Else Lasker-Schüler
Nato davanti a una tazza di caffè gustata sotto un pergolato di Sindelsdorf, Der Blaue Reiter è un movimento molto diverso da quello della Brücke (Dresda, 1905-1906), e dunque dall’espressionismo. Ciò è dovuto al suo rapporto fortissimo con l’eredità del romanticismo tedesco e al contatto con gli artisti russi, legati all’ambiente simbolista, cose che lo espongono all’influsso di dottrine esoteriche.
Entrando nella galleria del Lenbachhaus di Monaco si è infatti colpiti dalla forte presenza del blu cobalto, tanto che sembra di passeggiare in un mondo fiabesco di immagini irreali, vicine alla natura, dove l’universo romantico convive con un’istanza di rottura della tradizione. Leggendo alcune osservazioni di Boris de Rachewiltz circa il simbolismo racchiuso nell’azzurro presso le culture orientali, non sfuggirà il nodo di implicazioni che una simile scelta di colore comporta: «Questa predominanza [del blu] può riferirsi – al di là della pura e semplice visione estetica – a un elemento archetipico cromatico la cui dimensione «magica» era ben nota agli antichi egiziani (si ricordi la vasta produzione di faïence azzurra) e che si basa sulla particolare vibrazione di questo colore. In sede scientifica si potrebbe ricordare come le onde luminose provenienti dal sole ed invisibili negli spazi cosmici, colpendo l’atmosfera, brillino di luce azzurra. La percezione intuitiva di antiche genti sul miracolo della «luce» portò quindi alla attribuzione di una proprietà magica al colore azzurro […]. La stessa giada azzurra venne considerata magica dai cinesi in quanto si reputava contenesse il principio Yang e quindi la «segnatura» solare, divenendo così un centro carico di energie cosmiche» (si tratta del suo famoso studio sulla poesia poundiana, L’elemento magico nella poesia di Ezra Pound, pp. 14-15).
Un altro aspetto che contraddistingue Il Cavaliere azzurro è il sodalizio, tutt’altro che superficiale, tra pittori e musicisti. Basti pensare che nel celebre almanacco di presentazione sono inserite le partiture di Schönberg, Berg e Webern, e ben quattro saggi musicali su quindici complessivi. Anche a monte di ciò si registra un’eredità simbolista, un bagaglio che si coglie pure nel forte interesse per il primitivo dimostrato da tutti gli aderenti. Il gusto per ciò che è naïf, ossia fotografato in uno stato di comunione con la natura, non solo penetra nel Blauer Reiter attraverso il filtro delle più o meno coeve esperienze d’avanguardia ma si materializza in una vera e propria ricerca delle origini, ravvisate ad esempio nelle figurine del teatro d’ombre egiziano, nei disegni cinesi e negli ex voto bavaresi (importanti soprattutto per Kandinskij), pitture queste ultime di incredibile semplicità tecnica e compositiva, eseguite su specchi e vetri, quale attestazione della grazia ricevuta.
Infine non è possibile non riconoscere uno spiccato carattere internazionale del gruppo, soprattutto aperto all’elemento russo-slavo. I russi, in particolare Kandinsky, Javlenskij e la Werefkin, trapiantati a Monaco, sono i rappresentanti di una religiosità, il cui misticismo si unisce al romanticismo tedesco, oltre ad essere portatori di una sensibilità per il colore, vicina ai toni esplosivi e fantastici dei fauves, incontrati a Parigi.
Insieme a Kandinsky, il padre putativo del movimento e colui nel quale si identifica la figura “virtuosa e visionaria” del cavaliere, è Franz Marc, legato peraltro da una profonda amicizia a Else Lasker-Schüler, moglie del gallerista Herwarth Walden. Else chiama Marc con il soprannome di fratello Ruben e gli indirizza non poche lettere (56 per l’esattezza, vergate tra il 1913 e il '15) in cui mima i più improbabili travestimenti, ora proclamandosi regina di Tebe, esotica e sensuale, ora cortigiana d’avanguardia, irriverente e androgina.
Nel suo epistolario Else assume il ruolo di gran sacerdotessa che officia la nascita rituale della nuova arte monacese. Il dialogo intrecciato con Ruben prima del dramma – l’artista infatti muore nella prima guerra mondiale, diventando una sorta di incarnazione di Adone, giovane e dolente – somiglia a un cammeo bizantino, un'affiche surreale ornata di illusionismo, la cui vibrante gestualità si ritrova, per certi versi, nello straordinario bazar weimariano allestito da Benjamin, più di un decennio dopo, sulla sua Einbahnstrasse.
