«Un
paesaggio che conosciamo ci tocca più profondamente; lo capiamo meglio perché
ci è familiare. Bisogna averci vissuto per comprenderlo, esattamente come si
deve aver sofferto per poter rappresentare la sofferenza. Bisogna aver visto i
cieli». Così Ferdinand Hodler, pittore svizzero attivo tra la metà
dell’Ottocento e la rumorosa stagione delle avanguardie d’inizio Novecento, di
cui quest’anno ricorre il centenario dalla morte.
Sguardo
incline alla rarefazione e a un simbolismo metafisico spinto fino all’astratto,
Hodler è una presenza sommessa nel panorama dell’arte, esattamente come la levigatezza
poetica del suo segno. Dopo i precoci viaggi di formazione al Prado di Madrid,
a Monaco di Baviera e in Italia, nel corso dei quali ebbe modo di osservare dal
vivo i grandi capolavori medievali e del rinascimento, fu oggetto di importanti
attestazioni nel variegato brulicare parigino, dove raccolse tra gli altri la
stima di Gustave Moreau. Aderì ai Rosacroce, quindi entrò nelle Secessioni di Berlino
e di Vienna, conoscendo Gustav Klimt nel 1904. Durante i primi anni del nuovo
secolo continuò a ricevere committenze importanti, dedicandosi a soggetti
storici, entrati nell’epica nazionale, come la battaglia di Morat per la Sala
delle Armi del Museo nazionale di Zurigo.
A
questa attività alternò sempre la sua pittura intimista, percorsa da vibrazioni
spirituali. Autore di un paesaggismo introspettivo, che nel tempo tende sempre
più a svincolarsi dalle residue impostazioni impressioniste per affinare
l’intuizione turneriana delle campiture di colore, quali entità creatrici e
ricreatrici dell’immagine di natura, fino a sfiorarne la sostanza visionaria, nell’ultimo
quinquennio di vita Hodler esercitò la propria sensibilità in tale direzione,
sintetizzando la sua tavolozza e approdando a un minimalismo panteista
emozionale che sfugge ai canoni dell’epoca. Questo Hokusai elvetico, rapito
dalle rive del lago Lemano e dal profilo del Monte Bianco, ha cercato di
catturare le sue montagne con la medesima devozione, quasi sacra, che si
riserva al ritratto. La ricerca di una escatologia figurativa entro le forme dei
panorami verso cui orienta le sue tele si delinea in modo più evidente man
mano che la sua esistenza si avvia alla fine. Una vicenda che incrocia la breve
e intesa storia d’amore avuta con Valentine Godé-Darel, modella di vent’anni
più giovane di lui, incontrata nel 1908, che gli diede la figlia Paulette.
Subito dopo aver partorito Valentine cadde malata, morendo all’inizio del 1915.
La gioia di un amore ritrovato, dopo il fallimento delle precedenti relazioni,
e l’incombere sconvolgente della morte accentuano in Hodler il bisogno di uno
scavo al fondo della realtà che lo assedia, nel tentativo di estrarne la radice
di una trascendenza in quel momento percepita ancor più vicina.
F. Hodler con la figlia Paulette nel 1918
Poche
le rassegne a lui dedicate e altrettanto sporadiche le pubblicazioni. La sua
opera trova spazio accanto a Tobia Bezzola, Paul Lang, Paul Müller, nel
catalogo “Landscapes” del Kunsthaus di Zurigo (2004), e da ricordare è la
recente mostra che gli ha reso omaggio proprio come pittore di montagna presso
la Fondazione Beyler di Basilea (2013). In quest’occasione una sala è stata
allestita con alcuni dei numerosi ritratti del ricovero di Valentine, rara
apparizione pubblica di una serie altrimenti ignota. Ferdinand Hodler è una
figura che merita d’essere approfondita, non foss’altro perché tanti sono gli
scenari artistici da lui attraversati, dai quali pure è stato riconosciuto e
cui ha dato di volta in volta il suo personalissimo apporto, mantenendo però
nel proprio percorso una distanza da tutto e gettando sulle avanguardie un ponte di
originale atemporalità, che lo colloca in una posizione piuttosto inedita nella
storia dell’arte occidentale.
(Di
Claudia Ciardi)
* Il dipinto all’inizio dell’articolo è La Jungfrau sopra la nebbia del 1908.
* Il dipinto all’inizio dell’articolo è La Jungfrau sopra la nebbia del 1908.
Dents du Midi da Chesières (1912)
Il Grand Muveran (1912)
Montagne blu
Paesaggio a Chateau d'Oex
Valle del Rodano con Dents du Midi (1912)
Lago Lemano e catena del Monte Bianco
Genfersee (Lago Lemano) e Monte Bianco (1918)
Genfersee (Lago Lemano) e Monte Bianco all'alba (1918)
Caspar David Friedrich - Paesaggio montano in Slesia
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