Else
Kotányi (1876 - 1943), conosciuta come Jerusalem, nasce a Vienna da una
famiglia della borghesia ebraica. Il padre è uno stimato commerciante di vini. Decisa
a seguire la propria vocazione letteraria, la giovane Else frequenta
l’università, nonostante sia vietato alle donne iscriversi e sostenere gli
esami. Diviene attivista, fra le prime, per la difesa dei diritti femminili e
si occupa di rappresentare gli emarginati, sia nelle sue prove di scrittura sia
come membro di associazioni e leghe impegnate a migliorarne la condizione.
Lo
scintillante regno austroungarico, alla fine dei suoi fasti, ha i nervi
scoperti e fa fatica a guardarsi allo specchio per riconoscere le proprie contraddizioni. La
Jerusalem, voce dissonante della Finis
Austriae, si aggira tra queste ombre, un po’ fotografandole un po’
esorcizzandole, puntando il dito anche contro i suoi stessi colleghi, immersi
nel frastagliato arcipelago della cosiddetta Jung-Wien.
Paghi
dei loro circoli culturali e di comode frequentazioni negli ultimi caffè dell’impero,
ragionavano di ribellioni fittizie, una protesta silenziosa e un’opposizione
azzimata la loro, molto formale e ben attenta a non intaccare gli equilibri su
cui si reggeva il sistema di potere, del quale essi stessi erano parte attiva.
Figura marginale e sui generis, Else Jerusalem scrive il suo capolavoro, un
romanzo fiume sulla decadenza politica e sociale viennese, ambientandolo in una
casa di piacere. Successo, grande eco in tutta Europa, ma anche pesanti
polemiche. Ingegno ribelle, donna di grande personalità, per nulla incline ai
compromessi, ha saputo guadagnarsi l’amicizia di personaggi illustri della
propria epoca, tra cui Albert Einstein.
Caso
singolarissimo e affascinante di letterata-antropologa, le edizioni Via del
Vento pubblicano per la prima volta in Italia un volume dedicato ai suoi
scritti.
Else Jerusalem, Liberazione e altre prose inedite,
Via del Vento edizioni, 2016
From the book:
«Il
monastero, che solo in via eccezionale dava ricovero a estranei, sorgeva sul
confine tra Tirolo e Italia, in mezzo alla ripida sella del Monte Cristallo,
che da lì, scendendo in una selvaggia pietraia si getta sul versante tirolese.
«Apra
di più la finestra, vorrei vedere il sole».
«Guardi…
splende proprio sul suo letto, signore».
«E
tutto è così freddo e scuro, sorella. Temo che la mia anima giaccia ormai nella
tomba».
Lei
scosse la testa: «Quanto prima se ne tornerà a Roma e dimenticherà tutto» disse
con voce triste.
«Sente
come canta il tordo di Beppo, il pastore? Credo dica qualcosa per lei… somiglia
a un canto di viaggio».»
Recensioni:
Su «Libero» del 7 marzo 2017, a firma di Mario Berardi Guardi
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