Con l’aroma del caffè, da Sindelsdorf arrivano a Berlino le cartoline di Franz animate da paesaggi onirici e spiazzanti cavalli azzurri. Else non si lascia certo cogliere impreparata e risponde coniando un fortunatissimo epiteto: «caro cavaliere azzurro». L’idea si lega finalmente a un nome e il gruppo può così consegnarsi alla storia. Né manca in tutto questo l’ammiccamento sessuale, maschera ironica ed estremamente volubile, che presiede al gioco di reciproca investitura artistica: «Siamo entrambi seduti sul pavimento della stanza dei giochi nel vecchio palazzo a Tebe; giochiamo insieme con le cianfrusaglie, con le gambe di legno, con la coda del cavallo a dondolo rotto. Fez polverosi e turbanti stracciati e vari tipi di legno del Libano sono sparsi un po’ dappertutto fino all’uscita. Ci rincorriamo sulla scala a chiocciola, che già scricchiola, i suoi scalini sono marci e traballano come i vecchi denti degli eunuchi. Tu sei il più caro che io conosca, sei fatto di puro miele; bada che non venga un orso a leccarti. Io sono ancora piccolina, gioco sempre a nascondermi dietro le mani o far trapelare il sole fra le dita. Tu sei sempre di casa, ma per lo più siamo due porcospini che si rotolano sui sassi ruvidi – o due lombrichi; quando sentiamo delle voci ci rifugiamo in un cantuccio» (lettera 26).
E ancora: «[…] lontani vagano i tuoi occhi bruni e la tua mano afferra la prima striscia d’aurora nel cielo, per intagliarsi un bastone da pastore. Tu, grande pastore fra i principi, Tu, Emiro, Tu Messia di tutte le fiere dei boschi nuziali, delle cupe foreste vergini. Tu, azzurro guidatore del destriero, Tu sciacallo bruno-oro, che afferra la gazzella dalla roccia. Tu mi insegnasti la parola dell’assassinio casto. Sei Ruben, l’uomo ancora intatto della Bibbia. Tuo fratello Jussuf» (lettera 35).
Simili tonalità non sono forse straordinariamente affini ad alcuni cori di bassaridi, ministre e ambasciatrici di quell’eros dionisiaco e di quella sensualità innica disseminati nei Cantos, che si andavano inaugurando più o meno nello stesso momento dell’avanguardia di Monaco? La cultura europea sembra percorsa, ma meglio sarebbe dire scossa, dal riprodursi di simboli e archetipi che nel primo novecento affollano il panorama del fermento creativo. Impossibile non cogliere il bisogno concettuale, e ancor più plastico, di irretire la materia in nuovi alfabeti e linguaggi in grado di comprenderla nella maggiore profondità e completezza d’espressione. Ma in ogni caso si tratta di una esplorazione che guarda all’antico e non sogna affatto di amputare né disconoscere l’origine dell’arte occidentale, anzi l’obiettivo è proprio il recupero di tale radice di pensiero per provare a operarne una sintesi.
La scelta di alcune lettere della Lasker-Schüler, nella traduzione di Maura Del Serra, autrice anche di una puntuale analisi del milieu in cui l’epistolario è venuto alla luce, fa di questo volumetto, edito da Via del Vento, un prezioso contributo all’approfondimento non solo di una singola avanguardia ma in generale di un’epoca che ha assistito a una grande mobilità di ingegni e idee, chiosando, almeno per un piccola porzione, quel concitato crocevia che è la cultura del primo Novecento.
Un altro aspetto che contraddistingue Il Cavaliere azzurro è il sodalizio, tutt’altro che superficiale, tra pittori e musicisti. Basti pensare che nel celebre almanacco di presentazione sono inserite le partiture di Schönberg, Berg e Webern, e ben quattro saggi musicali su quindici complessivi. Anche a monte di ciò si registra un’eredità simbolista, un bagaglio che si coglie pure nel forte interesse per il primitivo dimostrato da tutti gli aderenti. Il gusto per ciò che è naïf, ossia fotografato in uno stato di comunione con la natura, non solo penetra nel Blauer Reiter attraverso il filtro delle più o meno coeve esperienze d’avanguardia ma si materializza in una vera e propria ricerca delle origini, ravvisate ad esempio nelle figurine del teatro d’ombre egiziano, nei disegni cinesi e negli ex voto bavaresi (importanti soprattutto per Kandinskij), pitture queste ultime di incredibile semplicità tecnica e compositiva, eseguite su specchi e vetri, quale attestazione della grazia ricevuta.
