Nel solco delle grandi mostre sul Barocco piemontese del 1937 – mostra-evento tra i
più partecipati di sempre – e del 1963, con l’altrettanto celebrata rassegna tra Palazzo Madama, Palazzo Reale e Stupinigi, quest’anno la Reggia di Venaria rinnova la tradizione allestendo
un ricchissimo percorso orientato alla pittura, scultura, architettura, alle arti
decorative, alla toreutica. In scena duecento capolavori per tracciare poco meno di
un secolo di creatività tra Roma, Torino, Parigi. Influssi, sodalizi, confronti
tra il 1680 e il 1750 in tre capitali dell’arte, di cui la città sabauda appare
un polo mediano tra l’antico, rappresentato da Roma, e il nuovo, incarnato
dalla cultura nordica, con la scuola parigina che rafforzerà sempre più la
propria identità in scia ai suoi maestri e all’insegnamento fiammingo. Quei
fiamminghi che tanto penetrarono anche nella stagione rinascimentale,
infiorescenza gotica sul tronco dei maestri italiani talora rapiti dal
virtuosismo e dalla resa dei dettagli. L’affermazione leonardesca secondo la
quale «il piegar de’ panni s’immerge nella luce» indica la suggestione di quei
modelli e ancor più un intento per così dire già barocco nell’elaborare alcune
rese. Quegli stessi panneggi la cui morbidezza, evanescenza, ipnosi cromatica è
stata scelta non a caso a simboleggiare il cammino delle mostre barocche di
quest’anno.
La
complessità dei richiami, il volto multiforme del passato è uno dei tratti
scandagliati in questa mostra torinese che via via ci propone gruppi di artisti
dialoganti con espressioni e momenti diversi della storia dell’arte,
dall’antico al Cinquecento. Cosicché il Barocco emerge in controluce un po’
come una nave fantasma che appare inavvertitamente allo spettatore nell’incanto
di acque sempre nuove. Di questo straordinario collettore di sguardi e
compresenze gli architetti assoldati dalla corte torinese si sono fatti interpreti
fra i più estrosi e raffinati. Su tutti Filippo Juvarra (Messina 1678-Madrid
1736), nominato architetto regio da Vittorio Amedeo II che gli affidò la regia del progetto di allestimento
di opere contemporanee in una sorta di galleria diffusa negli appartamenti regi
e nelle chiese torinesi. Nacquero così le collezioni del Castello di Rivoli coi
maestri napoletani e veneziani e gli spazi della Venaria riservati ai romani. E
infine, a Palazzo Reale, dove alla decorazione commissionata nel 1731 a Claudio
Francesco Beaumont fece nuovamente da pendant il progetto juvarriano avviato a
Rivoli, con una galleria dei maestri delle “scuole” d’Italia, in parte rievocata
in questa mostra.
Un
prodigio dell’immaginazione, un grande sogno di bellezza che si manifestò in
uno sbalorditivo impulso alla progettualità, sollecitato in primis dai Savoia,
ma che trovò terreno fertile nelle comuni di artisti uniti dal desiderio di
sperimentare e cimentarsi alla ricerca di linguaggi innovativi. Fu così per
l’Accademia dei Francesi a Roma, per l’amicizia che strinsero Le Lorrain e
Piranesi, per quella commistione tra radici territoriali e aperture verso
l’estero che a Torino vide fiorire il genio di Guarino Guarini e Andrea Pozzo
accanto all’operato del viennese Daniel Seiter, chiamato da Vittorio Amedeo II
a decorare la nuova Galleria. Austriaco, studioso della tradizione romana,
formatosi alla scuola veneziana, Seiter, fra quelle chiamate nella capitale
sabauda, è una delle figure che maggiormente rende uno spaccato di quanto i
modelli si affollino e si sovrappongano a beneficio della sensibilità barocca.
