Non soltanto saggio di architettura ma neppure semplicemente guida. Quello che
Lorenzo Mamino e Daniele Regis ci consegnano è il frutto incantato e
trasversale di una collaborazione serrata quanto scrupolosa che da una parte
introduce alle stratificazioni culturali di un territorio – il cuneese, qui
passato al setaccio per i suoi edifici, volto multiforme in grado di raccontare
cambiamenti politici e di costume – dall’altra ragiona sui modi dello scrivere,
del tradurre le immagini in segno e viceversa, del restituire al patrimonio
storico il dinamismo creativo che gli ha dato forma. Ciò in nome di una divulgazione
ampia e multidisciplinare, laddove la progettualità architettonica richiama a
sé tradizioni, usi, moti libertari, volontà di rappresentazione nel dialogo e
nella sfida col paesaggio, fino alle più essenziali necessità del vivere, una
fabbrica governata da quell’essere “poligrafi” tanto caro al sentire di Roberto
Gabetti.
Di
questa fluttuante incursione attraverso i generi e le categorie del sapere è
già testimonianza il titolo della monografia che sovrappone spazio fisico e
immaginativo. Cuneo, affascinante regno del gotico e del neogotico, luogo
destinato a sconfinare di continuo in un passato-presente dal sapore fiabesco,
di generare decine di percorsi reali e altrettante suggestioni, si pone al
centro di un itinerario complesso mischiando, a tratti in modo capriccioso quando
non in toni addirittura improbabili, le solide origini di un patrimonio storico
con una bizzarra polifonia che un po’ declama un po’ forza la storia, quasi nella
mimica di una riscrittura romanzesca. Impronta territoriale dalle radici fatate,
perché il nuovo stile è in grado di saldarsi con insolita naturalezza e
finanche spontaneità su un corpo architettonico antico, innescando metamorfosi
o più blandamente amalgami dagli esiti piuttosto anarchici, destinati a
sfuggire a ogni catalogazione, anche quelle meno sommarie. Il neogotico irrompe
al di là degli schemi classicisti, rassicuranti ma ormai abbastanza esauriti,
come del resto poteva dirsi la stagione degli esperimenti barocchi, in un
inizio di Ottocento per l’Italia molto problematico, laddove l’accademia
guardava al passato senza volontà né energie disponibili al rinnovamento, in un
contesto di arretratezza per l’architettura costruita, in certo senso superata e
sminuita dal trionfo del disegno, da una progettualità tutta d’invenzione, ferma
al raffinatissimo caleidoscopio di Giovanni Battista Piranesi puntato su metà
Settecento.
Mentre
nel contesto internazionale, Inghilterra e Francia soprattutto, il neogotico
s’impone già nella seconda metà del Settecento con caratteri definiti,
nobilitato da personaggi di spicco, Horace Walpole in testa, così da entrare
precocemente anche nelle grandi committenze di Stato, nel nostro paese
s’infiltrerà come elemento esotico, presenza dal carattere addirittura
clandestino, assimilato dall’estero in maniera incostante e senza la
benedizione dell’ortodossia accademica. Nel caso dei grandi progettisti, per il
Piemonte legati alla costruzione delle tenute reali e alla sistemazione dei
parchi ad esse collegati, da Ernest Melano a Pelagio Palagi, dai fratelli Roda
a Antonius Xavierius Kurten, operanti all’interno dei cosiddetti beni-faro, a
Racconigi, Pollenzo, Busca, si tratta di una frequentazione piuttosto breve, in loco, col gotico parigino e
londinese. Per tutti gli altri, geometri, piccoli professionisti, maestranze
diffuse nelle diverse province del cuneese, si tratterà di un’assimilazione fai
da te, derivata in parte dalla manualistica, soprattutto francese, di
ascendenza illuminista, dov’erano raccolti innumerevoli esempi di strutture
ispirate alla nuova architettura, in parte affidata al gusto personale, dando
così all’eclettismo locale un profilo estremamente variegato, e perciò
altrettanto singolare, difficile perfino da censire in tutte le sue espressioni.