Infine non è possibile non riconoscere uno spiccato carattere internazionale del gruppo, soprattutto aperto all’elemento russo-slavo. I russi, in particolare Kandinsky, Javlenskij e la Werefkin, trapiantati a Monaco, sono i rappresentanti di una religiosità, il cui misticismo si unisce al romanticismo tedesco, oltre ad essere portatori di una sensibilità per il colore, vicina ai toni esplosivi e fantastici dei fauves, incontrati a Parigi.
Insieme a Kandinsky, il padre putativo del movimento e colui nel quale si identifica la figura “virtuosa e visionaria” del cavaliere, è Franz Marc, legato peraltro da una profonda amicizia a Else Lasker-Schüler, moglie del gallerista Herwarth Walden. Else chiama Marc con il soprannome di fratello Ruben e gli indirizza non poche lettere (56 per l’esattezza, vergate tra il 1913 e il '15) in cui mima i più improbabili travestimenti, ora proclamandosi regina di Tebe, esotica e sensuale, ora cortigiana d’avanguardia, irriverente e androgina.
Nel suo epistolario Else assume il ruolo di gran sacerdotessa che officia la nascita rituale della nuova arte monacese. Il dialogo intrecciato con Ruben prima del dramma – l’artista infatti muore nella prima guerra mondiale, diventando una sorta di incarnazione di Adone, giovane e dolente – somiglia a un cammeo bizantino, un'affiche surreale ornata di illusionismo, la cui vibrante gestualità si ritrova, per certi versi, nello straordinario bazar weimariano allestito da Benjamin, più di un decennio dopo, sulla sua Einbahnstrasse.
Con l’aroma del caffè, da Sindelsdorf arrivano a Berlino le cartoline di Franz animate da paesaggi onirici e spiazzanti cavalli azzurri. Else non si lascia certo cogliere impreparata e risponde coniando un fortunatissimo epiteto: «caro cavaliere azzurro». L’idea si lega finalmente a un nome e il gruppo può così consegnarsi alla storia. Né manca in tutto questo l’ammiccamento sessuale, maschera ironica ed estremamente volubile, che presiede al gioco di reciproca investitura artistica: «Siamo entrambi seduti sul pavimento della stanza dei giochi nel vecchio palazzo a Tebe; giochiamo insieme con le cianfrusaglie, con le gambe di legno, con la coda del cavallo a dondolo rotto. Fez polverosi e turbanti stracciati e vari tipi di legno del Libano sono sparsi un po’ dappertutto fino all’uscita. Ci rincorriamo sulla scala a chiocciola, che già scricchiola, i suoi scalini sono marci e traballano come i vecchi denti degli eunuchi. Tu sei il più caro che io conosca, sei fatto di puro miele; bada che non venga un orso a leccarti. Io sono ancora piccolina, gioco sempre a nascondermi dietro le mani o far trapelare il sole fra le dita. Tu sei sempre di casa, ma per lo più siamo due porcospini che si rotolano sui sassi ruvidi – o due lombrichi; quando sentiamo delle voci ci rifugiamo in un cantuccio» (lettera 26).
E ancora: «[…] lontani vagano i tuoi occhi bruni e la tua mano afferra la prima striscia d’aurora nel cielo, per intagliarsi un bastone da pastore. Tu, grande pastore fra i principi, Tu, Emiro, Tu Messia di tutte le fiere dei boschi nuziali, delle cupe foreste vergini. Tu, azzurro guidatore del destriero, Tu sciacallo bruno-oro, che afferra la gazzella dalla roccia. Tu mi insegnasti la parola dell’assassinio casto. Sei Ruben, l’uomo ancora intatto della Bibbia. Tuo fratello Jussuf» (lettera 35).
