«Jede Begegnung mit dem Tod muss bezahlt werden»
Da Reporter als Kampfgenossen – Ingrid Kolb
Berlin, 1946 ©
La sagoma del Reichstag sventrato naviga sullo sfondo di una Berlino divenuta spettrale cornice della distruzione.
Desideriamo tornare su un tema che ci appassiona molto, ossia il fotoreportage dalle zone di guerra. Abbiamo già avuto modo di spendere qualche parola sull’ascesa della fotografia nel corso del Novecento quale supporto di straordinaria efficacia per raccontare la storia ma anche e soprattutto come strumento in grado di sollecitare, come mai prima, una riflessione attorno a eventi di portata così devastante, quali ad esempio le due guerre mondiali.
È proprio con la Grande Guerra che il documento fotografico conosce un’inedita affermazione. Molti furono infatti gli ufficiali che partirono per il fronte con tanto di macchina portatile al seguito. I loro scatti segnarono una decisiva svolta nell’utilizzo dell’immagine, che venne allora svincolandosi dalle sue funzioni tecnico-scientifiche, e si impose come mezzo narrativo di sconvolgente immediatezza.
Il documento fotografico avrebbe dunque contribuito a sviluppare un importante dibattito sulle atrocità commesse nei territori di guerra e, preservando la memoria di fatti che per la prima volta con tanta veemenza scuotevano le coscienze, a creare un ampio fronte di consapevolezza verso tali avvenimenti.
Werner Bischof (Zurigo, 1916 – Perù, 1954) è uno dei nomi di maggior rilievo a livello internazionale nel campo del fotoreportage del dopoguerra. Dal 1932 al 1936 studia alla Scuola di arti applicate di Zurigo con il fotografo Hans Finsler legato al movimento Nuova Oggettività (Neue Sachlichkeit). In un primo tempo, quindi, percorrendo con grande precisione e perfezione la strada della fotografia realistica e di moda. Qualcosa di simile agli inizi di carriera di molti autori, (ad esempio August Sander, del quale abbiamo parlato) incentrati sulla ritrattistica, il che consentiva di esercitarsi avendo garantiti i proventi necessari a coltivare la professione. Nel 1942 entra a far parte, come collaboratore fisso, della redazione della rivista svizzera «Du» per la quale svolge principalmente l'attività di fotografo di moda. Durante la seconda guerra mondiale non si muove dalla Svizzera. Resiste nell’ “occhio del ciclone”. Quando la tempesta si placa, Bischof si mette in cammino per documentare i disastri della guerra. Parte nel settembre 1945 diretto nella Germania sud-occidentale, nella zona controllata dai francesi, con una bicicletta, zaino, rullino e fotocamera Leica. Nel suo diario annota questo suo primo incontro con la devastazione, dà conto di come in preda allo stordimento barcollasse in mezzo a un paesaggio di rovine, crateri di esplosioni, montagne di mattoni, sotto cui i corpi seguitavano a imputridire. Di questa esperienza chiave in seguito ha scritto: «Poi venne la guerra e da ciò la distruzione della mia torre d’avorio. Il volto dell’umanità sofferente divenne il punto centrale». E lui si trasforma in fotoreporter. Dedicandosi al fotoreportage ha dovuto modificare il suo modo di lavorare – non conta più infatti l'immagine preparata e elaborata in studio, bensì il momento reale, che è impossibile programmare. Dal 1949 inizia a lavorare per la stampa internazionale e entra nel gruppo Magnum.Brandenburger Tor, Berlin, 1946 ©
Warsaw, 1948 ©
(Di Claudia Ciardi)
A man looking at the ruined city, Frankfurt, 1946 ©
«Während der sechs Kriegsjahre verließ Bischof die Schweiz kein einziges Mal mehr, blieb, wie sein Vaterland, unversehrt von den kriegerischen Wirren, die ringsherum in Europa tobten. Er harrete aus im Auge des Sturms. Als dieser sich gelegt hatte, brach Bischof auf. Im September 1945 fuhr er – mit Fahrad, Rucksack, einer Rollei und einer Leica – nach Südwestdeutschland, in die französisch besetzte Zone. Im Tagebuch notierte er, dies sei seine erste Begegnung mit der vollkommenen Verwüstung. Wie benommen taumelte er durch eine Landschaft aus Ruinen, Bombenkratern, Bergen von Backsteinen, unter denen noch immer Leichen rotteten. Später schrieb er über dieses Schlüsserlebnis: «Dann kam der