Se per i reali si trattava di codificare la propria presenza al di fuori della
capitale attraverso un linguaggio nuovo che guardava all’Europa pur senza
cessare mai del tutto di confrontarsi con le istanze classiciste, per la
piccola aristocrazia provinciale fino ai notabili borghesi lo slancio neogotico
era da un lato un modo di testimoniare la vicinanza agli stilemi e, dunque, ai
messaggi propugnati nell’ambiente di corte, dall’altro una meravigliosa
frontiera in cui sentirsi liberi di stimolare al massimo grado il gioco dei
rimandi, del bello in sé non necessariamente funzionale ma in più di un caso
superfluo, perfino senza senso. Uno iato ancor più riconoscibile nella
destinazione d’uso degli edifici qui presi in considerazione. Se le tenute
reali sono il simbolo di un potere che vuole presentarsi come moderno, illuminato
e progressista, cercando perciò anche nell’avanguardia dei linguaggi
architettonici la chiave del proprio consolidamento politico, non vengono meno
tuttavia gli scopi pratici per cui sono progettate; produzione agraria,
studi botanici di alto livello, allevamento di bestiame. Definite anch’esse in
una cornice modernista che contemplava l’introduzione degli ultimi ritrovati
tecnici per favorire al meglio la resa dei terreni, dei greggi e delle piante.
Le serre del Roccolo – anche se non si tratta propriamente di una dipendenza
reale, per quanto frequentata da casa Savoia – e con caratteristiche assai più
vistose quelle imponenti ed elegantissime di Racconigi, confermano il delicato
equilibrio raggiunto tra bellezza e utilitas
in questa singolare interpretazione del neogotico.
Per
gli innumerevoli castelli disseminati sul territorio vale un discorso a sé. Qui
i nobili hanno dato nel tempo una personale interpretazione poetica, o in
qualche situazione si potrebbe dire
eccentrica, della storia, tra sublime e giocoso. Venendo meno la funzione
difensiva del castello, quale presidio militare strategico di un luogo, avendo disponibile
un archivio a cielo aperto fatto di rovine e leggendarie gesta che in mezzo a quelle
si erano aggirate tramandandosi nei secoli attraverso la memoria viva delle
proprie comunità o nelle pagine di qualche ciclo epico, la fantasia
aristocratica ispirata dal desiderio di darsi un tono corrispondente anche a un
gusto internazionale, crea dei capolavori d’ingegno e d’arte unici nel loro
genere. Il Castello Allara Nigra, quello di Envie e Marene, sono alcuni tra gli
esempi più alti di questa estrema avventura dell’immaginazione che proietta la
tradizione storica dei luoghi verso un’autocelebrazione di sé, affidandosi alla
grazia atemporale della poesia, della fantasia e dell’ornamento in tutto ciò
che viene edificato ex novo ma anche
solo recuperato. Disegnare, progettare, costruire divengono tre momenti
scaturiti da una bizzarra sala degli specchi dove i riflessi non si lasciano
completamente cogliere né catturare, consistenze effimere che tuttavia
attraggono con inaudita forza. Tra decadentismo e inquietudine gioiosa degna
di una corsa in labirinto, questi edifici superano la stessa idea romantica di
rovina come stratificazione del tempo storico ben formulata da Marc Augé in uno
dei suoi saggi più pregevoli, introducendo a una durevole acronica mutevolezza
dell’umana creatività.
Una
sosta particolare in questo itinerario comporta Dogliani e l’autore
dell’ingresso monumentale al suo cimitero, Giovanni Battista Schellino
(1818-1905), una delle personalità più estrose e inafferrabili della stagione
neogotica, interprete di un eclettismo onirico a tratti esorbitante, plasmato
in modo spiccatamente soggettivo, attitudine testimoniata dalla sua vasta e
polimorfica biblioteca-archivio dove accanto ai robusti tomi canonici si
scoprono raccolte di poche pretese e manualetti d’artigianato popolare. Apice
creativo di una mente in continuo movimento, Dogliani è in buona parte il
concretarsi dell’immagine romantica di attinenza filosofica che vede nel gotico
una pietrificazione della natura. Il progetto e il suo realizzarsi nello spazio
fisico si dipanano pur sempre entro sponde fantastiche, nel rimando erudito e
allo stesso tempo svincolato dell’architetto che vuole prendere su di sé la
tradizione salvo poi sparigliarne le carte, da una parte piegato alle necessità
pratiche della committenza dall’altro deciso a non rinunciare a un dialogo
colto, avido di riferimenti letterari – la fiammeggiante città di Dite di
dantesca memoria – e di una stilizzazione estetica, impegnata più a ingaggiare
una battaglia sul piano della mimesi, che al rispetto razionale di presunti
ordini o rapporti.
