Antico teatro di Dodona (Epiro)
C’è un bellissimo saggio
di Eric Dodds sulla categoria dell’irrazionale quale fulcro meraviglioso
dell’identità greca. Non solo, dunque, splendore apollineo e armonia classica
ma anche ruvido arcaismo. Perciò preferisco parlare di “lettere antiche”
piuttosto che di “lettere classiche”, quest’ultima sembrandomi una definizione
limitante. Sebbene alcuni degli argomenti di Albert Camus si richiamino a
luoghi comuni - la Grecia apollinea e solare, luminosa anche nella sua sapienza
tragica, la cultura romana imitatrice statica della grecità tarda, di
quell’ellenismo che sarebbe nient’altro che espressione leziosa e stanca del secolo
di Pericle – insomma nonostante qualche semplificazione e un eccesso di
polarità nell’orientare certi temi, l’analisi camusiana celebra con passione
il cosmo greco e la sua centralità interna alla genesi mediterranea. Toccando con mano
le radici vive del proprio immaginario lo scrittore vorrebbe restituire al
luogo la voce sola che ha diffuso attorno a sé, così da coglierne senza filtri l’unicità dell’avventura umana e storica prodotta nei secoli.
(Di
Claudia Ciardi)
Poggiato
a una colonna del tempio di Poseidone a Capo Sunio, in un punto famoso per la
vista sul mare Egeo e sui tramonti attici, Camus annotò il 29 aprile ’55:
«Istante perfetto». Pochi giorni dopo, il 2 maggio, scrisse sul taccuino:
«Valeva la pena venire da tanto lontano per ricevere questo grande pezzo
d’eternità. Dopo, il resto non ha più importanza». Grecia ed Egeo, ecco il
cuore della perfezione del mondo.
Aveva
spesso desiderato andare in Grecia, senza riuscirci, e meditò su quella terra
mediante le rovine romane che toccano il mare a Tipasa, i monasteri toscani, le
grandi opere della pittura italiana. Ci riuscì nel ’55, e capì che davvero la
Grecia era il fulcro della civiltà mediterranea: una terra che dona agli uomini
la sapienza. Ecco perché ammirava la figura di Ulisse che, al ritorno dalla
guerra, rifiuta l’immortalità che gli offre Calipso per restare fedele a Itaca,
sua patria.
Era
dunque necessario, secondo Camus, spostare la culla della civiltà da Roma ad
Atene, e consacrare la Grecia come madre della cultura mediterranea. Il vero
Mediterraneo non è quello «astratto e convenzionale rappresentato da Roma e dai
Romani», popolo d’imitatori senza immaginazione che volle sostituire il genio
artistico con quello guerriero. Il loro ordine, tanto vantato, non è quello
«che respira nell’intelligenza» fu invece imposto dalla forza. E quando
imitarono i Greci non seppero cogliere il loro genio vitale, solo «l’astrazione
puerile e calcolatrice», cioè i frutti della decadenza; non colsero la rude
Grecia dei grandi tragici e comici, solo il manierismo ellenistico.
La
visione ciclica della natura, in cui i Greci collocano ogni cosa, profila la
grande differenza tra Grecia e ciò che viene dopo, quella storia lineare che,
introdotta dal cristianesimo, conduce infine al dominio sulla natura. Da allora
l’uomo occidentale ha perduto ogni senso del limite e della bellezza e,
infedele alla terra, ha ceduto all’intemperanza.
Ora,
consapevoli che l’antica Grecia non tornerà più, come riconquistarne qualche
scheggia di significato? Camus lo fa trapiantando nella propria opera molti
concetti che hanno radici greche: misura, bellezza, natura, mito e tragedia. Ma
lo fa anche suggerendo di resuscitare alcuni elementi greci al fine di sentirli
e viverli, ad esempio il pensiero solare e meridiano, perché «il Mediterraneo
ha la propria tragicità solare che non è quella delle nebbie».
Cattedra
di libertà luminosa, la Grecia è anche il luogo della bellezza e del senso
tragico ad essa eternamente collegato. A queste condizioni, non resta che
deplorare l’abdicazione dell’Europa – nutrita di convulsa disperazione – dalla
visione estetica, la sola capace di purificare lo smarrimento nel filtro della
bellezza.
Da
Antonio Castronuovo, Alfabeto Camus.
Lessico della rivolta, Stampa Alternativa, 2011
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