Trento
si è candidata capitale italiana della cultura per il 2018. Un titolo che sarebbe stato meritatissimo a giudicare dall’offerta che la città sta mettendo in campo, non
solo in occasione delle tante ricorrenze e iniziative ispirate dal centenario
della Grande Guerra.
Un salto al centro espositivo delle Gallerie – località Piedicastello, circa un chilometro dalla stazione – poliedrico crocevia di arti e storie, è una tappa obbligata, direi, per qualsiasi visitatore di passaggio. Sono qui in corso tre grandi mostre, tutte a ingresso libero – viene richiesto un contributo minimo qualora si desideri acquistare il materiale messo a disposizione dai curatori – cataloghi, digitalizzazione di immagini, stampe.
Il primo degli eventi che desidero segnalare riguarda la suggestiva rassegna fotografica sul Nepal, raccontato dagli scatti di Giuseppe Benanti, Giacomo d’Orlando, Paolo Piechele, che riserva uno spazio particolare al disastroso terremoto del 25 aprile 2015. L’economia già fragile di questo paese, in seguito al violento sisma, subisce un ulteriore durissimo colpo. I numeri del dramma sono davvero sconvolgenti, in termini di perdite di vite umane e distruzioni materiali: ottomila morti, tre milioni di sfollati, novecentomila abitazioni distrutte o lesionate.
Un salto al centro espositivo delle Gallerie – località Piedicastello, circa un chilometro dalla stazione – poliedrico crocevia di arti e storie, è una tappa obbligata, direi, per qualsiasi visitatore di passaggio. Sono qui in corso tre grandi mostre, tutte a ingresso libero – viene richiesto un contributo minimo qualora si desideri acquistare il materiale messo a disposizione dai curatori – cataloghi, digitalizzazione di immagini, stampe.
Il primo degli eventi che desidero segnalare riguarda la suggestiva rassegna fotografica sul Nepal, raccontato dagli scatti di Giuseppe Benanti, Giacomo d’Orlando, Paolo Piechele, che riserva uno spazio particolare al disastroso terremoto del 25 aprile 2015. L’economia già fragile di questo paese, in seguito al violento sisma, subisce un ulteriore durissimo colpo. I numeri del dramma sono davvero sconvolgenti, in termini di perdite di vite umane e distruzioni materiali: ottomila morti, tre milioni di sfollati, novecentomila abitazioni distrutte o lesionate.
Questi
fotografi coniugano l’amore per il luogo all’impegno umanitario. Il progetto
Maheela (“donna” in nepalese), di cui sono promotori, cerca di offrire
assistenza ai nuclei familiari, facendo leva soprattutto sulle figure
femminili. Una scuola di lavorazione dei tessuti, l’avvio alla coltivazione di
pochi ortaggi permette a una donna di raggiungere un’autonomia economica minima
in grado di risollevarla dallo stato di estrema povertà; il che fa una grande
differenza, specie nella profonda crisi in cui è scivolato il paese dopo l’evento
sismico. Le mani ruvide di queste figure arcaiche, i loro sguardi levigati dai
gesti quotidiani e dai singolari contrasti del paesaggio nepalese, e poi i
silenzi sacri, quasi tangibili, dei rituali per i defunti o dei momenti
riservati alla preghiera. E su tutto lo sguardo distaccato e meditabondo delle
cime himalayane, altri occhi, innevati, lontani, catturati dentro un groviglio
di nubi, mentre più sotto fioriscono i verdi campi da tè. Opposizioni cromatiche
chiamate ad armonizzarsi in uno spicchio di terra dalle caratteristiche
inconsuete quanto affascinanti.