Krieg und damit die Zerstörung meines “Elfenbeinturms”. Das Gesicht des leidenden Menschen wurde zum Mittelpunkt». Er wurde zum Reportagefotografen. Die Nähe zur Malerei und die künstlerischen Kompositionen, mit denen Bischof sich als Werbefotograf einen Name gemacht hatte, blieben auch für seine journalistischen Bilder stilbildend: In ihnen zeigt sich ein außergewöhnlicher Instinkt für Augenblicke, in denen die Zeit innezuhalten scheint. Viele der Fotos, auch traurige, auch tragische, sind von kontemplativer Schönheit. Manche, wie das des halbzerstörten Berliner Reichstags, vor dessen in Nebel gehüllter Silhouette ein Soldatenhelm und die Sonne sich im Wasser einer Pfütze spiegeln, wirken wie aufwendig arrangierte Stillleben, in denen sich Licht, Schatten, Formen, Proportionen zu einem durchkomponierten Ganzen verdichten».
Abstract from Wunden der Welt – Der zweite Weltkrieg, Zeitenspiegel-Reportageschule, Günther Dahl
A mother breastfeeding her child, Bonn ©Bibliography:
After the war
Werner Bischof, Werner Adalbert Bischof
Smithsonian Institution Press, 1997 - 39 pagine
Smithsonian Institution Press is pleased to join Motta Fotografia, one of Europe's foremost publishers of photography, in presenting a series showcasing the work of postwar masters. Each book includes more than forty duotone or color images and represents an original approach to a particular theme by one of the century's finest documentary or fine-art photographers.This extraordinary portrait of Europe's slow emergence from the rubble of World War ll documents in luminous images Werner Bischof's travels through Germany France, Hungary, Greece, and Italy during a time of profound transition in both countryside and city.
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Questions To My Father: A Tribute to Werner Bischof
Werner Bischof, Marco Bischof (Werner's son)
Phaidon Press, 2004 - 160 pagine
In 1916, with the Great War reducing northern Europe to a treeless, shattered void, a boy was born to the prosperous director of a pharmaceutical firm in Zurich. He was named Werner. It was not an auspicious time to be born and, indeed, his mother died soon after. As a child, young Werner sought order in his life by dissecting snails and photographing, in the limpid light of his creation, the elegant whorls revealed. He did not become the physical training instructor his father wanted him to be. He did not become the painter he had once wanted to be in Paris in 1939, on the brink of another devastating conflict. He became Werner Bischof, the man, and a photographer of incalculable artistry who found in both order and the chaos he confronted and experienced a sublime beauty, a humanity that was singularly his own. His photographs of a post-war Europe in poverty and despair expressed infinite hope for the human condtion, yet he was only 29. Less than 10 years later he was dead, leaving behind among his last photographs that of a Peruvian child playing his flute on the edge of a ravine. It is now an iconic photograph with a fatal allure. Bischof himself died when his jeep plunged over a ravine in the Andes on a quest for the faces, the lives, of harmony there. Fifty years later his son Marco has gathered together 70 previously unpublished photographs by Werner Bischof. They powerfully reiterate the man his father was, the nature of his humanity and his search for a benign and beautiful cognisance of the brief and terrifying world he lived in.
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Wunden der Welt - Ferite del mondo
Zeitenspiegel-Reportageschule, Günther Dahl und Magnum Photos
Da una guerra all’altra, cambiano i luoghi e le persone ma la miseria umana si ripete e la riflessione che ne scaturisce è sempre la stessa: di fronte alla violenza, nessun argine tiene. Gli uomini che si aggirano in queste prese ci inchiodano senza scampo alle contraddizioni del Novecento, secolo del progresso scientifico, delle grandi ratifiche in materia di diritti e ambiente, e al contempo fabbrica di sconvolgenti catastrofi.
Magnum Photos - Portfolio
PortraitWerner Bischof - offizielle Website
Magnum Photos - Portfolio