassone,
pubblicato principalmente in Canada, Stati Uniti e nord Europa. Le sue poesie
sono state oggetto di trasmissioni radiofoniche oltre a essere tradotte in
numerose lingue, tra cui francese, spagnolo, norvegese, finlandese, sloveno e
afrikaans. Ospite di prestigiosi eventi letterari internazionali, ha ricevuto
il Saskatoon Book Award nel 2001 per l’opera Leaving Holds Me Here. Al 2015 risale Hazards of Eden pubblicato dalla Lamar University
Press.
Nel
2017 è uscito un suo nuovo volume di poesie, Water and Rock, frutto di
un lavoro a quattro mani con Jim Harris. Collabora con alcune riviste ed è impegnato da diverso tempo nella stesura di una serie di
articoli sui procedimenti della scrittura poetica.
Per
un ulteriore approfondimento di questa figura letteraria si pubblicano ad uso
del lettore alcuni stralci dell’intervista Finding the Magic (2015-2016),
in cui si chiede a Glen Sorestad di riflettere sul “prose poem”,
la cosiddetta poesia in prosa, e lo “stream of consciousness”, cardine della scrittura
novecentesca di matrice anglosassone.
[GS]: «Non scrivo molte poesie in prosa, quindi non è tanto attratto dalla
forma, quanto è la forma che mi sceglie a un certo punto del processo creativo,
di solito con la prima riga e come si modella sulla pagina per me. Raramente ho
deciso di scrivere una poesia in prosa, ma quando sento che questo è il modo in
cui la lingua vuole esprimersi, allora sono felice di lasciare che trovi il suo
corso ovunque mi porti». […] [Redattore]: «La poesia in prosa sembra essere
autocosciente, non è vero? Potresti condividere con noi il tuo processo
creativo quando ne scrivi?».
[GS]: «Le poesie in prosa assumono la loro forma iniziale, in quella prima stesura, almeno per me. Hanno a che fare con quella prima riga quando vengono fuori. C’è un punto di rottura naturale o si va avanti? Chiaramente la forma del poema in prosa si presta prontamente all’impulso narrativo, quindi per me può essere una narrazione compressa in un linguaggio alto. Come inizia per me? Potrebbe scaturire da qualsiasi cosa, da una considerazione ascoltata a un ricordo improvviso a un desiderio. Anche una foto, o un fatto che si sente nelle notizie quotidiane».
[Redattore]: «C’è qualcos’altro che ti fa decidere se un pezzo debba essere in forma di poesia in prosa, piuttosto che una poesia in versi?»
[GS]:
«Per me è tutto incentrato su come e dove mi porta quella battuta di apertura
e la sua idea germinante. Ho la sensazione, mentre sto scrivendo una prima
bozza, che l’impulso e il flusso linguistico stesso determineranno il modo in
cui quella poesia si manifesterà sulla pagina, la forma che assumerà – almeno molto
spesso sembra così. A volte però confesso di aver completamente rivisto una
poesia perché mi rendo conto che la stesura non funziona con la lingua ma
contro di essa. Di tanto in tanto una poesia strutturata in versi brevi e
strofe, in fase di ripensamento e revisione, è finita per essere una poesia in
prosa. Ma non ricordo una bozza originale di poesia in prosa che si sia risolta
in forma lirica». […] «Mi sembra che la poesia in prosa si presti
particolarmente bene a certe forme di espressione e una di queste rientra in
qualsiasi tipo di scrittura legata al flusso di coscienza, in cui la corrente
linguistica può semplicemente scorrere senza impedimenti e libera ovunque la
porti l’impulso creativo. D’altra parte, potrebbe anche prestarsi a una composizione
basata su un linguaggio articolato, di carattere descrittivo. Come anche
risultare funzionale a un linguaggio emotivo, sentimentale».
(Di Claudia Ciardi/ traduzione dall’inglese © C. Ciardi)
Attraverso il contributo che segue, Rita Bompadre ci introduce alla lettura di Betulle
danzanti, antologia di poesie nel solco della grande tradizione americana,
da Whitman in poi, epica dell’anima modulata sull’inesauribile respiro della
natura.