Schellino
è forse la piena e più interessante incarnazione delle tante anime del
neogotico che hanno preso forma nel cuneese. Da quella di ascendenza più alta,
e verrebbe da definirla altisonante, ad una più sommessa, magari soffusa, che
continuerà a strisciare e rinnovarsi per tutta la provincia fino alla prima
metà del Novecento e anche in manifestazioni contemporanee, che non appartengono
già più alle rigide, piccole e grandi, ossessioni dello stile ma possono ormai
considerarsi parte di un sentire più ampio, cifra culturale di un’area
estremamente prolifica per il tipo di architettura oggetto di questa rassegna.
Tenute,
castelli, torri, ma anche semplici torrette d’osservazione in mezzo a un
giardino, padiglioni per feste o ricevimenti pomeridiani, chioschi di città, e
poi ancora residenze per una villeggiatura rustica e salubre, in prossimità di
terme e montagne, o ancora edifici per animali o essiccatoi per il rito
autunnale della raccolta delle castagne, e infine tempietti, obelischi, edicole
posizionate lungo i percorsi devozionali. Costruzioni per lo più minime, se
vogliamo minimaliste, realizzate con materiali poveri, da maestranze di paese,
nella penuria dei mezzi e senza troppe velleità, ma tutte accomunate dal
bisogno di coltivare un rapporto intimistico, naturale e diretto col paesaggio,
specchio del proprio esserci nel mondo. Un’idea ispirata alla fede e alle cose
semplici del vivere, a metà tra slancio artistico, abbandono bucolico e calendario
esiodeo da “opere e giorni”. Anche questo, anzi soprattutto questo, è il
neogotico in provincia. Uno spazio, dicono Andreina Griseri e Roberto Gabetti nella
loro magistrale Architettura
dell’eclettismo (Einaudi, 1973), dove «l’uomo conta come una canna pensante
su una muraglia cinese», a mio avviso la più lirica delle sintesi sugli
ambienti neogotici.
Lorenzo
Mamino e Daniele Regis, con infaticabile precisione, guidano il lettore in un
cosmo denso di riferimenti geografici, storici, artistici, senza appesantimenti
tecnici né astrattismi teorici, riuscendo gradualmente nella non facile impresa
di coinvolgere sia il lettore poco avvezzo in materia d’architettura sia il
viaggiatore meno familiarizzato con i luoghi descritti, tenendo saldamente
legati i punti generali di questa loro densissima escursione ai dettagli affatto
trascurabili che tanta parte delle presenze neogotiche hanno suffragato fino ai
giorni nostri.
A
chiudere il percorso del Cuneo gotico, l’atlante fotografico di Daniele Regis,
galleria in bianco e nero dei volti salienti di questa immaginifica cavalcata
tra illuminismo, romanticismo e sogno libertario, lucida fantasticheria che si
compiace delle proprie origini storiche e attraverso la loro mediazione tutto
vorrebbe abbracciare per conferire al territorio una dignitas internazionale, senza che i suoi connotati vadano smarriti.
Nel confronto con modelli illustri, il citato testo sull’eclettismo di
Gabetti-Griseri e poi ancora la grande fotografia di Ugo Mulas che a Dogliani
ha dedicato uno dei suoi lavori più commoventi, l’atlante di Regis s’inserisce
in quel dibattito mai sopito sulla funzione dell’immagine in architettura. Non
elemento sostitutivo della visione diretta né strumento del tutto svincolato
dalla scrittura, la foto è un supporto in grado di generare riflessione, un po’
per le sovrapposizioni che comporta con il reale, un po’ per le collisioni che vi
introduce. Al lettore-spettatore il compito di avviarsi alla scoperta delle poliedriche
facce, moltissime sommerse, di un tale avvincente laboratorio creativo.
