«È
falsa la partenza, è un variare del restare». Così Milena Tagliavini volgendosi
ai Dialoghi di Seneca riflette sui poli dell’esperienza umana, l’eterno viaggio
del sé, l’ombra che ci segue ovunque decidiamo di andare. Quando ci mettiamo su una strada non possiamo infatti prescindere da uno sguardo interiore, dal
comprenderci se si vuole davvero tentare un’altra via di comprensione del mondo. Questo
attraversare gli eventi che ci scuotono, in senso fisico e psicologico, segna le
nostre scelte, la capacità di adattarci e non respingere la vita, anche e
soprattutto nel difficile periodo che stiamo affrontando laddove la realtà continua
a regalare quei piccoli miracoli quotidiani su cui è bello soffermarsi. L’erba
e il suo sentore che si offrono quando usciamo, il riflesso rosato della neve
in montagna, che ci parla da lontananze inattingibili ma colme di misteriosa
fede, il coraggio di una montaliana breccia fra le mura per vincere la prigionia
e la sua soffocante aridità. Con delicatezza e levità la poetessa ci insegna un’antropologia
di «movimenti minimi», ci sprona ad attingere a una «cieca volontà di vivere»,
perché ora più che mai l’essere umano è chiamato a una prova di resistenza e l’unico
modo per superarla è non smarrire il solo legame che salva, quello coi propri
simili.
Un
paio di anni fa mi chiesero di intervenire sulla dissoluzione economica e
sociale prevalenti all’inizio del nuovo millennio. In tempi ancora non sospetti
– l’epidemia sarebbe scoppiata circa l’anno successivo – dissi che la vera domanda
che bisognava porci non era più su chi fosse l’altro – cardine dell’indagine
antropologica fin dai suoi albori – piuttosto su dove fosse. Il mio era un
richiamo al livellamento dei luoghi e delle culture, alla svendita dell’umana
possibilità di crearsi e ricrearsi il proprio destino anche accettandone i
rischi, calpestando le conquiste del libero arbitrio, parlando di letteratura e
scienza in modo da occultare il portato di entrambe, identificandosi nella fuga
verso un modello incapace di interpretare le differenze se non mettendone in
luce la loro carica negativa. Se i fenomeni come ci ha insegnato Schopenhauer non sono soltanto quel che appare ma forze spirituali da
cui promana uno stadio più autentico della conoscenza, allora la poesia diviene
un medium potentissimo per tornare a vedere in profondità.
Nelle
Ricognizioni di Milena Tagliavini colgo questo messaggio, in quanto l’uscita nel territorio, la sua esplorazione richiede poi, come spiega l’autrice,
decisioni operative. Si tratta cioè di interpretare le
informazioni raccolte sul campo e da lì risolversi ad agire. La
ricognizione, dice Milena, è anche se vogliamo un recognoscere, un
conoscere di nuovo, una riscoperta e un richiamare alla memoria – peraltro questo
attaccamento all’antico, alla radice latina delle parole rivela la necessità di
chinarsi alle sorgenti sentimentali della lingua, di riavvicinarne il vero
volto nel divenire della storia, proprio a partire dalle sue intonazioni
etimologiche.
La
sensibilità di Rita Bompadre dedica alle sfumature di questa raccolta un raffinato
contributo che col passo lieve di una lettrice riconoscente invita a misurarne
il terreno e le latitudini emotive.
(Di
Claudia Ciardi)
“Ricognizioni”
di Milena Tagliavini (Giuliano Ladolfi Editore, 2020) è una conferma
introspettiva all’analisi autonoma della forza poetica, all’indagine inconscia
dell’esistenza. Milena Tagliavini prende atto della coscienza osservando la
confidenza finalizzata al riconoscimento del proprio mondo, esaminando la
propria interiorità interpretata da idee, intenzioni ed esortazioni che
generano l’essenza dell’identità della poetessa.
I
versi, estendono la percezione interna all’attività riflessiva del pensiero,
esprimono la voce dialogante con l’anima, dispongono l’intesa della
comprensione con il trascorrere dell’autenticità del tempo, dilungando la
veridicità degli stati d’animo. L’autrice attinge le sensazioni, raccoglie il
riscontro dei sentimenti attraverso ogni manifestazione esplorativa, identifica
il percorso esistenziale con l’itinerario della sensibilità, rileva gli
accertamenti dell’ispirazione. Il privilegio e la grazia di concedersi una
mediazione nella comunicazione elegiaca, permette di verificare la qualità
medianica degli avvertimenti sensibili, di descrivere l’evocazione delle
convinzioni, la persuasione dell’esperienza. Lo spirito che riflette la luce
delle intonazioni umane, irradia una telepatia di emozioni, scorge sempre un
significato ultimo da attribuire alla vita, al senso di ogni valore, alla
direzione da intraprendere, al messaggio di speranza da divulgare. Il
coinvolgimento psicologico ed antropologico della poetessa valuta reazioni
profonde ai propri interrogativi sull’abilità del vivere, inseguendo la
continua evoluzione dell’inconoscibile, insondabile mistero dei tentativi,
cercando di confermare l’universalità della comprensione.