Simili tonalità non sono forse straordinariamente affini ad alcuni cori di bassaridi, ministre e ambasciatrici di quell’eros dionisiaco e di quella sensualità innica disseminati nei Cantos, che si andavano inaugurando più o meno nello stesso momento dell’avanguardia di Monaco? La cultura europea sembra percorsa, ma meglio sarebbe dire scossa, dal riprodursi di simboli e archetipi che nel primo novecento affollano il panorama del fermento creativo. Impossibile non cogliere il bisogno concettuale, e ancor più plastico, di irretire la materia in nuovi alfabeti e linguaggi in grado di comprenderla nella maggiore profondità e completezza d’espressione. Ma in ogni caso si tratta di una esplorazione che guarda all’antico e non sogna affatto di amputare né disconoscere l’origine dell’arte occidentale, anzi l’obiettivo è proprio il recupero di tale radice di pensiero per provare a operarne una sintesi.
La scelta di alcune lettere della Lasker-Schüler, nella traduzione di Maura Del Serra, autrice anche di una puntuale analisi del milieu in cui l’epistolario è venuto alla luce, fa di questo volumetto, edito da Via del Vento, un prezioso contributo all’approfondimento non solo di una singola avanguardia ma in generale di un’epoca che ha assistito a una grande mobilità di ingegni e idee, chiosando, almeno per un piccola porzione, quel concitato crocevia che è la cultura del primo Novecento.
(Claudia Ciardi, maggio 2011)
Portrait
Else Lasker-Schüler (Elberfeld, Westfalia, 11 febbraio 1869 – Monte degli Ulivi, 22 gennaio 1945).
Else Lasker-Schüler, "Caro cavaliere azzurro" Lettere a Franz Marc, a cura di Maura Del Serra, Via del Vento edizioni, maggio 1995.
Titolo originale: Der Blaue Reiter präsentiert Eurer Hoheit sein Blaues Pferd, Monaco, Prestel, 1987 (comprende tutte le 56 lettere scritte dalla poetessa al “fratello Ruben”).
Else Lasker-Schüler, 11. 2. 1869 Elberfeld - 22. 1. 1945 Jerusalem. Die Tochter eines jüdischen Bankiers erhielt nach Schulabbruch Privatunterricht, heiratete 1894 den Arzt Dr. Berthold Lasker und zog nach Berlin. Hier entwickelte sich kurz vor der Jahrhundertwende eine enge Freundschaft mit P. Hille, mit dem sie zeitweise in der von den Brüdern Hart gegründeten Neuen Gemeinschaft zusammenlebte; 'Das Peter Hille-Buch', ihre erste Prosaarbeit, überhöhte die Beziehung ins Traumhaft-Mythische. Inzwischen von Lasker geschieden, heiratete sie 1903 H. Walden, den späteren Herausgeber der Zeitschrift «Der Sturm» (Scheidung 1912). 1933 emigrierte sie in die Schweiz und reiste danach wiederholt nach Palästina. Hier wurde sie 1939 vom Ausbruch des Krieges überrascht, so dass sie nicht mehr in die Schweiz.
«Chi abbandona l’amico è un disertore, ma guai a chi si vanta della vittoria con il nemico. Voglio essere imperatore sopra l’imperatore. Ciascuno di voi, sia pure il più povero, è il mio imperiale suddito. Vogliamo baciarci sulla bocca. Io, il Malik, ognuno di voi, ognuno di voi l’altro. Dunque curate dolcemente le parole del mio amore, che fioriscano in mezzo al pane dei vostri acri. Ho sempre guardato al cielo, oh, dovete avermi caro, e vi porto con molta dolcezza il mio cuore come un grande narciso» (lettera 55, a Karl Kraus).
