Ingresso del Mao di Torino con Buddha del Gandhara sullo sfondo
Si
avvia alla chiusura la grande mostra sulla Via della Seta allestita al Mao di
Torino (Museo d’arte orientale), evento patrocinato dalla presidenza della
repubblica col quale si è inteso rilanciare e prolungare nel tempo la rassegna celebrativa dell’incontro fra oriente e occidente già ospitata al Palazzo del Quirinale. Tali manifestazioni si collocano negli attuali sviluppi del
panorama geopolitico, che vede una Cina sempre più interessata a coltivare le
aperture con l’Europa, non limitatamente al piano commerciale ma ancor più
indirizzandosi alle relazioni culturali, creando rinnovati pilastri identitari
d’incontro tra Asia e vecchio continente su cui consolidare il passato, al contempo lavorando
a nuove vie di scambio e collaborazione.
La
ricchezza dei materiali esposti – ceramica, toreutica, tessuti, mappe – e i dettagliati approfondimenti che aiutano il visitatore a collocarli lungo
le antiche strade carovaniere hanno creato una della più importanti iniziative mai dedicate dal nostro paese a questo sterminato argomento. Del resto,
l’Italia ha inteso raccogliere con solerzia e competenza l’invito rivolto dal
presidente cinese Xi Jinping al nostro paese ad essere attori di primo piano
nella costruzione della “nuova” Via della Seta. Il leader cinese ha illustrato
il suo disegno in due recenti occasioni pubbliche, dapprima nel settembre 2013
presso l’università Nazarbayev di Astana (Kazakistan) in cui ha parlato di
“cintura economica della Via della Seta”, intendendo porre l’accento sulla
valorizzazione della direttrice di terra di questo millenario percorso, essendo il Kazakistan da sempre un crocevia di viaggiatori dai due continenti. Il secondo
intervento è caduto a un mese di distanza nel parlamento indonesiano a Giacarta
(antica Batavia), base della Compagnia delle Indie Orientali. Qui i vascelli
asiatici e occidentali riempivano la stiva di spezie tanto preziose quanto e
più dell’oro. La linea della presidenza cinese ha così fissato le due cinghie
di trasmissione, terra-mare, lungo cui Pechino ha in animo di rifondare floride
relazioni con i paesi attraversati.
Evidentemente
siamo di fronte a uno dei più grandi progetti lanciati nel nuovo millennio,
destinato, una volta a regime, a cambiare profondamente gli assetti economici e
politici che abbiamo finora conosciuto. È chiaramente una sfida all’egemonia
statunitense. Da anni la Cina coltiva il sogno, sempre più a portata di mano,
di soffiare il primato al gigante d’oltreoceano. Ora che il TTIP promosso dagli
Usa si è impaludato nelle più varie avversioni europee, da quelle
politiche-sovraniste ad altre di natura ecologista – e in effetti se uno si
scorre le condizioni del trattato c’è parecchio da cui guardarsi – la volata
dei cinesi appare come una manovra di ampio respiro, che non solo è in grado di
galvanizzare popoli e culture alle più varie latitudini, perché evoca in ogni
paese coinvolto un’avventura già vissuta, facente parte del proprio retaggio
storico; ma ancor più in quanto siamo di fronte a una macchina potente
dell’immaginazione: l’idea di potenziare le infrastrutture ferroviarie per
unire spazi immensi, città e popoli lontanissimi, solletica la fantasia
umana con un magnetismo cui è difficile sottrarsi. L’espandersi del traffico
aereo ha già reso il mondo molto più piccolo di quel che era, ma continua a restituirci una cartolina distante, affrettata e sfocata per così dire. La ferrovia invece ci lega di più ai luoghi che attraversiamo –
si pensi al fascino durevole dell’Orient Express – e disporre di linee ad alta
velocità che dal Mar Giallo arrivino al cuore di Madrid è appunto una
meravigliosa frontiera, forse in grado di dare alla globalizzazione un senso
alquanto diverso.
Naturalmente
a ciò si accompagnano opere strategiche per l’approvvigionamento energetico –
gasdotti e oleodotti – l’altra faccia dell’inarrestabile ingresso del gigante
asiatico nel Mediterraneo. Tra i vari organismi finanziari fondati ad hoc
dall’amministrazione cinese per la gestione dei grandi volumi di investimento
che la nuova cintura economica comporta c’è la Aiib (Asian Infrastructure
Investment Bank), che attualmente coinvolge cinquantasei paesi, Italia inclusa.
Per l’intero progetto il governo di Pechino ha pensato a uno stanziamento
complessivo di quattromila miliardi; si
consideri che attualizzandone i costi oggi il Piano Marshall varrebbe centotrenta
miliardi.
Di
fronte a questa inclinazione titanica e soprattutto a uno sguardo così ampio,
rivolto a un orizzonte temporale tanto vasto, le chiusure a marchio Trump
suonano come tentennamenti inadeguati, per non dire stonati.
La
mostra torinese ha voluto ripercorrere le tappe salienti di un processo
cominciato più o meno ai tempi della cosiddetta pax sinica coincidente con il
primo impero cinese (200 a.C – 200 d.C) passando per i trascorsi avventurosi di
Marco Polo, dei cartografi medievali divisi tra nozionismo tecnico e imago
mundi, rendendo conto della sorprendente attività manifatturiera che le “vie”
della seta erano capaci di offrire, provvedendo alle più varie necessità
commerciali. Un vivace colpo d’occhio sulla storia per risvegliare volontà, audacia, desiderio di unione tra i popoli nei viaggiatori dell’oggi.
(Di
Claudia Ciardi)
31 marzo - 2 luglio 2017
Catalogo a cura del Museo d’arte orientale
Conferenze e interventi a cura di: Politecnico di Torino, Università di Pechino, Salone del libro Off, Il Mulino