Betulle danzanti – Poesie scelte
di Glen Sorestad – traduzione di Angela D’Ambra (Impremix Edizioni, 2020) è un
riconoscimento all’esemplarità del mondo naturale, una cartolina d’autore in
cui ogni paesaggio dell’anima è una rappresentazione pittorica dipinta sulla
carta, un’istantanea immanente della forza generatrice e della realtà
sensibile. I versi, mescolati ai colori raffigurati, lusingano la bellezza
assoluta della natura, le immagini la raccontano come una passeggiata
letteraria intorno ai luoghi amati e vissuti dal poeta in Canada. Il poeta
frequenta il misticismo poetico con la prosa simbolica del verso libero,
allungato, sa assorbire le sensazioni esterne e coinvolgere l'intimità dell’ispirazione,
includendo lo spazio esteso di ogni inclinazione per la partecipazione profonda
e solidale alla vita. Leggere Glen Sorestad è immergersi nel romanticismo dell’universo,
ad equilibrio e valutazione di tutti gli eventi e delle reazioni emotive dell’uomo
e del suo peregrinare. Il poeta riceve accoglienza dagli scenari circostanti,
respira la gentilezza di ogni alito di vento, ristabilisce i cambiamenti delle
stagioni, nutre il mantenimento dei ricordi. Il vincolo vitale, l’affinità
simbiotica con lo spirito comunitario sono i legami enfatizzati nella sua
poesia, nell’atmosfera comune e popolare di ogni libera condivisione. Un’efficace
interpretazione dello spirito e della materia in relazione ai principi perenni
che abitiamo e rispettiamo. Il poeta osserva i dettagli del mondo, nell’identità
delle sue esperienze di vita, è profeta alla ricerca di risposte sensibili. L’estatica
armonia con l’essenza fenomenica accorda un’autobiografia interiore, diffonde
una visione sconfinata di infinite prospettive, una poetica panteistica dell’energia
vitale. La capacità estetica dell’autore è la premurosa intuizione dello
stupore, l’incantevole fiducia nell’evocare territori suggestivi, attraverso la
mediazione illuminata della comprensione. Glen Sorestad è un autore contemplativo,
assorto nella “danzante” volontà di vivere e nella disponibilità nobile della
percezione emotiva. Il poeta esplora,
ascolta e analizza per ospitare e comunicare ogni riflessione sostenendo il
personale sollievo rigenerante, destinandolo all’esuberanza dell’umanità. La
conservazione cortese dell’elegia, sussurata ed indulgente, rivela nuovi
orizzonti linguistici, esprime la commozione necessaria nella descrizione
delicata di ogni piccola cosa, di un pensiero, di un gesto, di un’istante che
meritano di comporre il miracolo della poesia. Ne è esatta coincidenza l’omaggio
lirico al poeta Walt Whitman che scriveva: «...la domanda, ahimè, la domanda
così triste che ricorre – Che cosa c’è di buono in tutto questo, ahimè, ah
vita? Risposta: Che tu sei qui – che esiste la vita e l’individuo, che il
potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un tuo verso».
(Di
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”)
Aide memoire
Il
mondo ha inizio e fine nel ricordo:
ciò
ch’io ricordo è ciò che sono.
Quel
filo d’erba che, ragazzo, io
strappai
sì che al soffio mio vibrasse
davvero
l’aria sgretolò col suo stridore?
Un
mondo ricordato ha in sé verità
e
realtà assai più chiare d’echi.
Nelle
mani a coppa del ricordo
la
verde, fine festuca di ciò che siamo
freme
d’un suono così raro.
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Notturno
1.
La
notte non è mai abbastanza scura per qualcuno.
Sempre
ci saranno cose da celare.
Il
freddo parla la sua propria lingua. Ascolta.
L’orecchio
più sordo udrà qualcosa.
Paura
non avere di notte, freddo, buio.
È
di noi stessi che dobbiamo aver paura.
2.
Un
cuore aperto sentirà sempre il male.
Chiudilo,
se devi. Tutti i cuori muoiono.
I
cuori aperti sanno la gioia del sì.
I
cuori chiusi solo la pena del no.
Solo
un folle tenta di fermare il vento.
Lo
stesso folle tenta di fermare il male.
La
mano aperta è soddisfatta di sé.
La
mano chiusa sempre si chiede perché.
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Clessidra
Le
prove sono ovunque. Granelli di sabbia.
I
nostri giorni vanno persi in banalità: riunioni,
appuntamenti,
liste di commissioni, note su post-it
incollati
ad ante di credenze perché non ci sfuggano,
fissati
da magneti al frigo come comandamenti,
o
affissi come strazianti appelli per micetti smarriti,
tersi
promemoria delle nostre vite divenute
una
colonna sonora di arrivi e partenze,
il
suono e la voce di calendari e diari.
Ignoriamo
l’immagine – la sua metà inferiore,
con
la sabbia in aumento. È il ritmo crescente
dei
funerali cui assistiamo che ci fa pausare,
che
ci fa sentire la misura, l’urgenza,
il
rullo premonitore del tamburo.
Colpo
dopo colpo, grano dopo grano.
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La
bellezza è dove la trovi
Perché
negare che Bellezza
può
illuminare un giorno di gennaio
quando
il vento fa una sosta
e
l’aria è un silenzio,
una
coltre d’attesa?
Persino
quel misero sole,
quella
volpe furtiva
che
striscia sempre a sud,
fa
balzare brillanti sfaccettature di diamante
sulla
neve scolpita,
malva
d’ombra.
Questa
cartolina invernale
m’appaga,
non
mi soffermi a lungo
ad
ammirare l’algido prodigio
dei
luccichii della neve, preso
tra
contraddizioni –
bellezza
o tepore.
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Suoni
Ecco.
Quello è il suono
che
m’è mancato – il suono
che
m’infiamma i sogni,
che
nella notte viene e va:
un
tiptap di strascico di vento
in
moto fra betulla e pioppo,
che
struscia i fianchi
su
punte di peccio e pino.
Bentornato,
dice.
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Betulle
danzanti
Betulle,
sull’isola,
pallide
danzatrici invernali,
braccia
protese verso l’alto,
a
invitare il sole,
eseguono
la loro lenta danza,
facendo
fluttuare le foglie nuove
con
l’arte delle geishe.
*Testi
scelti da Rita Bompadre
Testo integrale dell'intervista:
Prose Poetry: Finding the Magic. An Interview with Glen Sorestad
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