Segnalo
quindi le altre due emozionanti esposizioni costruite intorno al binomio
conflitti-profughi, tema di portata enorme nelle vicende umane e, purtroppo, di
triste attualità. Da una parte, Fabio Pasini con una tecnica di esposizione
insolita ci regala bianchi e neri sfuocati delle montagne trentine. Il Sass de
Stria e le dolomiti di Sesto, per citare solo alcuni dei gruppi fotografati, affiorano
con i loro profili ammorbiditi e fiabeschi. L’aspetto sognante, quasi
spiritato, dei monti ci restituisce intatta l’avventura umana, nei suoi
risvolti positivi legati alle scalate e alla scoperta di passi e vie nuove – il
prima della guerra che aleggia come termine cronologico indefinito,
inattingibile – insieme a quelli più foschi, destinati a divenire preminenti,
suscitati dal conflitto, quando sulle vette correva la linea del fronte.
Nell’assenza
di soggetti, Pasini mette volutamente al centro il paesaggio in quanto collettore
di memorie tra chi all’ombra delle montagne ha vissuto e chi sulle creste si è
trovato a combattere. Perciò non sorprende che le sue vette ci parlino con voce
umana e che l’osservatore si trovi a dialogare con questi ritratti esattamente
come farebbe di fronte a volti in carne e ossa. Di notevole interesse anche la
sua idea di documentare la taiga siberiana, altri scatti di abbacinante
solitudine, immagini come grandi murales in evidente collisione con la scelta
minimalista dei quadri montani. L’autore ha voluto infatti evocare la perdita
di punti di riferimento dei profughi di guerra dell’impero austroungarico,
dispersi in Siberia e da lì costretti a estenuanti viaggi di ritorno – si pensi
al celebre romanzo di Joseph Roth, Fuga
senza fine. Mancava una restituzione visiva di questa vicenda, passata
quasi sotto silenzio, e Pasini è riuscito, lasciando parlare la natura e la sua
apparente, ma solo apparente, immobilità, a generare un transfert emotivo e
diretto con i recenti naufragi della storia.
Per
chiudere, infine, la mostra “Gli spostati” geniale già dal titolo, sui trentini costretti alla fuga e al trasferimento a causa dell’avanzare del
fronte di guerra. Le foto delle distruzioni a Rovereto e in Vallarsa danno la
dimensione tangibile di una catastrofe che inevitabilmente sradicò migliaia di
persone dai propri territori (il programma avviato dal Comando italiano tra il
’15 e il ’17 implicò il ricollocamento di trentacinquemila civili in trecento
comuni della penisola). A moltissimi altri toccò in sorte la deportazione
forzata nei territori dell’impero: si tratta delle comunità che occuparono i
cosiddetti “villaggi di legno”, agglomerati di baracche dove si faceva la fame
e spesso si moriva. Lager ante litteram, chi riuscì a cavarsela in questi posti lo dovette alla fortuna e alla capacità di arrangiarsi; mestieri e ogni genere di abilità aiutarono a guadagnare quel poco che serviva a mangiare e vestirsi. Attraverso le foto e le lettere degli spostati si è ricostruita una testimonianza intima e diretta delle vicissitudini
affrontate da ciascuna delle comunità disperse dallo scoppio della guerra.
(Di
Claudia Ciardi)
All’entrata
del polo sono presenti anche le mie due monografie di inediti tedeschi:
Robert
Musil, Narra un soldato e altre prose, a cura di Claudia Ciardi, traduzione di
Claudia Ciardi e Elisabeth Krammer, Via del Vento edizioni, 2012.
(Presente
in poche copie in quanto il lavoro risale al 2012. Si tratta di una “fine
tiratura” che mi sembrava buona cosa condividere in questa sede).
Thomas Mann, Sedute spiritiche e un'altra prosa inedita, cura e
traduzione di Claudia Ciardi, Via del Vento edizioni, 2016.
(Diverse
copie, trattandosi di una pubblicazione recente. Quindi chi è in zona o
capita qui, si faccia avanti).
Maheela, mostra fotografica sul Nepal, fino al 28 aprile 2017
Fabio Pasini, Dalle Alpi alla Siberia, fino al 25 giugno 2017
Gli spostati. Guerra e profughi trentini, fino al 3 dicembre 2017
Segnalo anche La Gran Vera - La Grande Guerra, Galizia-Dolomiti presso il polo museale del Teatro Navalge di Moena fino al 28 ottobre 2017
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