(Di
Claudia Ciardi)
Dati dell’edizione:
Lorenzo Mamino-Daniele Regis, Il Cuneo gotico. Temi e itinerari nella provincia di Cuneo.
Sagep editori, 2016
* La pubblicazione rientra nell’ambito delle iniziative culturali che nell’ultimo triennio hanno interessato la provincia di Cuneo, valorizzandone il diffuso patrimonio culturale. Dall’architettura all’arte, dalla letteratura alla musica sono tantissime le attività promosse sul campo nell’ottica di una condivisione sempre più ampia tra addetti ai lavori, residenti e visitatori. Cuneo è attualmente candidata a Capitale italiana della cultura per il 2020.
Il lungo e articolato lavoro di studio del territorio, confluito nella monografia qui recensita, insieme ad altre iniziative che annualmente coinvolgono giovani studenti di architettura (ad esempio il progetto dell’A.R.C.A, arte, ricerca, comunità, abitare) sono la manifestazione tangibile del fermento culturale con cui questo territorio ha recentemente inteso valorizzarsi.
** All’interno dell’atlante di Daniele Regis, da cui sono tratte le due immagini che aprono e chiudono questo articolo, si segnalano le foto Guglie, pinnacoli, alberi (Dogliani, cimitero monumentale), esposta in un’edizione della Biennale di fotografia a Venezia, e Salone di ingresso (Busca, Castello del Roccolo), premiata nel contest bandito dalla prestigiosa rivista americana «Black and White» (sezione di architettura, edizione 2017/2018).
*** Le foto che compaiono nel presente articolo sono state selezionate, elaborate e in parte realizzate dall’autrice.
*** Le foto che compaiono nel presente articolo sono state selezionate, elaborate e in parte realizzate dall’autrice.
Il romanticismo, crocevia di suggestioni gotiche e neogotiche
Caspar David Friedrich, Cimitero nella neve, (1817-1819)
Tra
chioschi, padiglioni e flâneurs. Il neogotico passa anche per queste piccole
architetture frutto di un artigianato originale ed estemporaneo.
Il
Castello Allara Nigra come trionfo di un neogotico colto e immaginifico.
«Il castello sembra emergere come idea sublimata, entro un quadro misterioso, in un clima esotico. Non è più un edificio tipo ancorato al passato ma un’immagine attuale, esaltante, pienamente nel clima del romanticismo; e il pittoresco entra in un’idea in cui sia l’edificio che il paesaggio si adattano e si abbelliscono l’un l’altro».
(Da Mamino-Regis, Il Cuneo gotico)
Il Castello Allara Nigra e quello di Marene a confronto con altre realtà regionali: Un
oriente fantasioso e polifonico d’ispirazione moresca, rinascimentale e
neogotica al Castello di Sammezzano in Toscana. Incrocio
fiabesco sbocciato a fine Ottocento dal genio del marchese Ximenes.
Padiglioni
come timide presenze di un sogno, casette per i custodi dei parchi, raffinati
locali per feste e ricevimenti in giardino.
L’architettura neogotica
è il simbolo di un otium aristocratico colto e moderno.
La levità architettonica delle serre di Racconigi, esempio di neogotico tra i più prestigiosi a livello internazionale, forse vagamente ispirate alla leggerezza di forme del Camposanto Monumentale di Pisa.
Non solo gotico ma anche romanico. Due stili che non smettono di parlarsi. Tra l’Abbazia di Revello (Cuneo), la Chiesa di Cavallermaggiore (Cuneo, scelta per la copertina del libro) e San Giovanni Fuorcivitas (Pistoia).
John William Waterhouse, Lady of Shalott, 1915.
Ultimo dei preraffaelliti, si cimenta più volte in questo soggetto. La dama di Shalott, a causa di una maledizione, è costretta a vivere in una torre senza alcun contatto col mondo reale del quale può solo osservare il riflesso in uno specchio. Si tratta di una struggente allegoria, se vogliamo, di tutto il neogotico, stile investito di luce riflessa che imita, assorbe, innova i modelli del passato tra giocosa malinconia e fascino decadente.
Gotico di strada.
Porticine gotiche d’invenzione. Ingresso del settecentesco Teatro Rossi, Via del Collegio Ricci, antistante la facoltà di lettere e filosofia (Pisa).
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