Dimostrare
la disponibilità dei fenomeni umani, fornire il requisito della saggezza è lo
spunto di riflessione per manifestare la presenza oltre l’invisibile linea di
confine dello spirito, per invocare la libertà e la volontà delle
contraddizioni terrene, per restituire la fermezza del giudizio e della ragione
nell’ambito dell’emozionalità, dell’atteggiamento agnostico sui dissidi
esistenziali. La poesia di Milena Tagliavini amplifica i quesiti umani
universali, propone domande sull’uomo e sull’origine della bellezza, offre la
resistenza all’insicurezza, cercando di colmare il vuoto della provvisorietà,
superando il tragitto dell’inquietudine, placando la diffidenza oltre ogni
apparenza. La poesia, consumata dal tormento doloroso dei conflitti irrisolti o
irrisolvibili, strappa con dolore vivo ogni nuova lacerazione, intervallando il
ritmo persistente del tempo che scorre, sussurrando la suggestione dei versi
adagiati sulla pagina, con la lieve e consapevole consuetudine alla malinconia,
ricostruendo dall’indifferenza la sostanza della luce anche attraverso le ombre
degli ostacoli. Il monito delle oscure difficoltà permette l’adattabilità dello
sguardo a vedere oltre, rischiarando la luminosità del raggio visivo nel
riscatto dei versi.
“Ricognizioni”
accoglie la necessità della speranza ed evidenzia il disincanto, alternando
rumore e silenzio, affermando l’intimità della poesia che risolve le ostilità,
travalicando le siepi. Nella costante ricerca stilistica la generosità emotiva
perlustra il presentimento del sentiero vitale attraverso percorsi obliqui,
trattiene la fragilità con l’intento di aggirare il richiamo incisivo del
monologo interiore, abita lo spazio della nostalgia, coniugando la resilienza
poetica alla ricostruzione delle opportunità positive, nell’arricchimento del
cambiamento e della trasformazione nelle piccole dichiarazioni impalpabili
dell’amore.
(Di
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”)
* Testi selezionati da Rita Bompadre
Nuovomondo – La nave
Visto
dall’alto è un canale
d’acqua
salata con gli argini fondi,
qua
di cemento e là di lamiera.
Si
spacca la folla in diagonale,
una
faglia slitta via.
E
tutto crolla,
ma
solo dentro.
Il rosa della neve
Incorniciata
dalla guarnizione
del
parabrezza tra il ponte e le strade
l’aureola
appare come altro a sé.
Sarebbe
una voce capace di tagliare
il
nastro della ragione che ci lega qui
se
con la pazienza di un docente
non
ci dimostrassimo ciechi
di
fede ogni giorno il teorema.
Così
la fila avanza e lascia
una
curva in discesa ai lati
della
labbra mentre le dita
dei
monti affrescano l’impossibilità
di
catturare il rosa della neve.
La trappola
Con
pazienza ho infilato per ore
i
punti dell’ago come se la danza
delle
dita fosse un rituale,
la
pozione per ignorare il tempo.
Nell’urgenza
del respiro
non
avevo che questa azione inutile,
che
restare sola senza parlare
dentro
i muri.
Mani
Proprio
oggi ho visto le tue mani
scolpite
nelle sue. Mi ricompari
a
tratti, a pezzi, ancora viva.
Sono
carne di nostalgia le dita
di
marmo molle senza rughe
e
con lo smalto scuro. Sguardo
che
richiama di fianco la tua assenza,
corpo
invisibile tra noi.
Tra due muri
Mi
volti le spalle e vai tra due muri
di
fiori, hai le redini
di
ciò che è stato. Il piede alzato
per
il passo e la sensualità
del
vento in una curva sui capelli
non
si perderanno. La carta
e
gli occhi scambieranno
per
anni le interpretazioni.
Oggi
il non visto ha un senso
d’arresto
che si prolunga,
di
sospensione del fiato mentre
la
palla sta alta sulla rete.
Una svolta
È
una svolta che forse non c’è
questo
giorno colmo di pensieri.
Sei
un uomo con le valigie piene
d’aria.
Ogni volta che le aprirai
darai
pane ad altri respiri.
Creazione
Ho
creato una breccia fra le mura,
un’evasione
di note.
Una
preghiera materiale
del
corpo vivo.
È
carne e terra e cielo.
Ha
il sapere, oltre le regole
dei
soprusi della ragione.
Da Milena Tagliavini, Ricognizioni, Giuliano Landolfi Editore, 2020
Sul
canale “My Urby” l’intervista alla poetessa che racconta la propria esperienza
di vita e di scrittura con delicatezza e passione (ottobre 2020).