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Leseprobe aus Die kreisende Weltfabrik
DIE BEIDEN WEISSEN BÄNKE VOM KURFÜRSTENDAMM
Meinem lieben Freunde Andreas Meyer Morgens standen sie plötzlich auf dem Kurfürstendamm wie vom Himmel gefallen in Mondsichelfasson. Die eine weiße Bank winkte den Letzten, die aus der Friedrich-Wilhelm-Gedächtniskirche kamen, freundlich zu, die andere weiße Bank lud eine blonde Schöne ein in aschgrünem Samt. Ich bin seitdem öfters an den weißen Bänken vorbeigegangen; gestern setzte ich mich zum erstenmal auf die eine, den Damm weiter, auf die andere. guckte ich geradeaus, bot sich mir ein Kreuz- und Querbild. Man sieht es vielen Vorbeieilenden an am Operngucker in ihrer Hand, wohin sie wollen zur Hochbahn in einer halben Stunde fangen die Theater an. Andere kommen aus der Stadt, biegen um die Joachimsthaler Straße und kehren ein in das heimatliche Café des Westens. Kommen da zwei kleine, arme Mädchen; in ihrer Mitte ihren lebendigen, rotbäckigen Hampelmann, der sprechen kann. "Zwei Jahre ist er", erzählen sie mir und streiten sich, wer ihn aufwarten, das heißt, wer mir von ihnen seine Kunststücke zeigen wird. "Wir sind keine Schwestern", antworten die beiden gernegroßen Mütter, sie lassen schon behäbig das Kinn hängen, fürsorglich sind sie um ihren kleinen Kasperle. "Wir sind jede für uns allein." Sie meinten damit, sie sind nicht einmal verwandt. Lieschen ist in Pflege, ihr Pflegevater ist Nachtwächter manchmal legt er sich vor Müdigkeit, wenn er morgens nach Haus kommt, mit dem Bund Schlüsseln und der Laterne ins Bette. Das andere Lieschen, sie heißen beide ganz gleich, erzählt: Sein Vater helfe einem Zauberer. "Ein schwarzer Neger ist sein Papa!" Es ruft mich jemand von der Haltestelle der Elektrischen, ein Dichter im Florentiner, er will in die Kolonie fahren. "Reisen Sie alleine, Torquato Tasso, ich will mich noch auf die weiße Schwesternbank setzen." Ich sehe mich nach ihr um, sie glänzt viel bräutlicher wie diese, von der ich mich erhebe; und ich zögere, mich auf die myrtenweiße niederzusetzen. Aber die beiden Verliebten da bemerken es nicht. Aus der Kirche treten schon die ersten Sonntaglinge, die Sonne spielt Orgel um das Haus mit ihren schlanken Strahlen. Ich verstecke mein Gesicht in dem großen Glockenturm sehe, höre und denke nichts. und doch findet man sich auf den weißen Bänken wieder, wenn man sich verloren hat.
Beschreibung zu Die kreisende Weltfabrik
Else Lasker-Schüler, 1869 in Elberfeld (Wuppertal) geboren, 1945 in Jerusalem gestorben, lebte seit 1894 in Berlin, schrieb Gedichte, Theaterstücke, Prosa und wurde eine der bekanntesten Figuren der aufregenden zehner und schrillen zwanziger Jahre. 1933 musste sie in die Schweiz emigrieren, seit 1939 lebte sie in Palästina. Für Gottfried Benn war sie »die größte Lyrikerin des Jahrhunderts«.
Ihr Ruhm basiert auf sehr poetischen und phantasiereichen Liebesgedichten, auf ihrer unkonventionellen Lebensweise, auch auf der Fähigkeit, geradezu schwärmerisch auf Personen zuzugehen, die sie als geistesverwandt ansah und dann in Gedichten und Briefen verewigte.
Es gibt auch eine andere Seite der Else Lasker-Schüler, die viel zu wenig wahrgenommen wurde und wird: die der genauen Beobachterin des großstädtischen Lebens in Berlin. Es gibt eine Reihe von Prosatexten und Porträts aus den zehner und zwanziger Jahren, also aus der Zeit, in der Else Lasker-Schüler in Berlin lebte, die eine überraschend präzise formulierende Autorin zeigen und das Bild korrigieren, das von vielen Interpreten (à la »eine ganz nach innen gekehrte Seherin«) geprägt wurde. Sie ist hier als Autorin zu entdecken, die ihre soziale Umgebung mit allen Details und Widersprüchen wahrnahm, sie hinreißend genau beschreiben konnte und dann mit ihrer einzigartigen Ausdruckskraft zum Leuchten brachte. In einer manchmal ironischen, manchmal ganz sachlich am Gegenstand (Straßen, Plätze, Bäume, Hotels, Cafés etc.) oder an Personen (Porträts von Zeitgenossen, bekannten wie unbekannten) orientierten Sprache hat Else Lasker-Schüler etwas über die damalige Zeit und das damalige Berlin zu sagen, was über die Feuilletons anderer Autoren dieser Zeit hinausgeht und eine ganz eigene Farbe trägt.
Else Lasker-Schüler: Die kreisende Weltfabrik. Berliner Ansichten und Porträts
Herausgegeben und mit einem Nachwort von Heidrun Loeper
Transit Buchverlag, Berlin 2012
130 Seiten, 14,80 EUR.
ISBN-13: 9783887472825
See also:
War & Metropolis/ Robert Musil, la guerra e la metropoli
Robert Musil, Narra un soldato, Via del Vento edizioni, novembre 2012
recensione di Giuliano Brenna per La Recherche
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