Menti
alla continua ricerca di scenari armoniosi, affascinanti e compiuti allo stesso
grado o più di quelli concepiti dagli antichi. Così le tele divengono un banco
di prova per rinnovate fughe prospettiche e i disegni sono per lo stesso
Juvarra uno spazio in cui poter liberamente sperimentare, una cornice dove
tutto è concesso. Ai pittori vengono commissionate vedute dei castelli prima
ancora della loro edificazione. Si gioca con l’ambiente e il paesaggio, si
cerca l’effetto della luce sulle facciate o negli interni, prima ancora di dare
seguito ai lavori. Disegno di architettura e disegno d’invenzione stringono
un’alleanza feconda, dai capricci alle acqueforti, da Matteo Ricci alle visioni
piranesiane è questo uno dei lasciti più
profondi nel passaggio tra Seicento e Settecento.
L’iniziativa
della Venaria, inserendosi in un progetto di divulgazione del Barocco lungo un
secolo, ha il merito di richiamare le rilevanti iniziative del passato da una
prospettiva ancora più ampia e coinvolgente cogliendo gli intrecci fra grandi
città d’arte, ognuna nei due secoli considerati intenta ad aggiungere nuovi
indelebili capolavori al proprio prestigio.
(Di Claudia Ciardi)
Nota
bibliografica:
Sfida al Barocco. 1680-1750 Roma, Torino, Parigi – Guida breve alla mostra, Sagep edizioni, maggio 2020
Acqua,
giardini e parchi: dal teatro barocco al paesaggio urbano, Convegno al Castello
Reale di Moncalieri, aprile 2019
Dimitri Brunetti, Beni
fotografici. Archivi e collezioni in Piemonte e in Italia, Centro studi
piemontesi, 2012
Ancora
due settimane per visitare la collettiva di Camera, Vedere il Barocco,
nell’ambito delle iniziative culturali di Torino 2020 dedicate a questa
stagione dell’arte. In mostra all’interno della Project Room le fotografie di Paolo
Beccaria, Gianni Berengo Gardin, Giancarlo Dall’Armi, Pino Dell’Aquila,
Giuseppe Ferrazzino, Giorgio Jano, Mimmo Jodice, Aldo Moisio, Riccardo Moncalvo,
Ernani Orcorte, Augusto Pedrini, Giustino Rampazzi, Daniele Regis, Roberto
Schezen. Un caleidoscopio in cui prendono forma geometrie, danze chiaroscurali,
vibrazioni. Fluidità della pietra e strutture come ricami, trine, maschere,
epifanie mitologiche – pensiamo alle erme di Ernani Orcorte o alle sontuose combinazioni
da miniaturista di Pino dell’Aquila.
Un
allestimento sobrio e commovente affiancato da un contributo multimediale sulla
grande mostra del 1937, curata da Vittorio Viale. Storia di uno straordinario
evento culturale che segnò gli anni Trenta in Italia, ma anche di un grande
storico dell’arte, allora direttore dei Musei Civici torinesi, che sollecitò la
costituzione del primo archivio fotografico museale, base dell’Archivio storico
cittadino. Con i suoi 25.000 metri lineari di carte che coprono una storia
urbana millenaria, e le sue cospicue e complesse raccolte fotografiche, quest’ultimo
è uno degli archivi comunali più importanti a livello europeo. Tra le più
recenti acquisizioni, le duecento lastre di Armando Dupont, fotografo
ambulante, che ha lasciato un documento dei costumi del primo Novecento,
arricchito da preziosi sfondi urbani oggi scomparsi, e le 172 stampe e ristampe
moderne degli scatti di Riccardo Moncalvo, grande occhio narrante di quasi
cento anni di storia piemontese. Il suo racconto lo ritroviamo anche nel
percorso barocco di Camera dove gli si rende omaggio esponendo l’album del 1963.
Dunque, un appuntamento da non perdere che raccoglie la testimonianza dei più
grandi autori e ingegni che si sono alternati nella rappresentazione e nella
comunicazione del Barocco.
*Foto della Project Room autorizzate dagli addetti
Riccardo Moncalvo, fotografo del Barocco